Focus
Dieci sfumature (fashion) di Maria Sharapova
Ripercorriamo la carriera della campionessa russa tramite i suoi outfit più significativi. Ve lo ricordate quello della prima vittoria a Wimbledon? E il servizio fotografico del Roland Garros 2014?

Non ce lo nascondiamo: Maria Sharapova è stata qualcosa di più di una tennista. È stata, da certi punti di vista, una rivoluzionaria. È stata colei che più di ogni altra ha saputo abbinare i successi sul campo ad un’immagine di donna indubbiamente avvenente, con quel suo fisico statuario, i capelli biondi e gli occhi verdi, per la gioia degli sponsor e del suo conto in banca. Certo prima di lei c’era stata la connazionale Anna Kournikova. Ma mentre Kournikova è presto diventata una modella prestata al tennis piuttosto che il contrario, Sharapova ha sempre saputo (e voluto) tenere al centro del suo brand milionario le vittorie con la racchetta, rispetto alle copertine delle riviste.
Tante vittorie. Cinque Slam negli anni 2000, nessuna come lei a parte le sorelle Williams e Justine Henin, 36 titoli complessivi, la posizione n.1 al mondo, la medaglia d’argento ai giochi di Londra nel 2012. Ma appunto la sua popolarità ha trasceso il tennis, grazie ad una bellezza fuori dal comune che con gli anni si è accompagnata ad uno stile sempre più sofisticato e ricercato, a segnare il passaggio da determinata ragazzina emigrata dalla Siberia che vuole battere tutte le avversarie a donna matura e poliedrica. Ripercorrere la carriera di Masha tramite i suoi outfit più significativi, in quel rettangolo diviso da una rete così come sui tappeti rossi più prestigiosi del globo terrestre, è dunque fondamentale per capire quello che ha rappresentato per il tennis.
Wimbledon 2004: il primo Slam

Valerio Vignoli. Una appena 17enne Sharapova spacca il mondo del tennis battendo Serena Williams, n.1 e assoluta dominatrice del circuito femminile, alla sua prima finale Slam, a Wimbledon, il tempio sacro del tennis mondiale. Lo fa con un abitino naturalmente bianco candido, griffato Nike, sponsor che la seguirà per tutto il resto della carriera. Il marchio del baffo forse non aveva ancora intuito che razza di potenziale avesse quella altissima adolescente russa. O forse Maria non gliene aveva dato il tempo. Fatto sta che l’outfit è molto basic, fin troppo. Uno scollo simil canotta, una aggancio dietro alla schiena molto banale. Unica nota degna di interesse un piccolo spacco esterno in fondo, a evidenziare anzitempo uno stacco di gamba con pochi eguali sul circuito. Nel complesso un abito che la Maria di oggi manco si metterebbe in allenamento. Ma Nike impiegherà ben poco tempo riservarle qualcosa di meglio per i suoi incontri.
US Open 2006: if you can make it in New York…
Valerio Vignoli. E infatti l’abito con cui due anni più tardi conquista i suoi primi e unici US Open, quasi lo Slam di casa per lei, è tutt’altra storia. Assolutamente sontuoso. Forse il migliore in assoluto tra quelli indossati nelle sue vittorie Major. Il colore è il nero: quello giusto per le serate newyorkesi più cool, quelle in cui brillano i flash delle fotocamere, quelle in cui Maria molto raramente è uscita sconfitta dall’Arthur Ashe Stadium. Il taglio retrò rimanda a le mise che hanno reso celebre Audrey Hepburn, con quel girocollo rotondo abbellito dalle paillettes che si va ad incastrare con il resto del vestito lasciando libere le spalle, la profonda scollatura sulla schiena e il fiocco che sormonta il nastro per tenere assieme parte anteriore e posteriore. La lunghezza è immancabilmente molto limitata. Insomma un outfit manifesto per una Sharapova che nonostante la giovane età era già una stella nel firmamento del circuito WTA.
La copertina di Sports Illustrated del 2006: bellezza da spiaggia

Laura Guidobaldi. Maria Sharapova è famosissima per i successi in campo ma anche per il suo corpo statuario. Le copertine delle riviste di sport, glamour e fashion fanno a gara per avere scatti della bella Masha che ne risaltino appunto la perfezione. Ebbene, anche quando indossa un bikini, la siberiana punta alla semplicità con un due pezzi senza fronzoli particolari, color panna, una tinta d’effetto e delicata al tempo stesso sullo sfondo celeste del mare.
