Il sudafricano Craig Tiley ha un ruolo di primissimo piano nella politica del tennis, forte del suo doppio ruolo come CEO di Tennis Australia e direttore dell’Australian Open. Per questo motivo è stato invitato a un podcast australiano, “The First Serve” (che nella stessa puntata ha accolto interventi da parte del presidente ITF David Haggerty e di Vasek “Masaniello” Pospisil, qui il link), per commentare, fra le altre cose, lo slittamento del Roland Garros e ciò che comporta per il tennis.
A dire il vero, Tiley si è detto molto più impegnato su un altro fronte al momento, vale a dire il sostentamento dei 4000 coach locali attualmente appiedati (e lo stesso vale per il resto dello staff di Tennis Australia), problematiche reali davanti alle quali, giustamente, le acciaccature del calendario assumono un valore relativo. A questo si aggiunge il fatto che Tiley sia chiaramente versato nell’arte diplomatica (e si vedrà dal numero di punti concessivi con cui ha articolato i propri ragionamenti), e che quindi si rifugi spesso in frasi generiche quali “tutti dovranno rinunciare a qualcosa” o “ci saranno sicuramente grandi cambiamenti”, espressioni che trovano l’approvazione di tutti ma non accusano apertamente nessuno.
Però, va anche detto che se da un lato Tiley non ha voluto commentare sulla decisione della Federazione Francese (in ossequio al sopracitato ethos prudente), dall’altro si è richiamato al modo in cui il tennis viene storicamente organizzato, vale a dire con l’input di sette stakeholder principali (ATP, WTA, ITF, e gli Slam), e in suddetto sistema ATP e WTA prendono le decisioni principali in termini di programmazione della stagione. Perciò, se da una parte ha rimarcato più volte di non voler commentare sulle decisioni di altri (la FFT), dall’altra ha sottolineato tre cose:
- a) come la collaborazione e la collegialità siano fondamentali per aiutarsi, soprattutto in questo momento – e qui è difficile non leggere una critica ai colleghi gallici;
- b) che condivide l’intenzione della Laver Cup di disputarsi nelle date prestabilite, pur dicendosi certo che si troverà un accordo;
- c) che per i motivi di cui sopra l’Australian Open cerca di avere un atteggiamento bilaterale nei confronti delle altre parti in causa, pur riconoscendo che il rapporto con l’ATP e la WTA è per forza diverso e più stretto per la sua federazione, che ospita la ATP Cup e che ha messo sul tavolo una proposta equivalente per il tour femminile.
Tornando alla Laver Cup, Tiley ha affermato che “è presto per dire” se ci saranno ripensamenti o persino battaglie legali (visti i soldi che Tennis Australia sta investendo nell’evento in programma al TD Garden di Boston), ribadendo che gli stakeholders più coinvolti (fra i quali lui stesso) saranno in grado di trovare una soluzione.
Il CEO di Tennis Australia ha finito il suo intervento (della durata di una quarto d’ora) con una considerazione sui cambiamenti politici di cui il tennis avrebbe bisogno, forse la più interessante. Tiley ha più o meno disilluso l’audience sulla possibilità che in futuro nasca un organo governativo indipendente che si possa porre al di sopra dei partiti correnti (evidentemente l’ITF non è super partes), evidenziando la peculiare natura del nostro sport, dove management e forza lavoro siedono allo stesso tavolo, di fatto senza intermediazione.
Tiley ha allora voluto concludere sottolineando l’importanza di nominare le persone giuste, perché all’interno di trattative deregolamentate solo un atteggiamento positivo e una visione olistica del bene dello sport possono essere rilevanti – se questo è un fenomeno pericoloso, perché non crea una salvaguardia burocratica per insensate intransigenze, è anche vero che, secondo lui, negli ultimi anni le persone che hanno preso le decisioni l’hanno fatto con lungimiranza, trasformando in particolare gli Slam in eventi sportivi fra i più seguiti. In ogni caso, a suo parere questa è un’occasione per la nomenklatura tennistica di essere migliore, ed è ottimista sullo spirito collaborativo che questa pandemia potrebbe stimolare.