Thiem e Zverev sulla barca di Djokovic: l'Adria Tour è un messaggio allo US Open?

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Thiem e Zverev sulla barca di Djokovic: l’Adria Tour è un messaggio allo US Open?

“Può essere criticato, si può dire che sia pericoloso. Ma non spetta a me valutare cosa è giusto per la salute” afferma Djokovic. Dominic e Sascha condividono le perplessità sulle regole rigide per giocare a New York

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Il ritorno in campo di Novak Djokovic a Belgrado, a cui hanno partecipato migliaia di tifosi con grande entusiasmo, ha reso evidenti due cose. La prima è che in Serbia la paura del virus è stata ampiamente superata. La seconda è che lo scetticismo sostenuto dal numero uno del mondo a proposito della disputa dello US Open a certe condizioni – che vedremo essere condiviso anche da Thiem e Zverev – non riguarda un eventuale timore (individuale o collettivo) di contrarre il virus, come sostenuto ad esempio da Kyrgios e Millman. Semmai è il contrario: sono le condizioni troppo rigide che la USTA intende imporre a perplimere Nole (e altri top player).

Nel corso di una conferenza stampa a margine dell’Adria Tour, un giornalista tedesco gli ha fatto notare che in Germania sarebbe impossibile organizzare un evento a quelle condizioni, chiedendogli se il messaggio che l’Adria Tour vuole mandare è che ci siamo definitivamente lasciati il virus alle spalle.

Sono circostanze diverse“, ha risposto Djokovic. “È difficile parlare di standard internazionali: quali sarebbero? Nessuno lo sa, in realtà. È più una questione di approcci locali in base ai quali i paesi ammettono o meno questi eventi con il pubblico, perché rispetto ad altri paesi magari hanno affrontato dei numeri migliori (di contagi e decessi, ndr). Qui abbiamo avuto discreto successo nel combattere il coronavirus. Ovviamente molte persone sono morte (in Serbia 253 decessi a fronte di circa 12.000 casi, ndr) ed è orribile da vedere, qui come ovunque. Ma la vita va avanti e noi atleti non vediamo l’ora di poter competere, e l’intera idea dell’Adria Tour è nata con l’intento di mettere insieme questi concetti“.

Sì, questo è un messaggio positivo” ha specificato Nole. “Certo, può essere valutato da diversi punti di vista. Può essere criticato, si può dire, ad esempio, che magari sia pericoloso. Ma non spetta a me valutare cosa è giusto dal punto di vista della salute: stiamo semplicemente seguendo le regole del governo serbo. Abbiamo avuto quest’opportunità e la stiamo sfruttando. Mi auguro che il circuito possa ripartire presto“.

La matassa, adesso, sembra essersi dipanata. In qualche modo l’esibizione adriatica ha voluto inviare un messaggio, con destinatari multipli; tra questi, in copia nascosta, c’era probabilmente anche la USTA che proprio in queste ore sta formalizzando la sua decisione sulla disputa dello US Open per comunicarla, verosimilmente, lunedì 15 giugno.

Il messaggio è condiviso anche da Zverev e Thiem, che hanno accettato l’invito di Djokovic a Belgrado. Sascha è rimasto in qualche modo ‘sedotto’ dalla libertà belgradese: “La cosa più bella è stata vedere che qui la vita va avanti. Eravamo al ristorante ieri, con la musica dal vivo… la gente non era spaventata come in altri paesi“. Guardandosi intorno, durante la conferenza, ha infine detto: “Non vedevo così tante persone in una sola stanza da un po’; è strano, ma allo stesso tempo bello“. Anche sull’argomento US Open Zverev si è allineato al parere di Djokovic: “Tutti vogliono giocare uno Slam, se è possibile. Però dovremmo stare due settimane in quarantena in aeroporto e questo significa che non potremmo subito giocare un torneo, quindi ci servirebbero altre due settimane di allenamento; bisogna considerare sei o sette settimane. Non potremo utilizzare gli spogliatoi, né fare la doccia o mangiare all’impianto. Non credo che molte persone lo troveranno confortevole“.

Sono d’accordo, queste condizioni sono piuttosto severe” ha confermato Thiem. “Poter portare con sé una sola persona… uno Slam può essere molto impegnativo fisicamente e si tratta quindi di scegliere tra portare l’allenatore o il fisioterapista. Credo che qualcosa debba cambiare perché abbia senso andare lì a giocare“.

A oltre mille chilometri di distanza, nella bolla di Sophia-Antipolis pensata da Mouratoglou, si è levato il parere discorde di Gasquet. “Le condizioni sono difficili, ma fattibili. Arrivi lì, vai in hotel stai nella tua stanza. È una cosa normale, per proteggere gli altri e se stessi“. La sensazione è che questa battaglia di retroguardia non si concluderà neanche domani.

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