Nuovo criterio per il ranking, Berrettini ‘vede’ il Masters (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
Alla fine, sorridono tutti. I big, che dopo la pandemia potranno programmare una stagione per forza compressa senza l’assillo dei punti da difendere e dunque rinunciando a qualche appuntamento per tirare il fiato. Ma anche la piccola borghesia, che avrà l’opportunità di infilarsi negli spazi lasciati liberi dai più forti nei tornei più corposi per il ranking e per il portafoglio. Dopo averla congelata il 16 marzo causa pandemia, l’Atp ha fissato le regole per la nuova classifica. La novità più grande riguarda il periodo di tempo in cui un giocatore può conservare i punti ottenuti, che sale da un anno (52 settimane) a 22 mesi, cioè dal marzo 2019 al dicembre 2020. Quindi ogni tennista potrà scegliere i propri 18 migliori risultati tra i tornei disputati in questo frangente, ma con la postilla che in caso abbia giocato lo stesso torneo sia nel 2019, sia nel 2020, conserverà solo il risultato migliore. […] Due esempi: Fognini, che vinse Montecarlo nell’aprile 2019, alla ripresa non perderà i 1000 punti del successo, ma anzi li terrà fino ad aprile dell’anno prossimo; Rafael Nadal, che l’anno scorso vinse Roland Garros e Us Open, due tornei programmati anche dal nuovo calendario, se dovesse uscire al primo turno in entrambi conserverebbe comunque i 4000 punti delle due vittorie 2019. […] Come conseguenza, l’Atp per questa stagione non si affiderà alla Race to London per definire i qualificati al Masters, ma si baserà sulla classifica del 9 novembre: i primi 8 del ranking di quella settimana voleranno a Londra. Un sistema che almeno sulla carta potrebbe favorire Berrettini e consentirgli la qualificazione per il secondo anno consecutivo: Matteo attualmente è numero 8, non perderà i 720 punti della semifinale degli Us Open 2019 (ma può migliorarli con la finale o la vittoria…) e tra Madrid, Roma e Parigi difenderà solo 135 punti, con la possibilità di rendere ancora più solido un posto nella top ten fino all’autunno inoltrato.
Intervista ad Adriano Panatta: “Il Manifesto e il primo milione. Ora quest’Italia mi fa infuriare. Vorrei qui papà per festeggiare” (Stefano Semeraro, La Stampa)
Adriano Panatta domani compie 70 anni. «Ho capito: mi tocca l’epitaffio». No, Adriano: le memorie di un italiano. Partiamo dagli Anni ’50? «Vivevamo al Parioli, mi ricordo il pizzetto del maestro Moretti, la nevicata del ’56. Non sapevo di vivere nel Dopoguerra: me ne accorsi quando al Campo Parioli tolsero le baracche degli sfollati per farci il Villaggio Olimpico. Demolirono il vecchio Stadio Torino, dove mio nonno Pasquale era custode, per costruirci il Flaminio. I 200 metri di Berruti li vidi in diretta tv». «[…] Negli Anni ’60 ci trasferimmo all’Eur. Moderno, bellissimo, però ogni giorno dovevo farmi 20 chilometri in bici per andare a giocare al Parioli. Belli i sette colli, ma se devi pedalare… Poi mio padre mi comprò il velosolex e mi sentivo il re del mondo. Giravo con il sole, la pioggia, i giornali sotto la maglietta per proteggermi dal vento». La prima moto? «Tormentai mio padre perché volevo un Mondial 50, che costava quasi quanto un suo stipendio. Aveva quattro soldi in banca, e risparmiava per farci fare le vacanze – evidentemente non ho preso da lui… – ma me lo comprò. Una cosa che mi ha segnato per sempre». Meglio il tennis o i motori? «Il tennista l’ho fatto per 15 anni, il motonauta per 25, con due record del mondo di velocità e un mondiale endurance. Ho corso anche in macchina, fatto i raid nel deserto. Al Parioli dissi: continuo a giocare per voi ma in regalo voglio la Gilera 125: avevo compiuto 16 anni. La mia racchetta era la Maxima, ma al vecchio signor Pietra, che era un po’ tirato, per rinnovare il contratto chiesi di passare alla Dunlop, che lui distribuiva in Italia, e un milione. Lo spesi per comprami un’Alfa Gt junior, bianca, usata. E ci andai subito a Formia». Con «Il Manifesto» sotto il braccio. «Sì, ma solo per fare incazzare Mario Belardinelli, che era fascista. Ero molto più moderato di quanto volevo far credere». E senza manager e addetto stampa. «Un giorno mi chiama la Pirelli, vado a Torino, da solo. Sede megagalattica, uffici enormi. L’amministratore delegato mi spiega che vogliono fare una scarpa Superga con il mio nome, mi chiede se ho una richiesta. ‘Sì: 100 milioni’. Ma lo sa – mi fa – che io ne guadagno 36?’. ‘E lei lo sa che io tiro le palle sulle righe?’. Ha firmato». […] Gli italiani le piacciono? «Un popolo meraviglioso. Poi mi infurio quando vedo gli scemi che ballano e cantano senza mascherine. Non userei il lanciafiamme di De Luca, che pure mi ha fatto sorridere, ma l’idrante sì. Siamo un paese pieno di eccellenze, che a volte spreca il suo talento». […] Un romano che vive a Treviso: come si trova? «È una città civile, molto bella. L’anno prossimo qui inaugurerò un centro tennis molto importante. Ho trovato la mia dimensione, la metropoli ormai mi dà l’ansia. Roma la adoro, figuriamoci, ma appena arrivo al raccordo anulare mi incazzo…». […] Il tennis come è cambiato? «Hanno venduto la Coppa Davis, una vergogna. Per anni hanno messo i manager della Disney a governare lo sport, ora per fortuna c’è Andrea Gaudenzi, che di tennis ne capisce». Dopo Federer che succede? «Ci dispiacerà non vederlo giocare, ma arriveranno altri campioni, come sempre. Morto un papa, se ne fa un altro». Molto romano. Per chiudere: di che cosa va fiero? «Di aver reso popolare il tennis. E di essermi comportato sempre bene con le persone. Senza portare rancore a nessuno». Domani con chi festeggerà? «In famiglia, ma se potessi inviterei qualche amico che non c’è più: Mario Belardinelli, Umberto Bitti Bergamo, Vincenzo Romano, Chiarivo Cimurri, Paolo Villaggio. E mio padre».