Djokovic positivo al Covid-19. La stampa italiana (Crivelli, Semeraro, Azzolini, Piccardi)

Rassegna stampa

Djokovic positivo al Covid-19. La stampa italiana (Crivelli, Semeraro, Azzolini, Piccardi)

La rassegna stampa di mercoledì 24 giugno 2020

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DjoCovid. Il gigante a terra (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il pasticciaccio brutto dell’Adria Cup alla fine deflagra come una carica esplosiva incendiata dalle contraddizioni, dagli errori, dalla noncuranza, dai comportamenti irresponsabili tenuti in nome di una normalità ancora lontana, allungando ombre pesanti sulla ripartenza del tennis. Perché dopo Dimitrov, Coric, Troicki (e la moglie incinta), un allenatore e un preparatore, stavolta la positività al coronavirus colpisce molto in alto: in vetta alla classifica. Dopo una giornata trascorsa tra mille illazioni e l’attesa spasmodica di novità per l’enorme rilevanza del protagonista, il numero uno del mondo Novak Djokovic comunica personalmente via social l’esito del tampone effettuato domenica: «Ci siamo sottoposti al test quando sono rientrato a Belgrado. Il mio risultato è positivo, come quello di Jelena (la moglie, ndr), mentre il risultato dei nostri figli è negativo». Il campione di 17 Slam è asintomatico (come la moglie) e adesso trascorrerà le canoniche due settimane in isolamento, sottoponendosi a un altro tampone fra quattro giorni. Ma più che delle conseguenze del virus, sicuramente gestibili, Nole dovrà preoccuparsi del clamoroso danno d’immagine che la vicenda gli ha già procurato, aggravato dal suo ruolo di primo sindacalista dei giocatori in seno all’Atp. L’Adria Cup, infatti, doveva rappresentare il manifesto dei suoi convincimenti sul virus, senza dubbio controcorrente rispetto alla corrente maggioritaria, dalle posizioni no vax al trattamento con metodi naturali (fino a spingersi a sostenere le proprietà terapeutiche dell’acqua stimolata dal pensiero) e un messaggio chiaro agli organizzatori dei tornei venturi, in particolare degli Us Open, troppo vincolati a misure di sicurezza ritenute estreme e non necessarie. E invece adesso si ritrova sconfitto: nessuno è intoccabile, e senza le misure di prevenzione tutti siamo ancora a rischio. Una caduta addirittura più pesante di un k.o. sul campo, per lui che anela da sempre al consenso della gente, e alla quale ha provato a reagire con una correzione di rotta affidata allo stesso post dell’annunciata positività: «Tutto quello che abbiamo fatto nel mese scorso, lo abbiamo fatto con le intenzioni più sincere. L’esibizione aveva lo scopo di unire e favorire la condivisione di un messaggio di solidarietà e compassione tra Paesi… Tutto è nato da un’idea filantropica… Abbiamo organizzato il torneo quando il virus si era indebolito, credendo che ci fossero le condizioni per ospitarlo. Sfortunatamente il virus è ancora presente ed è una realtà con cui dobbiamo imparare a convivere. Spero che il tempo possa alleviare il problema in modo che si possa tornare a vivere come prima. Sono estremamente dispiaciuto per ogni contagio. Spero che non peggiorerà le condizioni di salute di nessuno e che tutto vada per il meglio». […] I media serbi si sono concentrati sulle presunte colpe di Dimitrov, che avrebbe accusato sintomi febbrili già all’inizio della scorsa settimana ma avrebbe partecipato a tutti gli eventi (e alla partita con Coric) prima di ritirarsi per un misterioso problema a un gomito. Un tentativo di attribuirgli il contagio, ma non possono esserci certezze, come attorno a Djokovic: Nole aveva partecipato a una festa a Belgrado col cestista Jankovic, poi risultato positivo. Alla stessa festa era presente anche Nikola Jokic, stella serba che gioca in Nba con Denver: ha incontrato Jankovic, si è seduto in tribuna vicino a Djokovic. Jokic è risultato positivo subito dopo l’evento, da allora è in quarantena nella sua Sombor. Sarebbe dovuto tornare negli Usa entro lunedì 15, per cominciare a preparare con la sua Denver la ripresa della stagione Nba, invece non tornerà negli Usa prima di una settimana, ammesso che il virus gli sia passato. La notizia della sua positività si è diffusa poche ore dopo quella di Djokovic, che dopo quell’incontro ha stretto mani, abbracciato centinaia di tifosi, ballato come un pazzo in discoteca. Tutto il contrario delle precauzioni richieste dalla pandemia, tanto da meritarsi le rampogne bonarie del presidente Fit Binaghi, che invece si gode gli Assoluti di Todi come vetrina ideale su come ripartire in sicurezza: «Abbiamo seguito per filo e per segno tutto quello che lui ha fatto durante l’Adria Tour, per fare esattamente il contrario. Ci ha insegnato tutto quello che non faremo durante gli Internazionali di Roma, anche per lui». […]

