Pavlyuchenkova e Krejcikova, la finale che non ti aspetti (Crivelli). Djokovic contro Nadal. L'emozione ha 15 anni (Mastroluca). La sfida infinita (Crivelli). «Che gioia quelle urla di Djokovic» (Imarisio). Semidei sulla terra (Azzolini)

Rassegna stampa

Pavlyuchenkova e Krejcikova, la finale che non ti aspetti (Crivelli). Djokovic contro Nadal. L’emozione ha 15 anni (Mastroluca). La sfida infinita (Crivelli). «Che gioia quelle urla di Djokovic» (Imarisio). Semidei sulla terra (Azzolini)

La rassegna stampa di venerdì 11 giugno 2021

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Pavlyuchenkova e Krejcikova, la finale che non ti aspetti (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

La disfida delle “Ova”, Pavlyuchenkova contro Krejcikova, si iscrive di diritto tra gli epiloghi più sorprendenti della storia degli Slam. Qualche lingua malandrina arriverà senz’altro a sostenere che si tratterà di una delle finali meno nobili di sempre, se si esclude qualche edizione degli Australian Open in versione torneo nazionale durante gli anni 70, ma in un tennis femminile senza più riferimenti saper cogliere l’occasione dopo due settimane che richiedono comunque un grande controllo delle emozioni è un segno di talento. Sarà poi la storia, come sempre, a mettere nel giusto posto colei che domani alzerà il trofeo. Della coppia di inattese protagoniste, la Pavklyuchenkova è senza dubbio quella di maggior blasone, avendo un passato da doppia vincitrice Slam juniores (Australia e Parigi nel 2006), 12 tornei all’attivo e il numero 13 del mondo raggiunto nel 2011 (ora è 32). Famiglia di sportivi, è allenata dal padre e dal fratello, anche se è passata da Mouratoglou. Superando ieri la Zidansek è diventata la giocatrice che ha impiegato più Slam a raggiungere la finale, 52, battendo il record della Vinci a New York 2015, 44: «Ognuna ha il suo percorso, il mio è stato più lungo ma ora voglio divertirmi». La sua rivale, la ceca Krejcikova, numero 33, è l’ottava non testa di serie ad arrivare in fondo a Parigi, dove è ancora in corsa pure in doppio e può eguagliare la Pierce del 2000, unica nell’era Open a fare doppietta. Ha annullato un match point sul 5-3 del 3′ set alla greca Sakkari, poi sull’8-7, al 4′ match point a favore, ha avuto una chiamata sbagliata dall’arbitro (palla buona e invece era fuori) ma non si è disunita, dedicando una volta di più il trionfo a Jana Novotna, l’unica che credette in lei. Benedizione postuma.

Djokovic contro Nadal. L’emozione ha 15 anni (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