Australian Open 2008: il tris di Masha

Valerio Vignoli. Ci sono delle regole non scritte su come una tennista dovrebbe vestirsi nei grandi Slam: al Roland Garros sofisticata, a Wimbledon classica, agli US Open vistosa. Ma agli Australian Open che si fa? Chissà se proprio questa indecisione metteva in difficoltà la bella siberiana che probabilmente se dovesse indicare il Major che meno preferisce direbbe quello che si gioca sui campi di Melbourne Park. Nel suo unico successo australiano, arrivato grazie alla vittoria in finale contro la serba Ana Ivanovic, in una sfida tra pin-up del tennis, una bionda e l’altra bruna, Masha aveva indosso una semplicissima tunica bianca, con delle increspature verticali davanti e dietro come unico fronzolo. Per meglio affrontare le torride temperature, il tessuto è particolarmente leggero e la gamba ancora più scoperta del solito. Il colore bianco però non rende giustizia ad una Sharapova che ha sempre preferito il lavoro sul campo da tennis alla tintarella in spiaggia.
Roland Garros 2012: regale anche sulla terra

Laura Guidobaldi. Perfetto l’abito indossato da Maria per il suo primo trionfo parigino, nel 2012. Una linea classica in tutto, dalle spalline, lo scollo, al taglio della gonna. Eppure è un outfit dalla spiccata personalità, proprio come quella di Maria Sharapova. Innanzitutto, il total black – che si sposa bene ad una chioma bionda – spicca magnificamente sull’ocra del Philippe Chatrier e simboleggia la grinta, la potenza e la determinazione della campionessa russa. E poi quella variante appena accennata sulla parte alta del corpetto, con una sfumatura leggermente più leggera del nero e dal tessuto più luminoso, conferisce all’abito quel tocco di finezza che da sempre caratterizza la bella Masha.
Roland Garros 2014: l’ultimo Slam

Laura Guidobaldi. Totalmente diverso lo stile in cui Sharapova va a vincere il secondo trofeo francese, nel 2014, ma altrettanto vincente. Se il taglio e lo stile assomigliano a quello dell’outfit indossato due anni prima, la versione 2014 presenta una scelta cromatica più delicata, in tema con la primavera parigina: abbinamento arancione e rosa decisamente azzeccato, con la tinta orange sulla parte alta dell’abito e per i pantacourts per rendere omaggio all’amata terra rossa e il rosa delicato che richiama i fiori che ornano Parigi e il Bois de Boulogne ai primi di giugno. Ma non finisce qui.

Maria “stende” tutti anche quando si presenta al consueto photo shooting con il trofeo. Arriva al Trocadero con una mise insolita ma folgorante. L’abito è mini, che mette in risalto le gambe lunghissime della campionessa; il corpetto è abbastanza semplice, nero, ma dalle linee geometriche che mettono in luce la perfezione del busto, delle spalle e della schiena di Maria (nella foto non si vede ma la parte posteriore del corpetto è alquanto scollata), un corpetto nero che si appoggia ad una gonna cortissima, svasata a trapezio dall’effetto dorato, che le conferisce quel tocco glamour e prezioso che non la abbandona mai. Il tutto accompagnato da scarpe nere col tacco a spillo. Maria ha appena vinto il suo quinto slam, a Parigi. Sullo sfondo la Tour Eiffel e lei, vincente e sfavillante, ha tra le braccia la meravigliosa coppa Suzanne Lenglen, in uno stile da far invidia alle grandi star di Hollywood. Insomma, cosa si può volere di più?
La conferenza stampa dopo lo scandalo Meldonium, 2016: cala il sipario

Valerio Vignoli. Non è un caso che spesso nella sua carriera Maria si sia vestita di nero. Un colore che simboleggia eleganza, quella che riservava ai suoi ammiratori, e paura, quella che incuteva alle sue sfidanti. Ma il nero, almeno nella cultura cristiana, significa anche lutto. Sharapova, non poteva dunque che adottare questa scelta cromatica anche in quel 3 marzo 2016 che ha segnato oggettivamente il crepuscolo della sua carriera tennistica. Con addosso una sobrissima combinazione tailleur e camicia, i capelli mossi e leggermente scompigliati, un trucco sottilissimo, la russa si è presentata di fronte ai giornalisti per giustificare la propria positività al Meldonio, sostanza considerata dopante dalle autorità competenti. Un look appunto che può vagamente ricordare quello di una vedova ad un funerale. Nonostante un outfit appropriato, Maria però non risultò così convincente nella parte della vittima e sull’orlo dei trent’anni si vide appunto privata della sua compagna di una vita, la competizione.
