Inimitabile Noah. Una vita all'attacco tra tennis e pop (Rossi). I primi 60 anni di Noah, il mito col sorriso (Nazione-Carlino-Giorno-Sport)

Rassegna stampa

Inimitabile Noah. Una vita all’attacco tra tennis e pop (Rossi). I primi 60 anni di Noah, il mito col sorriso (Nazione-Carlino-Giorno-Sport)

La rassegna stampa di lunedì 18 maggio 2020

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Inimitabile Noah. Una vita all’attacco tra tennis e pop (Paolo Rossi, La Repubblica)

Auguri Moschettiere, e altri sessanta di questi anni, magari sempre al ritmo di Saga Africa. Viva Yannick Noah, il Moschettiere degli Anni Ottanta, quello che rese felice la Francia nel 1983 al Roland Garros. Il tennista estroso e mai banale, quello che non s’è fatto ingabbiare dal sistema ma si è divertito a dribblarlo come faceva sul campo con il colpo che lui mostrò al mondo, la palla passata fra le gambe spalle alla rete, e che oggi tutti chiamano tweener. Ma chisseneimporta. Ha vinto solo uno Slam, ma ha dettato l’agenda delle cose che contano, ha indicato la strada e non si è mai vergognato di mostrare le debolezze, vedi la depressione post trionfo di Parigi, i pensieri maligni sul ponte della Senna sconfitti dalla musica dl Bob Marley. Il suo look rasta e le treccine diventate un’icona non erano frutto del caso, come raramente lo sono i simboli: è nel 1972 che in Camerun, a Yaoundé, che il piccolo Yannick incontra e palleggia con Arthur Ashe. L’influenza è magica, per il piccolo figlio di un calciatore africano professionista e di una mamma francese insegnante che lo porta a Parigi. Ma la vita, a un certo punto, chiede sempre un prezzo da pagare dopo averti fatto scalare la montagna e così l’istrionico Noah dovette scavare a fondo nelle sue radici per guarire:

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Ritornato al tennis, si concentrò sul piacere piuttosto che sul dovere (di vincere). Le sue variazioni di effetti e traiettorie, l’uso sistematico dello slice di rovescio, il servizio potente e il gioco a rete ne hanno definito il personaggio, cioè un uomo che ha giocato d’attacco nella vita, affrontando le sconfitte

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«Il pubblico ha perso la possibilità di conoscere la vita dei giocatori: non sai chi sono, qual è la loro personalità. Djokovic vorrebbe scherzare tutto il tempo ma non può, non è più possibile. E appena dici “merda” tutto il pubblico fischia. Domina il politicamente corretto, il tutto uguale». Probabilmente non assisteremo più all’indimenticabile delirio del 1991 a Lione, finale di Coppa Davis tra Francia e Stati Uniti: Noah è appena diventato ex giocatore ed è stato scelto come capitano dei Bleus per la missione impossibile: battere Sampras. Il miracolo avviene e, dopo il match-point di Forget sull’americano, qualcuno porge un microfono a Yannick. Quello che succede dopo è commovente, perché Noah trova parole d’ispirazione: «A tous les petits blancs et tous les petits noir…». Un palazzetto in delirio totale e Noah che intona, trascinatore, le parole della *** sua canzone, Saga Africa, per un trenino sportivo rimasto nella storia.

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I primi 60 anni di Noah, il mito col sorriso (Nazione – Carlino – Giorno- Sport)

I 60 di Yannick Noah forse diranno poco ai Millennials, a chi ha la fortuna di essere giovane. E del resto il tennis ha prodotto personaggi ben più presenti negli albi d’oro dello Slam di questo originale francese, cui la storia della racchetta attribuisce un trionfo al Roland Garros e i successi come capitano non giocatore in Davis e in Fed Cup.

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Yannick Noah ha riempito le nostre cronache, pure rallegrandole, perché negli Anni Ottanta, forse gli ultimi segnati dalla illusione in un cambiamento in meglio, ecco, in quegli anni lì Noah era un francese di ceppo africano e i bianchi di Parigi non trovavano strano tifare per lui. Perché c’è stata una fase, sul finire del secolo scorso, in cui ci sembrava plausibile, se non addirittura auspicabile, una integrazione multietnica, una condivisione nel rispetto reciproco di valori che superavano le barriere razziali. Poi sappiamo come siano andate le cose, in particolare nella cara vecchia Europa, complice anche l’11 settembre americano. Proprio la Francia, che ancora nel 1998 fu il palcoscenico per le imprese iridate della Nazionale di Zidane, una squadra di calcio che mescolava neri, bianchi, meticci, cristiani, musulmani, atei, tutti insieme, proprio la Francia, dicevo, si sarebbe trasformata nella frontiera del panico, con le stragi dell’odio, da Charlie Hebdo al Bataclan al lungo mare di Nizza, in una catena di catastrofi inappellabili. Si, i 60 anni di Noah non ci servono per celebrare i suoi servizi e i suoi smash o i suoi rovesci. Ci serve, il compleanno, per recuperare lo spirito di una era che è durata troppo poco.

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