La sfida delle sfide. Rafa Nadal, tredici volte campione del Roland Garros, contro Novak Djokovic, di fronte per la 58^ volta. Il prossimo capitolo della rivalità con più episodi nell’era Open può disegnare le gerarchie della stagione e cambiare l’eredità dei due campioni. Il maiorchino, numero 3 del ranking ATP è a due partite dal record assoluto di titoli nei major: vincendo a Parigi per la 14° volta salirebbe a quota 21, superando Roger Federer. Qui ha perso solo due partite, l’ultima proprio contro l’attuale numero 1 del mondo nei quarti di finale dell’edizione 2015. Se dovesse ripetersi, Djokovic potrebbe lanciarsi verso il Grande Slam, impresa mai più riuscita dopo il leggendario 1969 di Rod Laver. Djokovic è in vantaggio 29-28 negli scontri diretti, ma Nadal ha vinto 19 delle 27 sfide sulla terra battuta. «Rafa è il mio più grande rivale in carriera. L’attesa che c’è prima di affrontarlo, in ogni occasione, su qualunque superficie, non ha paragoni» ha detto il serbo. Contro Djokovic, ha spiegato Nadal, «sai che devi giocare il tuo tennis migliore. Ma devi farlo contro uno dei più grandi campioni di sempre». Si sono incontrati per la prima volta nel 2006, proprio al Roland Garros, nei quarti di finale. Djokovic si ritirò quand’era sotto 6-4 6-4. Nadal spiccava per il look che l’ha reso il perfetto avversario di Roger Federer. Scendeva in campo con la bandana, la maglietta senza maniche, i pantaloncini a pinocchietto bianchi. Quel Nadal, che entro pochi mesi sarebbe diventato numero 1 del mondo, attirava l’attenzione per i bicipiti gonfi, per un tennis di grande vigoria fisica, di corsa e resistenza. II suo diritto mancino a uncino, che rappresenta il suo ineguagliabile contributo all’evoluzione tecnica del gioco, era un’arma a cui gli avversari faticavano ad adattarsi. II suo modo di occupare lo spazio con una presenza spesso sfiancante trasformava ogni sfida in una maratona. Riguardando il giovane Nole in quella prima sfida contro Nadal, si riconoscono alcune tracce del campione che avrebbe battuto il record di settimane da numero 1 del mondo attraverso l’elasticità, la consistenza, la riproducibilità tecnica del gesto elevata alla perfezione. Era soprattutto un giocatore che lottava con il suo corpo, che spesso si ritirava per problemi respiratori, colpi di calore o crampi. Fin troppi secondo l’ex numero 1 del mondo Andy Roddick, che nel 2008 lo avrebbe accusato nemmeno troppo velatamente di esagerare i suoi malesseri. Non era un malato immaginario, però. Era intollerante al glutine, come avrebbe capito all’inizio del 2010 il dottor Igor Cetojevic. Per chi vince, c’è in palio la finale con il più pronto degli sfidanti, dei giovani ormai arrivati alle porte del paradiso del tennis. Il sorteggio ha disegnato un tabellone con i Fab 3 (Nadal, Djokovic, Federer) da un lato e il meglio della nouvelle vague dall’altra. In semifinale sono arrivati Stefanos Tsitsipas e Alexander Zverev. Tsitsipas, avanti 5-2 negli scontri diretti, non ha ancora giocato finali Slam. Ha un tennis più completo, ma il tedesco a Parigi ha mostrato un evidente salto di qualità.

La sfida infinita (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Ancora loro. E non ci sorprende. Nel grande mare degli Slam, quando la fatica si allunga su due settimane richiedendo una gestione perfetta delle proprie risorse fisiche e mentali e le partite possono trasformarsi in battaglie di aspra durezza, Nadal e Djokovic navigheranno con la bussola del talento, dell’esperienza e del carisma. Non a caso Wilander e Becker, dallo scranno di ascoltati opinionisti tv, non hanno dubbi su come finirà il Roland Garros: «Rafa è nettamente favorito, ancora e sempre. Poi viene Nole». Starà agli altri due eletti di questa tornata, Tsitsipas e Zverev, al momento simboli più luminosi. della generazione che verrà, tentare di sradicare le convinzioni più tenaci, ma non c’è dubbio che quella odierna tra Nadal e Djokovic sia una volta di più la partita con la lettera maiuscola, l’incrocio più atteso fin da quando il computer li ha messi dalla stessa parte del tabellone, conseguenza distorta della testa di serie numero 3 assegnata al maiorchino seguendo pedissequamente la classifica e non il palmarès (e del resto a Parigi funziona così da sempre). La semifinale parigina ha una portata che travalica il sorteggio e il semplice conteggio numerico della loro rivalità, che oggi arriva al 58′ episodio. Perché in gioco non c’è soltanto l’accesso da favorito al match che vale la Coppa dei Moschettieri, bensì un posto in prima fila nell’ambito possesso degli Slam. Se Nadal dovesse vincere il 14° titolo al Bois de Boulogne, salirebbe a 21 Major staccando Federer. Soprattutto, ne metterebbe tre di distanza tra sé e Djokovic, l’avversario più pericoloso in questa corsa leggendaria. Non a caso, a differenza dello spagnolo che sulla spinta di 105 partite vinte in carriera sulla terra francese non si lascia mal avvolgere dalle spire della tensione, durante e dopo il successo su Berrettini il numero uno del mondo si è lasciato travolgere da comportamenti non all’altezza del suo blasone, dallo sputo alla riga dopo un punto contestato al calcio ai tabelloni pubblicitari, fino all’urlo belluino che ne ha accompagnato l’ultimo punto vincente. Non giustificabile, ma comprensibile: «Come sempre non sarà come qualsiasi altra partita. Diciamocelo, è la sfida più difficile che si possa immaginare: giocare sulla terra contro Nadal, su un campo nel quale ha costruito enormi successi in carriera, in una semifinale di uno Slam. Non c’è niente di più grande di questo. Certo, ogni volta che ci confrontiamo, salgono la tensione e le aspettative, le vibrazioni sono diverse quando dall’altra parte della rete c’è lui. Ma è per questa ragione che la nostra rivalità è storica per il nostro sport e sono un privilegiato a poterla vivere». Nadal si è preso gli applausi da una folla di tifosi pure nel massacrante allenamento di ieri: «Quando affronti Djokovic, sai che ti troverai davanti il bello e il brutto del tennis. Il bello, perché sai che devi giocare il tuo miglior tennis e andare oltre i tuoi limiti. Ti aspetta una partita in cui sai cosa devi fare se vuoi davvero concederti delle possibilità e andare avanti nel torneo. Averlo di fronte è sempre una grande sfida, e in fondo chi pratica sport ha sempre sognato di vivere momenti come questi. Il brutto, invece, è che devi sfidare uno dei migliori giocatori della storia e anche se sei al massimo, non è scontato che tu vinca». L’eterno romanzo dei giganti.