«Atteggiamento da bimbo in bici che non voleva usare il casco» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Tradito da uno di famiglia. Deve essersi sentito così, Andrea Gaudenzi, il presidente dell’Atp, quando è deflagrato il bubbone dell’Adria Cup, culminato nella clamorosa positività di Novak Djokovic, che dell’esibizione nei Balcani è stato il simbolo e l’animatore. Nole non soltanto ha preparato il terreno alla nomina dell’ex azzurro, ma siede anche al flanco di Gaudenzi nel Consiglio come rappresentante dei giocatori. E in aggiunta è il numero uno del mondo, quindi una sorta di istituzione. Per l’Associazione il danno d’immagine è enorme, proprio nel momento in cui si stanno definendo con enormi sforzi i dettagli per una difficile ripartenza. La critica del presidente non è aggressiva, ma arriva dritta al punto: «E’ un po’ come quando dici ai tuoi figli che cercano di imparare ad andare in bicicletta che devono indossare il casco. E loro dicono “no, no e no”. Poi vanno in bici, cadono e mettono il casco. Ora sappiamo tutti che il virus può essere contratto molto facilmente, quindi staremo ancora più attenti e forse avremo un po’ più di tolleranza verso la bolla (cioè la decisione di far giocare il Masters 1000 di Cincinnati a New York come prova degli Us Open, così da tenere i giocatori per tre settimane nello stesso luogo con maggiori possibilità di controllo sanitario, ndr). Ovviamente dispiace per i giocatori, vogliamo che si riprendano il prima possibile. Dobbiamo stare tutti attenti ed essere consapevoli che, anche con misure estreme, potrebbero esserci delle positività. Corriamo tutti il rischio». A sferzare Djokovic provvede anche Andy Murray, tornato in campo proprio ieri: «Ho sempre avuto un bel rapporto con Nole, ma quanto accaduto in questi giorni non ha dato una bella immagine del tennis. E importante che gli atleti di rilevanza mondiale mostrino di prendere molto sul serio quanto sta accadendo, rispettando le misure di distanziamento sociale. Io e il mio fisioterapista durante le sedute utilizziamo le mascherine per ridurre il rischio. Spero che si possa trarre insegnamento da quanto accaduto all’Adria Tour anche perché il circuito farebbe fatica a ripartire se ogni settimana dovessimo avere problemi con i tennisti che si sentono di fare ciò che vogliono, senza particolari attenzioni». Ovviamente, non poteva mancare un tweet corrosivo di Kyrgios, che già aveva definito un’idiozia organizzare l’esibizione: «Oh, boy», ha postato non appena ha saputo della positività di Djokovic, aggiungendo: «Non chiamatemi più irresponsabile e non giudicate stupidi alcuni miei comportamenti, perché questa le ha superate tutte». Come dargli torto.

Djokovic è positivo. Il tennis lo attacca (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Il campione del pensiero positivo adesso di positivo ha anche il test al coronavirus. «Appena siamo arrivati a Belgrado ci siamo sottoposti all’esame – ha annunciato al mondo Novak Djokovic – Il mio è risultato positivo, come quello di Jelena (sua moglie, ndr), mentre i nostri figli sono negativi». Uno shock, non una sorpresa, visto lo stile di vita del numero 1 del mondo nelle ultime due settimane. Una sfida a muso duro a tutte le norme di sicurezza. Non solo le due tappe dell’Adria Tour organizzate a Belgrado e Zara senza distanziamento sociale, con tanto di autografi e pacche sulle spalle ai fan, ma anche le partitelle a calcio con gli altri colleghi – che sono costati il contagio anche a Grigor Dimitrov, Borna Coric, Viktor Troicki, al manager e all’allenatore di Dimitrov, alla moglie di Troicki e (pare) al preparatore fisico di Djokovic, il romano Marco Panichi – l’incontro di basket e i party notturni a Belgrado, fra cori scatenati e addominali esposti. Che fossero comportamenti a rischio Djokovic lo sapeva, ma ha sfidato il Covid-19 con arroganza, sicuramente con leggerezza. «Tutto quello che abbiamo fatto nell’ultimo mese, l’abbiamo fatto con cuore puro e intenzioni sincere – dice Djokovic – Il nostro torneo voleva unire e condividere un messaggio di solidarietà e di compassione in tutta la regione». […] Ma che bisogno c’era, viene da commentare, di giocare anche a calcio e a basket, o di convocare party danzanti in discoteca? Anche quando si tratta di spiegare la sua condotta in questa occasione il Djoker, già messo sotto accusa per le sue dichiarazioni No Vax e per le critiche alle misure di sicurezza – draconiane – prese dagli US Open, non sembra capace di realizzare la gravità della situazione. Che con il virus non ci sia da scherzare, come appare evidente dalla situazione in Sudamerica, negli States, e dal ritorno di fiamma in Cina, è chiaro a tutti. Meno che al numero 1 del mondo di tennis, che già alla vigilia aveva ammesso che qualcuno avrebbe potuto criticare la scelta di giocare in condizioni a rischio. «Siamo atleti, abbiamo voglia di gareggiare», si era giustificato Djokovic. GIUSTIFICAZIONI. «Abbiamo organizzato il torneo nel momento in cui il virus si era indebolito, credendo che le condizioni per ospitare il Tour fossero soddisfatte – continua il comunicato – Purtroppo, questo virus è ancora presente, ed è una nuova realtà che stiamo ancora imparando ad affrontare e con cui dobbiamo convivere. Spero che la situazione diventi più facile con il tempo, così che tutti noi possiamo riprendere la vita di prima. Sono estremamente dispiaciuto per ogni singolo caso di infezione. Spero che non si complichi la situazione sanitaria di chiunque e che tutti stiano bene». Scuse tardive, sempre che le si voglia considerare scuse, e non un tentativo, poco convincente, di giustificare scelte discutibili. […]

