Chi sarà il numero 1? "Medvedev e Thiem pronti a scalzare i mostri sacri" (Bertolucci). Smith primo maestro: "Impressionato da Sinner" (Piccardi)

Rassegna stampa

Chi sarà il numero 1? “Medvedev e Thiem pronti a scalzare i mostri sacri” (Bertolucci). Smith primo maestro: “Impressionato da Sinner” (Piccardi)

La rassegna stampa di martedì 24 novembre 2020

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Chi sarà il numero 1? “Medvedev e Thiem pronti a scalzare i mostri sacri” (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

Quante volte ci siamo affannati nella ricerca spasmodica di un cambio generazionale al vertice del tennis mondiale che rivoluzionasse la classifica Atp? Da anni la cosiddetta Next Gen sta provando ad alzare la voce per imprimere una svolta. Fino a questo momento, però, anche se i Fab 4 hanno perso un pezzo grosso con l’uscita di Andy Murray dai palcoscenici importanti, a causa della doppia operazione alle anche, i giovani solo in rare occasioni si sono seduti al tavolo dei big. I paladini del cambiamento sono stati in particolare i vincitori delle ultime tre edizioni delle Finals, il torneo di fine stagione riservato agli otto giocatori migliori dell’anno tennistico: Grigor Dimitrov, Sascha Zverev e Stefanos Tsitsipas. Il bulgaro aveva illuso ma poi si è smarrito nell’anno successivo, tanto da retrocedere di parecchie posizioni della classifica mondiale senza mai più ritrovare lo splendore di quei giorni. Zverev, campione ad appena 21 anni due anni fa in finale contro Djokovic, si è poi complicato la vita creandosi troppe aspettative, cambiando diverse guide tecniche, compreso Ivan Lendl, e cacciandosi nei guai con problemi personali che esulano dal campo di gioco. Il greco, che si presentava quest’anno a Londra come campione in carica, anche a causa di questa particolare stagione stravolta dalla pandemia di Covid, è sembrato troppo impulsivo nella continua ricerca dell’affondo vincente e i risultati non sono stati pari alle attese. A trionfare alle Finals di quest’anno è stato Daniil Medvedev al termine di una edizione particolarmente accesa e ricca di partite che hanno tenuto con il fiato sospeso gli appassionati. Il russo, da sempre abituato a strisce vincenti, dopo una stagione altalenante è entrato in forma proprio nelle ultime fasi, sbaragliando il campo e alzando i due trofei annuali più prestigiosi a livello indoor: Parigi Bercy e, appunto, il torneo dei Maestri. Medvedev è in possesso di un gioco che può non catturare l’occhio, e che va osservato con attenzione per coglierne l’essenza. I suoi tentativi non sono mai scriteriati e poggiano su basi solide, costituite da affidabili colpi di rimbalzo dove, al preciso e ficcante rovescio, affianca uno scomposto ma solido dritto. Ricava molto dal servizio e non si tira indietro nella fase difensiva mostrando umiltà e capacità di resistenza. Pronto, quindi, per dire la sua il prossimo anno insieme a Dominic Thiem che si è costruito una carriera da giocatore completo e affidabile e già siede al terzo posto del ranking mondiale. Saranno quindi loro a guidare la pattuglia degli inseguitori che cercheranno di scalzare, se non di mettere ancor più pressione a suon di successi, a quei tre mostri sacri autori di una meravigliosa storia che sembra non finire mai […]

Smith primo maestro: “Impressionato da Sinner” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Per la generazione dei millennials è la scarpa da ginnastica più famosa del pianeta, per gli appassionati di tennis meno giovani una leggenda che orbita intorno a pochi titoli, ma buoni. Stan Smith, californiano di Pasadena, 74 anni, è stato un sublime interprete dell’arte dimenticata del doppio (con il partner Bob Lutz) e un eccellente portatore sano di gesti bianchi (due titoli Slam). […] Sono passati dieci lustri: qual è il ricordo più vivido del Master di Tokyo, Stan? «Un’enorme palestra gelata che aveva ospitato la ginnastica ai Giochi ’64 e un campo di plastica che va letteralmente in pezzi mentre gioco con Rod Laver davanti a 10 mila giapponesi. Il 14 dicembre ’70, giorno del mio compleanno, affronto Rosewall nel match decisivo (la formula era a round robin) e ricevo la cartolina di chiamata alle armi! Tanta roba tutta insieme per un ragazzo di 24 anni…». Ha conservato del cimeli? «Una bottiglia di Pepsi, che sponsorizzava il torneo: il primo premio era di 15 mila dollari, una cifra più che decente per l’epoca». Chi è stato il più forte, tra i suoi avversari? «Penso che siamo tutti d’accordo nel dire che, per conquistare due volte tutti e quattro gli Slam nello stesso anno solare, devi essere un po’ speciale. La risposta, quindi, è facile: Laver». C’è unanimità anche sul nome del più grande di sempre, Federer, secondo lei? «Oh sì. In una mia classifica di ogni tempo dopo Roger metto Rod, Djokovic e Nadal a pari merito, Sampras e Borg». Arthur Ashe, benché non abbia stravinto, è stato un personaggio rivoluzionario. Ci racconta il suo Ashe? «Molto volentieri. Arthur era un gran tennista e una persona, se possibile, ancora migliore. Il padre Arthur senior gli aveva insegnato il rispetto e lui era incapace di giudicare gli altri. Aveva carisma, empatia. A Houston non gli permisero di entrare in spogliatoio in quanto nero: lui si cambiò nel corridoio e giocò, senza un lamento. Non era accettato ma accettava le diversità». Diversità tipo le follie di quel pazzo di Nastase? «Ilie in campo faceva diventare matto anche me, poi si andava a bere una birra. Arthur marciò a Washington contro le ingiustizie, studiò perché sapeva che l’istruzione era vitale, soprattutto per lui. Un leader nato». II cambiamento più grande rispetto ai suoi tempi sono le racchette, mister Smith? «Insieme al business che ruota intorno al tennis e alla televisione, senza dubbio. Con la racchetta di legno il gioco è per forza diverso, meno potente e più lento: se non colpivi la pallina al centro perfetto dell’ovale, erano guai. Io credo che l’unico che sarebbe altrettanto vincente con il legno sia Federer. Roger gioca come giocavamo noi. Pulito». Ha sentito parlare di un certo Jannik Sinner, the Italian sensation? «Certo che sì, l’ho anche visto in azione alla tv: a New York e Parigi. Ha un tennis a tutto campo che mi ha impressionato e un buon atteggiamento. Ora che ha vinto il primo titolo Atp e che l’Italia fa il tifo per lui, determinante sarà come gestisce il successo e le attenzioni. La testa, nel tennis, è tutto. Ma non sarà una meteora: su questo mi sento di sbilanciarmi». Se potesse tornare indietro, rifarebbe tutto? Anche boicottare Wimbledon ’73? «Sì. A quel tempo pensavo che fosse la cosa giusta da fare e ne sono convinto ancora. Ha contribuito a far diventare il tour Atp quello che è oggi. Ma ci sono cose del mio passato che, potendo, cambierei: mi prenderei più cura del mio corpo, portandomi dietro un fisioterapista al tornei (cosa che non usava assolutamente: si viaggiava da soli) e giocherei meno. Da numero uno del mondo, nel ’72, chiesi troppo al mio fisico» […]

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