Agli Oscar 2017: una star hollywoodiana
Valerio Vignoli. Durante il suo esilio forzato dal circuito, Masha ha così preso al balzo l’occasione di accrescere ulteriormente quello che dall’altra parte dell’oceano chiamano stardom. E quale miglior vetrina per farlo dei red carpet degli Oscar? A quelli del 2017, Maria si presenta con un fantastico abito blu scuro impreziosito da delle piccole borchie metalliche, firmato dallo stilista londinese di origine georgiana David Koma. Lo spacco laterale e i tacchi vertiginosi mettono la tennista siberiana su un pianeta tutto suo. I capelli legati aggiungono un che di iconico. Se non fosse per i muscoli costruiti in due decenni di allenamenti che debordano dalle spalline, si potrebbe scambiare Sharapova tranquillamente per Nicole Kidman.
Al lancio del suo brand di caramelle 2017: Sharapova businesswoman

Laura Guidobaldi. Non dimentichiamo che Masha è anche un’abilissima donna d’affari. E allora, per il lancio delle sue caramelle Sugarpova Maria sceglie lo stile serioso ma decontracté. Solo che questa volta la scelta della camicia ampia a righe non convince del tutto. La camicia a righe – che lei sembra apprezzare particolarmente poiché la indossa spesso in varie situazioni – non è un capo sempre vincente e a volte risulta difficile da abbinare. La brillantezza e la luminosità del raso chiaro è elegante ma questa camicia nell’insieme è forse un po’ spenta. Seppure in versione working girl, Sharapova avrebbe potuto certamente fare di meglio.
Nella foto della sua autobiografia, 2018: unstoppable

Laura Guidobaldi. E sinceramente convince poco anche la mise scelta per la copertina della sua autobiografia. Maria opta questa volta per un abito nero a sottoveste, abbinato ad una giacca ampia, anch’essa nera. Inoltre, avrebbe potuto curare un po’ di più lo stile dell’acconciatura. Probabilmente la campionessa ha voluto puntare sull’essenzialità e su un pizzico di sensualità e stile sbarazzino. Giusto, ma questa volta le scelte estetiche non rendono pienamente giustizia al fiuto fashion di Masha che ha caratterizzato finora parte della sua vita.
Sharapova, favola senza lieto fine: “Troppo dolore, è ora di smettere”
Maria Sharapova lascia il tennis. Il ritiro arriva a 32 anni
ATP
L’anno del riscatto di Nico Jarry. Chi lo ferma ora?
Nel 2019 si era già affacciato tra i primi 40 giocatori del mondo. Poi la squalifica per doping e una lenta risalita fino alla svolta di quest’anno con il torneo di casa. Gli ottavi a Parigi (affronterà Ruud, battuto pochi giorni fa) non sono una sorpresa

Non sono pochi i nomi inattesi che hanno raggiunto gli ottavi di finale del tabellone maschile di questo strano Roland Garros 2023. Ofner è indubbiamente quello più sorprendente, seguito da Varillas, Etcheverry e in parte anche Nishioka, che comunque è accreditato della 27esima testa di serie. C’è poi Nico Jarry: unseeded sì, ma forse la sorpresa meno inaspettata di tutte. Si tratta infatti di uno dei giocatori più in forma del momento e, più in generale, di questa prima metà di stagione e siamo certi che i big abbiano tirato un bel sospiro di sollievo quando hanno visto il suo nome posizionato dal sorteggio ben lontano dal loro. Il cileno, però, pian piano si sta avvicinando a tutte le teste di serie più alte e, anzi, una l’ha già raggiunta: dopo aver superato Dellien, Paul e Giron, agli ottavi se la vedrà infatti con il numero 4 e finalista dello scorso anno Casper Ruud in un match dall’esito tutt’altro che scontato.
