Come riportato nei giorni scorsi, Danielle Collins, N.51 WTA e semifinalista all’Australian Open del 2019, è stata esclusa dal World Team Tennis dopo aver violato la bolla, spostandosi addirittura in un altro Stato con la propria auto: l’evento si svolge in un resort, The Greenbrier, con sede in West Virginia, mentre la tennista si è recata a Charlottesville, in Virginia, ufficialmente per acquistare farmaci per la sua artrite reumatoide.
Questo mette la combattiva alumna della University of Virginia in una posizione apparentemente complicata sul piano della coerenza, visto che il mese scorso la sua era stata una delle voci più critiche per il comportamento tenuto dai partecipanti dell’Adria Tour, e in particolare da Novak Djokovic.
Queste erano state le sue parole su Instagram (aveva poi cancellato il post): “Questa è una grande contraddizione rispetto ai commenti sulle donazioni dei top 100 ai giocatori fuori dalla top 250. Nessuno ha potuto giocare eventi ufficiali o guadagnare dei soldi da febbraio. Adesso abbiamo una grande opportunità di andare avanti giocando lo US Open, con alcune rigide precauzioni per essere sicuri che tutti i giocatori siano al sicuro e che la salute rimanga al primo posto. Questa è una grande opportunità per i giocatori di ricominciare a guadagnare, e invece abbiamo i top player che dicono che poter portare una sola persona li mette in difficoltà perché non possono farsi accompagnare da tutto l’entourage.
Se è sicuro giocare, e USTA, WTA e ATP fanno di tutto per mettere la sicurezza dei giocatori al primo posto, penso che dovremmo supportarli. È facile quando hai guadagnato 150 milioni in carriera dire alla gente cosa fare con i loro soldi e poi dichiarare di non voler giocare lo US Open. Molti di noi (la maggior parte dei giocatori) che non viaggiano con uno staff al seguito, devono tornare a lavorare. Sarebbe bello se i migliori giocatori del mondo ci supportassero, invece che fare il contrario”.
Tuttavia, Collins non vede contraddizioni fra i commenti delle ultime settimane e il comportamento tenuto durante il WTT, soprattutto perché, stando alle sue parole, non sapeva di non poter lasciare il resort, non avendo ricevuto informazioni per iscritto, come riportato da Christopher Clarey sul New York Times: “Non ho infranto una regola di proposito, quindi non credo che le mie azioni smentiscano le mie parole sullo US Open. Ho firmato un documento che conteneva le indicazioni relative ai protocolli di sicurezza del WTT, e non c’erano riferimenti all’obbligo di non lasciare la struttura“.
Secondo il chief executive della manifestazione Carlos Silva, però, le condizioni erano state ampiamente spiegate durante un incontro fra giocatori e staff avvenuto l’11 luglio, e ribadite quattro giorni dopo in un meeting con gli allenatori e i manager degli atleti partecipanti, come Kim Clijsters, Sofia Kenin e Venus Williams.
Va ricordato che il World Team Tennis non ha mai forse avuto la stessa importanza di quest’anno, in quanto una delle prime manifestazioni sportive a testare la bolla, ed è quindi uno dei modelli su cui si baserà lo sport nell’immediato futuro. Un po’ come ha affermato Andrea Gaudenzi sulla débacle dell’Adria Tour, però, la punizione comminata a Collins potrebbe avere dei risvolti positivi, servendo da monito per chi non dovesse rispettare le regole a Flushing Meadows.