«Che gioia quelle urla di Djokovic. Non sono un predestinato ma so come far paura» (Marco Imarisio, Corriere della Sera)

Matteo Berrettini, la rigiochiamo?

Se lo portavo al quinto set, si navigava in mare aperto. Non posso dire che sarei stato favorito. Contro Djokovic non lo sei mai. Ma fisicamente stavo bene, forse meglio di lui.

Si sente danneggiato dalla pausa dovuta al coprifuoco che ha interrotto II match?

Non mi ha fatto bene, questo è certo. Mi ha tolto qualcosa. Prima dell’interruzione, l’inerzia del match era cambiata a mio favore. Al rientro, ero un po’ bloccato con le gambe e ho avuto un calo di tensione. Lui invece ha usato il tempo per riorganizzare le idee. Quella sosta ha fatto girare ancora la partita. Potevo vincerla. Da un lato mi fa piacere, dall’altro mi rode.

A che cosa pensa un giocatore sotto due set a zero contro il numero uno del mondo?

Stai attaccato al servizio. Non importa il resto, ma tieni la battuta. Così lui deve fare ancora più attenzione nei suoi turni di battuta e comincia a sentire la pressione, come in effetti è avvenuto. Sono risalito così.

Si aspettava che Djokovic desse di matto?

Sinceramente, no. Comunque mi ha fatto piacere. Significa che ha sentito paura. E sono stato io a mettergliela addosso. Si era reso conto che stava rischiando grosso. Urlando così si è liberato dalla tensione. II fatto che non ci fosse pubblico e si giocasse nel silenzio ha amplificato l’effetto.

Come si ricomincia ogni volta?

Prendendo il buono di ogni esperienza. La partita con Novak dimostra che il livello per puntare ancora più in alto c’è. Lui ha disputato più di cinquanta quarti di finale in uno Slam. Io, appena due. Mentre parliamo, sono sul treno che da Parigi mi porta a Londra, dove da oggi comincio la preparazione per Wimbledon. C’è sempre un altro torneo, c’è sempre un’altra possibilità.

Chi vince oggi tra Djokovic e Nadal?

Nadal è favorito. Ma Novak tira sempre fuori qualcosa di extra, sembra avere risorse sovrumane. Proprio per questo la finale dell’anno scorso mi ha sorpreso. Non per il risultato, ma per la facilità con cui Rafa ha vinto. Secondo me questa volta sarà una battaglia.

