Storie di tennis: quando il tennis può fare male

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Storie di tennis: quando il tennis può fare male

Due storie legate al tennis: finite, purtroppo, con la morte del protagonista. Parliamo di due re e di molti, molti secoli fa…

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Carlo VIII di Valois, re di Francia
 

Evasione. Quella dello spirito in questi giorni oppresso da pensieri cupi. E cosa può esserci di più adatto di una bella storia di tennis per un’evasione spirituale domenicale, il giorno che in tempi normali è dedicato al riposo? Due storie di tennis. Quelle che vi proponiamo oggi.

La scienza medica ha autorevolmente affermato che il tennis è uno sport che fa bene alla salute. Purtroppo non è sempre così. Per dimostrarlo ci rechiamo alla corte del Re Enrico V d’Inghilterra, protagonista dell’omonima opera di Shakespeare nella quale il drammaturgo inglese gli fa pronunciare uno dei discorsi più celebri di tutti i tempi alla vigilia della battaglia di Azincourt, vinta dagli inglesi. Siamo quindi nella prima metà del 1400 e “le jeu de paume” – ovvero il gioco del palmo – grazie a Enrico V, che in gioventù ne era stato appassionato praticante, inizia a diffondersi in tutto il regno unito. Tale era l’amore giovanile di questo sovrano per l’antenato del tennis che il giorno prima della battaglia sopra citata i francesi per scherno gli inviarono un cesto pieno di palline da tennis; il re contraccambiò il regalo inviando ai francesi un cesto pieno di palle da cannone. Ma questa è un’altra storia.

Tornando alla nostra, scopriamo che dal 1406 sino al 1424 alla corte del re d’Inghilterra era presente un lontano discendente di Robert Bruce (il personaggio protagonista del film “Braveheart”), formalmente in qualità di ostaggio ma nella realtà in veste di ospite di riguardo: Giacomo I di Scozia. Nei 18 anni trascorsi a Londra egli divenne un fervente sostenitore dei costumi e della cultura inglese nonché un appassionato praticante del jeu de paume. In quell’epoca questo gioco si praticava con un guanto in cuoio o in pelle calzato sul palmo della mano mediante il quale si colpivano le palle a loro volta fatte di pellame animale e imbottite di piume. Le prime racchette da tennis giunsero un secolo dopo e le palline in gomma vulcanizzata quasi cinque secoli più tardi.

Giacomo I nel 1424 fece ritorno in patria dove continuò a praticare il gioco appreso alla corte d’Inghilterra e nell’inverno del 1437 si trovò a Perth con la consorte all’interno di un convento che – cosa non insolita per l’epoca – era dotato di uno spazio riservato al jeu de paume. In quei giorni Giacomo Primo vi si dedicò molto ma senza grandi risultati; perse una notevole quantità di palle mandandole per errore dentro una conduttura di scolo adiacente il campo e collegata con l’esterno del convento. Spazientito per l’inconveniente il sovrano impartì l’ordine che si rivelerà per lui fatale: murare l’estremità del condotto. Fu così che le palline furono salve e il re perduto.

Il 20 febbraio del 1437 intorno a mezzanotte Giacomo I stava giocando a scacchi con la regale consorte e alcuni amici quando vide il bagliore di numerose torce e udì i passi di uomini armati dirigersi rapidamente verso di loro. Il re mise al sicuro moglie e amici e poi cercò di mettersi a sua volta in salvo, ma commise un errore: cercare di uscire dal convento passando attraverso il cunicolo che tre giorni prima aveva fatto murare. Fu quindi costretto a tornare sui suoi passi dove fu circondato e ucciso a colpi di pugnale e di spada non senza avere opposto una fiera resistenza, come racconta nel suo diario la regina che, a differenza del re, si salvò. 

Per raccontare la seconda storia dobbiamo fare un piccolo salto nel tempo e nello spazio, prendendo atto che il quindicesimo secolo fu un periodo maledetto per i re del vecchio continente appassionati di giochi con la palla (da tennis). Protagonista è Carlo VIII di Valois, re di Francia dal 1483 al 1498 soprannominato “l’affabile” ma che con più precisione avrebbe dovuto essere chiamato “lo sbadato”, come presto vedremo.

Carlo VIII era nato nel 1470 nella valle della Loira nel castello di Amboise e in quel castello morì il 7 aprile del 1498. Quel giorno per volontà del re si disputava un torneo di jeu de paume organizzato allo scopo di distrarre la regina Anna di Bretagna dal doloroso pensiero di un recente parto non andato a buon fine. La mattina del 7 aprile per accedere al fossato in cui si sarebbe disputato il torneo Carlo VIII percorse a cavallo una stretta e buia galleria e, prima di uscire alla luce del giorno, colpì violentemente il capo contro un architrave in pietra.

Fu il prototipo di quella che secoli dopo Fantozzi definì “una craniata pazzesca” ma il monarca, forse imbarazzato per la figura poco regale, resistette in sella al cavallo e si accomodò al suo posto a fianco della consorte e dei suoi ospiti per assistere allo spettacolo come se nulla fosse capitato; alcune ore dopo, intorno alle 2 del pomeriggio, il monarca si accasciò improvvisamente al suolo a causa di un’emorragia cerebrale causata dall’infortunio. Le cure dei medici furono vane e nelle nove ore successive riprese conoscenza solo per pochi secondi subito prima di morire, duranti i quali chiese inutilmente a Dio e alla Vergine Maria di soccorrerlo. Spirò intorno alle 23.

Lo scorso secolo è stato teatro di un’altra tragica fatalità avvenuta nel 1983 allo US Open junior che costò la vita a un giudice di linea, che fu colpito all’inguine dal servizio di un giovanissimo Edberg e sfortunatamente, nel cadere per terra, batté fatalmente la testa. Ma mentre le prime due vicende sono così lontane nel tempo da poter essere viste e trattate con relativo distacco, non così si può dire della terza, sulla quale pertanto non ci sentiamo di aggiungere altro. A presto per un’altra storia di tennis.

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