Nico viene infatti da sette vittorie consecutive e tra queste ce n’è una ottenuta proprio contro il norvegese. Nell’ultimo torneo prima di Parigi, a Ginevra, Jarry ha giocato un tennis di altissimo livello che gli ha permesso di battere per l’appunto Ruud ai quarti di finale (in tre set) e poi anche Zverev in semifinale e Dimitrov – un altro che sta attraversando un ottimo momento di forma – nell’atto conclusivo del 250 svizzero. Con questa cavalcata degna anche di un torneo di categoria superiore, Nicolas ha conquistato il secondo titolo della stagione: la stagione del suo riscatto. Nella prima classifica del 2023 Jarry era infatti in 152esima posizione, mentre ora è virtualmente tra i primi 30 del mondo.
IL BEST RANKING NEL 2019 – Già qualche anno fa, nel 2019, il giocatore di Santiago aveva iniziato a respirare l’aria dell’alta classifica: risultati come i quarti a Barcellona, la finale a Ginevra e il successo a Bastad lo avevano portato al numero 38 del ranking. Alto quasi 2 metri e dotato di un servizio molto pesante, si stava costruendo la fama di specialista della terra ad alta quota, dove l’aria è più rarefatta e la palla va quindi più veloce. Tra i suoi primi risultati più importanti, nel 2018, ci sono infatti le semifinali a San Paolo e Kitzbuhel: oltre 700 metri sul livello del mare in entrambi i casi.
LA SQUALIFICA PER DOPING – Negli ultimi tre anni, però, di Jarry ci eravamo sostanzialmente dimenticati. Il cileno era infatti letteralmente scomparso dai radar, nel senso che dall’ottobre del 2020 al febbraio 2021 il suo nome non figurava più nel ranking. Mentre tutto il circuito era fermo causa pandemia, Nico scontava infatti una squalifica per doping ed era quindi l’unico a perdere punti in classifica. Il nipote d’arte (suo nonno materno è quel Jaime Fillol ex numero 14 del mondo e in campo anche nella finale di Davis del ’76 vinta dall’Italia di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli), in realtà, aveva dimostrato la sua innocenza: gli integratori incriminati non erano vietati ma erano stati cross-contaminati alla fonte, cioè in fase di produzione in laboratorio. Nicolas ricevette comunque una squalifica di 11 mesi dall’ITF e decise di rinunciare al ricorso dal momento che, come detto, in quel periodo non si giocava alcun torneo.
LA RIPARTENZA – Ripartire da zero o quasi, però, non è stato affatto semplice: Jarry perse i primi tre match dopo lo stop, a novembre 2020, in un Challenger e in due Futures, cedendo anche a un diciottenne americano numero 980 del mondo. Solo a marzo della stagione successiva Nico ricominciò a ottenere qualche risultato. Lo fece sfruttando l’aria di casa a Santiago: prima onorò al massimo delle sue possibilità in quel momento la wild card concessagli nel torneo del circuito maggiore combattendo per quasi tre ore contro Tiafoe e poi tornò a vincere due partite di fila nel Challenger che si disputava sempre sui campi della sua città.
IL RITORNO AD ALTI LIVELLI – Da lì è iniziata una graduale risalita che ha avuto un’altra tappa fondamentale di nuovo a Santiago, pochi mesi fa. A dire il vero il 2023 di Jarry era già partito con il piede giusto: qualificazione al main draw dell’Australian Open e vittoria al primo turno su Kecmanovic e poi un ottimo percorso nel 500 di Rio de Janeiro interrotto solo da Alcaraz in semifinale (e per giunta dopo tre set). Nella città natìa, però, Nico ha dato la conferma di essere tornato quello del 2019, se non addirittura più forte. Dopo una serie di lotte su tre set ha infatti conquistato il titolo in assoluto più significativo per lui facendo impazzire i suoi connazionali e concittadini sugli spalti.
Nei tornei di Marrakech, Barcellona, Madrid e Roma ha poi attraversato un naturale calo fisiologico, ma a Ginevra il cileno ha ripreso il filo del discorso. Gli ottavi a Parigi, adesso, significano due cose: i geni di nonno Jaime, di cui Nico ha eguagliato il miglior risultato al Roland Garros, hanno funzionato bene e, soprattutto, non si può più dire che Jarry sia solo un giocatore da tornei in altura.