Perché si paria così tanto di Sinner e di Musetti e così poco di lei?

Ho fatto un percorso diverso. Non sono mai stato un predestinato. A 18 anni ero ancora molto indietro. Quindi capisco che ci sia tutto questo clamore intorno a loro. Sono ancora più giovani di me, fanno impressione. Per me rappresenta uno stimolo ulteriore. Una sana competizione, per non farmi superare da loro. Ammetto che certe volte me la prendo un po’. Non solo per me. Vedo quello che fa Lorenzo Sonego, e tutti gli altri nostri giocatori, per fortuna ne abbiamo molti, e sembra quasi che non conti nulla. Ma che posso farci, funziona in questo modo, così va la vita.

Lo Slam che sogna di vincere?

Wimbledon. Ma non è che se vinco Parigi, o New York mi dispiace, sia chiaro. Mi accontenterei volentieri…

Ci siamo quasi?

Manca ancora un pezzettino. Devo imparare a tenere alti i giri del motore, continuando a investire su me stesso. Quei mostri non sono eterni. Bisogna farsi trovare pronti. E comunque vada, mai smettere di crederci.

Semidei sulla terra (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Gli dei sono tra noi, dicevano. Uno il figlio del mare, l’aria da pirata, progenie di Poseidone forse, che aveva come simboli il tridente e il toro. L’altra invece figlia di Fitness, che però nessuno ricorda nel Dodekatheon, il Club delle vere divinità, non più di 12 ma capaci di far casino per 36, spesso in lite fra loro, sempre agitate dal vento dei sospetti. Stefanos Tsitsipas e Maria Sakkari, la Grecia che va alla riscossa. Semifinalisti assieme a Parigi, e tra i primi venti nelle rispettive classifiche. Ma curiosamente ribaltati nei corredi ribonucleici, lui ammantato da un dna tutto cuore e passione, lei invece di muscoli, di cui si ricoperta come un giubbotto in questi anni di tennis. Basta poco per eleggerli a semidei, due tipi così. E ricamarci sopra, figli di avventure infinite a corredo di una genealogia sterminata, scesi dal monte che nasconde la vetta tra le nuvole, destinati a una storia in comune, con l’approvazione di Afrodite, dea dell’amore. Ieri, però, la giovane Barbora Krejcikova, con il suo nome crepitante di sberle pronte all’uso, era così mal disposta nei confronti di Maria Sakkari da tirarla giù a racchettate ogni qual volta la greca abbia preso lo slancio per tentare di salire in alto. Avanti nel primo set, Maria, poi ripresa e sorpassata. Avanti anche nel secondo, salvato d’un soffio dal ritorno della ceca di Brno. Infine giunta per prima al match point, sul 40-30 del 5-3, per essere artigliata dalle unghie affilate di Barbora e condotta cinque volte a un passo dal baratro, nel quale è piombata al 16° game tra osceni palleggi spinti all’altezza della seconda fila di sedie, ed errori arbitrali a dir poco ingenerosi e tutti a sfavore della ceca. Krejcikova va in finale contro Pavlyuchenkova, Sakkari se ne va trattenendo le lacrime. Fermiamoci qui. Dopo tanta Italia, in semifinale è comparsa la Grecia, che di tennisti ne ha due e non più di due, Stefanos e Maria. È la prima volta, anche perché la Grecia ha svolto fin qui un ruolo diverso, quello di rifornire di campioni l’altrui cambusa tennistica, nella multiforme accezione di tennisti greci nati altrove da famiglia greca, o da greci migranti verso altri mondi: Pete Sampras, Mark Philippoussis, Nick Kyrglos. Stefanos e Maria sono i primi greci “in purezza” del tennis, per nascita e scuola. «Siamo due eccezioni, io e Stefanos, due greci nei primi venti quando il tennis nel nostro Paese quasi non esiste. Dovrò allontananni dalla famiglia per migliorare». […]

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