Effetto DjoCovid (Daniele Azzolini, Tuttosport)

NoVax DjoCovid… ll web ha la battuta pronta, e il nickname che sembra un refuso l’hanno appiccicato a Novak Djokovic in via diretta, come un Tapiro d’Oro a chi l’ha combinata grossa. Geniale, però. Due parole per dire che il tennista contrario a ogni tipo di vaccino, anche quello anti-Coronavirus se mai verrà scovato, lo sportivo che si sente prescelto da lassù, nell’alto dei cieli, da ieri è alle prese con il Covid-19. Lui e la moglie, signora Jelena (ma non i figli, per buona sorte). Categoria asintomatici, così parlò il tampone, test che negli ultimi giorni aveva già fermato Borna Coric e poi Grigor Dimitrov e Viktor Troicki, con la moglie di quest’ultimo e Marco Panichi, preparatore adetico di Djokovic, secondo l’ormai noto schema geometrico che ha spinto il virus ad appropriarsi del mondo… Prima uno, poi due e dopo quattro, otto e così via. Tutti partecipi dell’Adria Tour, evento organizzato con mano leggera dalla famiglia Djokovic, già asauto alle cronache preoccupate dei medici sportivi per le tribune assiepate di spettatori e per la festa sin troppo spensierata svoltasi al termine della tappa di Belgrado, sulla pista da ballo del Lafayette Cuisine Club, fra vorticose danze e calorosi assembramenti non protetti. Non c’è niente di piccolo – se si resta nella dimensione tennistica – quando di mezzo c’è il numero uno, per di più presidente del board Atp e uno dei conclamati Fab Four. Proprio niente. Da Djokovic era logico aspettarsi ben altro, un comportamento più in linea con ciò che rappresenta, per lo sport e per decine di migliaia di appassionati. Un comportamento più aderente alle faticose scelte prese dall’Atp, che ha rimandato fino all’ultimo la ripresa del circuito e solo da pochi giorni ha tracciato il calendario che dal 14 agosto (a Washington) a porte chiuse, o semi-aperte, vedrà di nuovo in campo i professionisti. Sempre che “l’affaire DjoCovid” non imponga nuovi ripensamenti, e nuovi rinvii. Se ne rende conto di questo, Nole? Il rimbrotto che gli rivolge Andrea Gaudenzi, presidente Atp, va oltre l’amabilità con cui viene dettato e la dice lunga sui sentimenti che corrono oggi fra vertice dirigenziale e numero uno del tennis: «È un po’ come quando dici ai tuoi figli che cercano di imparare ad andare in bicicletta che devono indossare il casco. E loro rispondono “no, no e no”.Poi vanno in bici, cadono e capiscono che il casco andava messo. Ora sappiamo tutti che il virus può essere contratto molto facilmente – prosegue Gaudenzi, con tono pacato ma risoluto -. Quindi staremo ancora più attenti e forse avremo un po’ più di tolleranza verso la bolla. Ovviamente dispiace per i giocatori, vogliamo che si riprendano il prima possibile. Sappiamo che ci sono state molte critiche, ma dobbiamo stare tutti attenti ed essere consapevoli che, anche con misure estreme, potrebbero esserci delle positività. Corriamo tutti il rischio». Alle parole si aggiunge il comunicato dell’Atp che continua a sollecitare l’adesione rigorosa al distanziamento sociale responsabile e alle linee guida in materia di salute e sicurezza per contenere la diffusione del virus: Una varietà di precauzioni e protocolli “in base alle ultime informazioni mediche” è stata pianificata nelle riunioni che hanno condotto al varo del calendario. È questa la “bolla” cui si riferisce Gaudenzi, la stessa reclamata a gran voce dai media croati, forse i più feroci nel giudicare Djokovic. Il torneo di Zara è stato sospeso, e il comportamento di Djokovic, che ha fatto ritorno in Serbia prima di sottoporsi al tampone, stigmatizzato. «Abbiamo dimenticato ciò che è accaduto in Italia e messo a rischio migliaia di persone perché qualcuno voleva colpire la palla» scrive un quotidiano croato. L’immagine e la credibilità di Nole ne escono offuscate? Ne sono tutti convinti. La difesa d’ufficio del campione serbo tira in ballo le finalità filantropiche del Tour. Ma non è in discussione l’attenzione sempre espressa da Nole in campo umanitario. Si discute di un piccolo circuito che sta facendo un grande danno, che con altre regole poteva essere probabilmente evitato. L’estate del Numero Uno lo ha fatto conoscere in maniera diversa. Ma se sulle polemiche verso Federer («invidioso» dice papà Sdrjan, «arrogante» punge la mamma, Dijana), sulle fesserie del potere della mente che purifica l’acqua, sulle frasi anti-vaccino, sulle polemiche per le misure di sicurezza varate per gli Us Open, e finanche sul sentirsi “prescelto da Dio” si può chiudere un occhio, considerandolo magari ciarpame ma attinente alla sua visione di se stesso e della vita, più difficile è farlo verso la mancata ammissione degli errori commessi e la dovuta assunzione di responsabilità.