Flash
Roland Garros, Svitolina : “Sono davvero grata per la posizione che ha preso Kasatkina”
Sensazioni amare per Kasatkina che lascia Parigi con la delusione per i fischi: “Ho solo rispettato la posizione della mia avversaria di non stringere la mano. Lasciare il campo in quel modo è stata la parte peggiore della giornata”

Il potere delle rientranti. I quarti di finale del Roland Garros vedranno tra le contendenti al titolo due atlete al via con il ranking protetto, Anastasia Pavlyuchenkova ed Elina Svitolina. La tennista ucraina al rientro dalla maternità ha subito scaldato i motori, alternando tornei del circuito maggiore, al circuito ITF. Qualche match di rodaggio è stato sufficiente alla tennista ucraina, che prima ha conquistato il titolo a Strasburgo e ora si è lanciata ai quarti di finale dello Slam francese eliminando in due set la russa Kasatkina. Un torneo che Svitolina sta affrontando come una corsa a tappe: “Vivo il torneo partita per partita. Per me era importante ottenere la prima vittoria, poi ottenere la seconda. Ogni volta che scendo in campo, cerco di avere la migliore preparazione possibile e il giusto mindset. Poi basta solamente prendere una partita alla volta”.
Svitolina che sta raccogliendo il supporto del pubblico francese, orfano dei propri rappresentanti, eliminati precocemente sia nel tabellone maschile sia in quello femminile: “Non posso ancora rispondere alle domande in francese ma sin dalla prima partita giocata qui, le persone mi hanno incoraggiato e col passare del tempo sono diventati sempre di più. Era una cosa che non mi aspettavo. Già a Strasburgo ho potuto notare come il pubblico francese era dalla mia parte. Con Gael stiamo insieme da più di cinque, sposati da un paio. Sono solo grata che il pubblico sia lì per me, anche se in alcune partite ero sotto di un set, loro mi hanno incoraggiato dandomi la giusta spinta e la speranza per recuperare e vincere.”
Una prestazione al rientro che libera Svitolina da ogni pressione, nonostante sia stata un top 10 per diverso tempo: “Una delle cose che ho notato è che in questo momento non ho quella pressione che avevo prima. Ovviamente io personalmente mi metto sotto pressione perché voglio vincere uno slam. Questo è l’obiettivo finale per me, ma sicuramente non sento la pressione dall’esterno. Mi sento quasi come se avessi di nuovo 17 anni, una neo arrivata nel tour.”
Assenza per maternità che ha permesso a Svitolina di resettare la mente dalle pressioni di questo sport: “Essere un giocatore di tennis comporta molte. Hai questo bagaglio sempre con te, contenente la pressione dei media, la pressione dei tuoi connazionali, dei fan e anche dai social media. Ovviamente metti anche molta pressione su te stesso, e a volte puoi diventare troppo da sostenere. A volte giocare ogni singola settimana, stare come in una boccia per pesci tutto il tempo è molto stancante. Devi essere quasi sempre perfetto. Per me è stato positivo stare lontano dal tennis, staccare completamente. Godermi il mio tempo con la mia famiglia. Non parlare del prossimo torneo, del prossimo obiettivo, del prossimo avversario. La mia mente riposava, il mio corpo riposava. Poi, quando ho iniziato ad allenarmi a gennaio, ero estremamente motivata, come mai prima d’ora In questo periodo sto iniziando con l’esperienza che mi porto dietro e con la giusta freschezza.”
Quarto di finale che per Svitolina sarà contro la testa di serie numero 2, Aryna Sabalenka. Sfida che non cambierà nulla nella mente della tennista ucraina. “Ho giocato le ultime due partite contro tenniste russe quindi non cambierà nulla per me, sarà tutto uguale.”
Nessuna stretta di mano, ma è arrivato un cenno di intesa tra Svitolina e Kasatkina a fine match. La tennista ucraina in conferenza stampa ha speso belle parole per la tennista russa: “Sono davvero grata per la posizione che ha preso. È stata davvero una persona coraggiosa a dichiarare pubblicamente [di essere contraria alla guerra], cosa che non molti giocatori hanno fatto.”
