Maria Sharapova, favola senza lieto fine: "Troppo dolore, è ora di smettere"

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Maria Sharapova, favola senza lieto fine: “Troppo dolore, è ora di smettere”

A 32 anni, l’ex numero 1 annuncia il ritiro dopo tanti infortuni: “Quanto accaduto a Kobe Bryant ha inciso in questa scelta. Siamo così fragili… Il mondo del tennis mi mancherà”

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Maria Sharapova - Australian Open 2019 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)
 

L’articolo che segue, a firma del direttore Scanagatta, è stato pubblicato questa mattina su La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Giorno

Se si è spenta la luce di una stella sui campi di tennis, vedrete che continuerà a brillare ancora. Probabilmente in quel jet-set in cui si è sempre trovata a suo agio, favorita da una bellezza e una ricchezza ugualmente spropositata. 300 i milioni di dollari che Forbes garantisce lei avrebbe incamerato fra premi, sponsor e caramelle, 30 milioni soltanto nel 2015 prima dell’incidente Meldonium che le costò 15 mesi di squalifica a partire dal 2016 per un caso di doping in cui erano incappati tanti atleti russi, mai troppo chiaro e certamente mal gestito dai suoi avvocati.

Eh sì, Maria Sharapova si è arresa alla dolorosa sequela di infortuni che, addirittura prima della prima operazione alla spalla affrontata nel 2008 – 12 anni fa! – l’hanno quasi incessantemente martoriata. L’ultimo match lo aveva giocato e perso a Melbourne, dalla croata Vekic, il 20 gennaio, quando non volle assicurarmi che sarebbe tornata a Bordighera per continuare ad allenarsi nell’accademia di Riccardo Piatti. Era intanto precipitata al numero 373 del mondo.

28 anni di tennis per l’ex numero uno del mondo, campionessa di 5 Slam, 2 volte a Parigi (“Incredibile, non me lo sarei mai aspettato, i primi anni non riuscivo neppure a scivolare sulla terra rossa! Sembravo una mucca sul ghiaccio”), una in ciascuno degli altri Majors. “Ho iniziato prima di compiere cinque anni, ero così piccola che i miei piedi non toccavano terra quando mi sedevo sulla panchina a bordo campo. Usavo una racchetta due numeri più grandi del dovuto. Sono andata negli Stati Uniti per la prima volta a sei anni e tutto mi sembrava così enorme e irraggiungibile. Giocavo su campi in cemento sconnessi contro giocatrici sempre più anziane, più alte, più potenti di me…”.

La sua prima racchetta l’aveva regalata, a Sochi, il papà di Yevgeny Kafelnikov, a Yuri Sharapov, il papà di Maria. “Era nera…”. Se non fosse stato per il disastro nucleare di Chernobyl Maria non sarebbe diventata una stella del tennis. Yuri e Yelena vivevano a Gomel, oggi Bielorussia, in quell’aprile 1986. Fuggirono a Nyagan, in Siberia dove lei nacque un anno dopo. Poi si spostarono a Sochi, sul Mar Nero, dove conobbero i Kafelnikov. Quindi, sulle orme di Anna Kournikova e dell’American Dream, eccoli arrivare con meno di 1000 dollari all’accademia di Nick Bollettieri, a Bradenton Florida. Sacrifici enormi, determinazione pazzesca.

Non volevo credere ai miei occhi quando, nella finale di Wimbledon 2004 contro la favoritissima Serena Williams, vidi trionfare quella splendida ragazzina di appena 17 anni che prima ancora di ricevere il magico trofeo, si infischiò di ogni protocollo per chiamare la mamma al telefonino, un Motorola. Era uno dei suoi primi… dodici sponsor! Spregiudicata o semplicemente spontanea? “A Church Road ero solo una ragazzina che collezionava ancora francobolli e non ho realizzato ciò che avevo fatto per anni. Meglio così, me la sono goduta molto di più.

E pochi mesi più tardi allo Staples Center di Los Angeles rividi nuovamente la “Venere Siberiana” – nelle finali WTA – battere Serena Williams. Di lì a poco sarebbe diventata n.1 del mondo. Il 22 agosto 2005, a 18 anni e 121 giorni la quinta più giovane n.1 di sempre, dopo Hingis, Seles, Austin e Graf. Non avesse avuto mille problemi fisici, e il problema doping, sarebbe stata su quel trono molto più che 21 sole (!) settimane. 36 tornei li ha comunque vinti, ma l’ultimo nel 2017, in Cina, un torneo minore.

“Oggi mi basta vedere un mio video in cui alzo il braccio per colpire la palla e battere e sento male. No, non ci sarà un anno di… canto del cigno, non voglio chiudere la mia carriera in questo modo, non era come volevo finire, con tutti che mi chiedono perché smetto. 14 ore al giorno degli ultimi miei sei mesi li ho passati cercando di occuparmi del mio corpo, della mia spalla, ogni giorno prima di scendere in campo sottoponendomi a una macchina ultrasuoni, o a un’altra… ora basta. Il mondo del tennis mi mancherà, la perseveranza è stata la mia forza più grande, metterò lo stesso impegno in qualunque cosa farò. Intanto si è messa a studiare architettura, incoraggiata dal suo boyfriend inglese Alexander Gilkes.

Maria avrebbe dovuto incontrare Kobe Bryant tre giorni dopo la caduta del suo elicottero. Siamo così fragili, quanto è accaduto ha contribuito a spingermi in questa triste decisione. Avrei voluto vincere 7 o 8 Slam, certo, ma quando cominciai ero a zero….

LA RASSEGNA STAMPA COMPLETA – Maria Sharapova dice basta: “Perdonami tennis, ti dico addio” (Cocchi, Semeraro, Azzolini, Sisti)

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