Djokovic diventa DjoCovid (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Ora che il contrappasso trafigge il numero uno del tennis mondiale Novak Djokovic come un passante in controtempo — positivo al coronavirus insieme alla moglie Jelena (negativi i figli, Stefan di 5 anni e Tara di 3) dopo due tappe dell’Adria Tour, scellerato torneo itinerante nei Balcani organizzato senza alcun distanziamento sociale — sarebbe ingiusto avallare acriticamente il tribunale dei social, che ha subito ribattezzato il campione dei 17 titoli Slam «NoVax DjoCovid», con spietata ma geniale sintesi. Qualcosa però, nell’agiografia del serbo si e improvvisamente inceppato durante la pandemia. Lasciato solo nel lockdown, senza ufficio stampa, lontano dal protocollo delle conferenze post match, Djokovic si è sentito di condividere riflessioni sull’epidemia e sul virus attirandosi critiche da ogni angolo, come se la ferrea disciplina con cui da sempre insegue i due grandi rivali in fuga, Roger Federer e Rafael Nadal, fuori dal perimetro del campo si fosse improvvisamente concessa una libertà eccessiva e mal gestita, forse per inesperienza, che gli si è ritorta contro come un boomerang. Prima di mettere in piedi le esibizioni di Belgrado e Zara che hanno acceso il focolaio di contagi (oltre al serbo positivi i colleghi Dimitrov, Coric, Troicki, la moglie incinta di quest’ultimo, il preparatore atletico di Novak, l’italiano Marco Panichi, e Christian Groh, coach di Dimitrov), Djokovic si era lanciato in dissertazioni contro il vaccino («sono contrario: se si rendesse necessario per tornare a giocare, dovrei pensarci»), in lunghe dirette Instagram con Chervin Jafarieh, discusso maitre-à-penser con cui il re del tennis condivide teorie sul potere dell’acqua («le molecole reagiscono alle nostre emozioni») e un’opinabile concezione della pandemia («un periodo eccitante»). Argomenti da maneggiare con cura, soprattutto nel ruolo di Djokovic, seguito da milioni di tifosi, e invece trattati con colpevole superficialità. Anche l’Adria Tour, che nasceva con le migliori intenzioni («Diffondere un messaggio di solidarietà» secondo il tennista), avrebbe dovuto essere organizzato diversamente, dati i tempi così delicati. E invece niente distanziamento né mascherine, bambini addosso ai campioni per l’autografo, una festa in discoteca a Belgrado le cui immagini, riviste oggi, mostrano un gruppo di miliardari dello sport su di giri, troppo immaturi per essere veri. «E’ come quando dici ai tuoi figli che imparano ad andare in bicicletta che devono mettere il casco. E loro si rifiutano. Poi cadono e finalmente lo indossano» la strigliata a Djokovic (senza mai nominarlo) di Andrea Gaudenzi, il chairman dell’Atp Tour che sta faticosamente cercando di rimettersi in moto con regole rigidissime, giudicate «eccessive» proprio dal nostro eroe sbugiardato dalla storia. […]

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