Tennista russa che tuttavia lascia Parigi con l’amaro in bocca per la reazione del pubblico. In un tweet pubblicato Kasatkina ha manifestato la sua delusione per i fischi ricevuti. Di seguito la traduzione
“Lascio Parigi con una sensazione molto amara. In tutti questi giorni, dopo ogni partita che ho giocato, ho sempre apprezzato e ringraziato il pubblico per il supporto e per essere lì per i giocatori. Ma ieri sono stata fischiata solo per aver rispettato la posizione della mia avversaria di non stringere la mano. Io ed Elina abbiamo mostrato rispetto reciproco dopo una partita difficile, ma lasciare il campo in quel modo è stata la parte peggiore della giornata di ieri. Siate persone migliori, amatevi. Non diffondete l’odio. Provate a rendere questo mondo migliore. Amerò il Roland Garros qualunque cosa accada, sempre e per sempre. Ci vediamo l’anno prossimo”
Editoriali del Direttore
Roland Garros: Sonego ha più fisico di Berrettini, Sinner e Musetti, ma deve lavorare sul…fisico! Musetti non deve più giocare da junior. Il “gap” con Alcaraz
Cosa manca ai nostri migliori tennisti. Non lamentiamoci per due azzurri in ottavi. Sonego vale più del suo ranking attuale. Musetti ha problemi di crescita. Le ultime due partite da soppesare nel contesto di tutto un torneo

Ci restano solo sparuti juniores. Gli altri, più che sparuti sono spariti. Nei tabelloni del grande tennis l’Italia, con le sconfitte degli ultimi due Lorenzo superstiti, non c’è più.
All’inizio del torneo pensavo – come quasi tutti, nessun pensiero particolarmente originale – che Jannik Sinner avesse più chances di chiunque dei nostri azzurri per arrivare alla seconda settimana, ma purtroppo Jannik, come già a Roma con Cerundolo (però avete visto Cerundolo?), ha sofferto con Altmaier l’eccesso di pressione che un po’ tutti, lui compreso, gli mettono addosso.
E’ ancora giovane, ha un tennis ancora incompleto, c’è ancora tanto lavoro da fare, tanti limiti da limare. Nel fisico, nella tecnica, nella tattica, nel mentale quando l’appuntamento è importante. Aspetterei ad emettere sentenze negative e definitive. E’ un top-ten e alla sua età non lo avevamo mai avuto. Un top-ten destinato a durare. Top 5, top 3? Vedremo. Bando a sentenze affrettate.
Ci vuole più equilibrio di quello che di solito manifestano molti tifosi. Non intendo commettere lo stesso errore.
Il discorso vale anche per Musetti e Sonego. Anche nel loro caso ho riscontrato giudizi affrettati, in passato e oggi. Poco equilibrati.
Se dovessi basarmi soltanto sui match di ottavi di finale, i verdetti sarebbero chiari: Sonego, neo n.40 ATP, ha giocato alla pari con Khachanov (n.10 virtuale) finchè ha avuto le energie per farlo, mentre Musetti, neo best ranking a n.17 (virtuale…), non l’ha fatto con Carlitos Alcaraz, apparso superiore sotto tutti gli aspetti, tranne che per gli errori gratuiti che sono stati pari (23)…ma con la non trascurabile differenza che il murciano ha cercato molto di più il punto, in tutti i modi – dalle smorzate quasi sempre imprendibili, ai serve&volley perfetti sia come scelta di tempo che come esecuzione – e il diverso resonto statistico sui vincenti lo sottolinea chiaramente (42 contro 17).
Le due singole partite, di Sonego come di Musetti, andrebbero soppesate nel contesto di tutto il torneo. E anche della storia dei tennisti italiani al Roland Garros.
Vero che l’appetito vien mangiando, ma fino a qualche tempo avere due italiani in contemporanea piazzati agli ottavi di finale nel “campionato del mondo sulla terra battuta” sarebbe stato considerato un successo.
E le partite di ieri non devono far dimenticare quelle dei giorni precedenti.
Sonego aveva palesato una schiacciante superiorità tecnica nei confronti di due discreti giocatori, Shelton e Humbert (giocando in trasferta), e ha ribadito contro Khachanov l’ottima dimostrazione di tennis e di carattere mostrata con Rublev (peraltro già battuto a Roma tempo addietro; ergo non un caso).
Sulle qualità tennistiche di Sonego, più che su quelle guerriere (che furono anche esse messe in dubbio quando Lorenzo perse a Torino da Goyo in Davis, salvo riscattarsi abbondantemente a Malaga 2022 l’anno dopo) parecchi in questi anni hanno continuato a dubitare.
Non Gipo Arbino, il suo coach che lo conosce meglio di chiunque e, al di là dell’affetto paterno, conosce bene anche il tennis per potersi esprimere con cognizione di causa.
E’ certamente vero che Lorenzo ha ancora una fragilità: una sorta di vera necessità “psicologica” di trovarsi in mezzo a match da… corrida, un torneo e un campo importante, tanta gente, tanto tifo, per esaltarsi e dare il meglio di sé quando è carico al punto giusto. Ecco che in questi casi, più eccezionali che ordinari, lui allora riesce a mostrare un repertorio di colpi e soluzioni tecniche tutt’altro che banali. Spesso da campione. Da top-10 e dintorni, più che da top-40. La fiducia di Gipo è quindi ben riposta.
Ha giocato una grandissima partita con Rublev e per tre set si è ripetuto con Khachanov, due top-ten che hanno giocato bene, molto bene. Entrambi. Lorenzo, che certamente aveva parlato con il suo allenatore, è stato molto lucido anche nella disamina post-sconfitta con il secondo russo, grande amico del primo.
Sonego ha fatto capire di aver accusato la stanchezza, la fatica della intensa maratona corsa due giorni prima con Rublev. Senza voler fare il …sapientone del “io sì che me ne sono accorto subito” mi era parso chiaro già a partire da metà terzo set contro Khachanov che Lorenzo era molto meno agile, meno scattante e di riflesso anche molto meno lucido.
I servizi slice esterni di Khachanov erano tremendi. Lo buttavano fuori dal campo (se e quando riusciva a rispondere) e venivano seguiti da terribili mazzate di dritto. Ma anche di rovescio Khachanov ha fatto grandi progressi. Del resto il russo è reduce da due semifinali consecutive negli ultimi due Slam. Quando “Polpo” Sonego doveva compiere i soliti recupero sul suo lato destro, quello del diritto che è abituato a lasciare un tantino più scoperto per poter girare attorno alla palla e colpire più dritti che rovesci dall’altro angolo, faticava più del solito, arrivava con maggior affanno del consueto, la spinta sul dritto era meno …spinta!
Non aveva recuperato lo sforzo. Ha quindi ragione Lorenzo quando dice che deve lavorare sul fisico, per potersi permettere in futuro anche due maratone in 48 ore. Djokovic e Nadal hanno vinto tutto quel che hanno vinto perché al di là del talento sono – erano? – due mostri anche atleticamente. Capaci di tenere la massima intensita come nella finale australiana del 2012 anche oltre le sei ore in un giorno solo. E Nadal nel 2009 – cito a memoria – vinse un Australian Open alla domenica recuperando lo sforzo di una maratona pazzesca in rimonta di poche ore prima con Verdasco. Quando qualunque altro tennista sarebbe stato moribondo.
Lo stesso Sonego riposato di venerdì contro Rublev avrebbe probabilmente vinto anche contro Khachanov, anche se questi sono discorsi teorici perché poi ogni partita fa storia a sé. Khachanov ha altre armi rispetto a Rublev – il servizio e la potenza devastante dei fondamentali soprattutto – anche se è meno agile. Resta tuttavia molto agile anche lui considerata la stazza.
Chiudo con Sonego per dire che la stanchezza si manifesta non solo nella minor rapidità e reattività, ma anche nella diversa lucidità. Avanti 4-0 nel tiebreak del terzo set ha sbagliato un dritto per lui comodo proprio per mancanza di freschezza mentale. Fosse salito sul 5-0 non avrebbe quasi certamente perso quel tiebreak. Ma forse non avrebbe poi vinto ugualmente. A meno che Khachanov, più fresco, non si fosse innervosito. Aveva perso malamente il servizio sul 5-4.
Lorenzo era stanco, se non stravolto, perché le rincorse cui lo aveva costretto Khachanov con quel bombardamento da fondocampo avevano fiaccato perfino la sua non comune resistenza. Si portava dietro la lotta con Rublev. Poca lucidità ha mostrato anche in almeno 3 o 4 occasioni in cui poteva giocare il passante da situazione di gioco favorevoli e invece, dimentico del vento, ha cercato il lob passante ad effetto. Tutti sbagliati. Tutti abbastanza inutili.
Poi, per carità, Sonego può rimpiangere di non aver inferto il colpo del probabile k.o. già nel secondo set quando ha avuto 4 pallebreak per salire 3-1 – e nessuno può sapere come avrebbe reagito Khachanov trovandosi sotto 6-1,3-1 – mentre non può rimproverarsi nulla per il setpoint mancato nel tiebreak. Khachanov gli ha servito un missile a 199 km l’ora. Semmai quella steccata di rovescio quando era ancora avanti di un minibreak, sul 5-3. Ma, insomma, di punti su cui si può recriminare in un match di 3 ore e 3 quarti ce ne sono sempre a bizzeffe.
Lorenzo sistemi il fisico – e sì che lo ha già buono…, certo migliore di Berrettini, Sinner e Musetti tanto per esser chiari! Tuttavia non basta mai se si vuol fare strada negli Slam, quando almeno una o due partite durissime ci sono sempre – e si caverà belle soddisfazioni.
Passo all’altro Lorenzo.
E non dimentico, non sarebbe giusto farlo, quanto bene ha giocato tutte le sue altre partite, Ymer, Schevchenko, Norrie. Non solo tennis bellissimo a vedersi. Ma anche tennis efficacissimo. Puntuale. Ineccepibile sotto tutti i punti di vista.
Contro Alcaraz, invece, match da junior. Da dimenticare…senza dimenticare tuttavia anche che Alcaraz è Alcaraz. Una potenza impressionante e una flessibilità altrettanto impressionante nella capacità di alternare colpi terribilmente potenti a smorzate delicatissime. Come se invece di avere un solo braccio ne avesse due. Uno per tirare forte, un altro per accarezzare drop-shot irraggiungibili. Come pigiando un bottone. Sempre o quasi sorprendendo l’avversario. Qualsiasi avversario per quanto si è visto nelle giornate di vena. Ha battuto quattro volte su quattro Tsitsipas, mi aspetto che lo faccia per la quinta. Perché sul lato sinistro Tsitsi è troppo debole e quando colpisce i suoi topponi monomani di rovescio finisce col corpo all’indietro: una manna per chi sa giocare le smorzate con l’abilità di Carlitos.
Diversa storia potrebbe essere semmai fra Carlitos e Djokovic. Se Djokovic riuscisse a ripresentarsi in quei panni che per adesso non gli ho ancora visto reindossare.
Ma torno su Musetti. L’ho “bollato” poco sopra dicendo che ha giocato come uno junior. Sì, senza il giusto approccio mentale, senza la voglia di lottare come è invece indispensabile. Del resto lo ha ammesso lui stesso a fine match. Leggete le sue dichiarazioni.
Fin dall’inizio, quando ha cominciato con l’illusorio break, è sembrato troppo Narciso. Più intenzionato a cercare il colpo strappa-applausi, che la sostanza. Ogni volta che è stato scavalcato da un lob ha cercato impossibili tweener. Ogni volta! Senza mai l’umiltà di una difesa meno arrogante e pretenziosa.
Idem sulle rare smorzate sulle quali, partendo da così lontano, era riuscito ad arrivare. Ha sempre cercato di tirar fuori il coniglio dal cappello del mago prestigiatore.
Ingenuo. Presuntuoso. O più semplicemente – nell’occasione eh, non sto esprimendo giudizi assoluti sul personaggio Musetti, mi sto riferendo soltanto a questa singola partita e si sa che ogni partita fa storia a sé – giovane, giovanissimo.
Credo che imparerà la lezione. Il talento non si discute. Ma lui non ha bisogno di sottolinearlo a tutti i costi. Anche perché il costo alla fine si chiama sconfitta. E con Alcaraz si è trattato di sconfitta pesante. Non è mai stato in partita, non ha mai dato l’impressione di poterci entrare, di poterla rovesciare. Sembrava che ci fossero due categorie di differenza.
Ci sono? Può essere, oggi come oggi. Ma non è detto che ci saranno sempre. Perfino Alcaraz ha i suoi bassi, non solo alti. Lo abbiamo visto a Roma. Quando anziché a comandare tutto, gioco e punteggio, si trova . inopinatamente per lui e per gli altri – sotto, indietro, si innervosisce, si smarrisce, può commettere errori giovanili lui pure. In fondo i 23 errori gratuiti di domenica non sono pochissimi.
Carlitos è fortissimo, in tutti i sensi, anche tatticamente. Quando decide di venire avanti, seguendo il servizio oppure in controtempo, non sbaglia quasi mai il momento, il tempo, la scelta. Indubbiamente un fenomeno. Fa paura pensare che certamente migliorerà ancora. Ma migliorerà anche Musetti che, a suo modo, ha qualcosa di straordinario anche lui. E non solo la bellezza di certe sue invenzioni. Si assottiglierà o si approfondirà il gap fra i due? Nessuno può saperlo.
Ma se la vittoria di Amburgo non era da prendere per oro colato, perché Carlitos non era ancora quel che è oggi, anche questa batosta del Roland Garros non va presa per oro colato. Il gap c’è, indubbiamente, ma non credo sia così profondo come è sembrato nell’occasione. Ad Maiora.