Coi cugini d’Oltralpe non andiamo d’accordissimo, un po’ ci rispettano, un po’ s’incazzano, perché “le palle ancora gli girano” dai tour trionfali di Coppi e Bartali (che poi Paolo Conte in Francia è quasi venerato, sarà per il sangue sabaudo…).
Ogni tanto, però, scatta l’amore: Moretti che vince a Cannes con La stanza del figlio e prima di lui Olmi, i Taviani, Antonioni, Visconti, De Sica, neorealismo vs. nouvelle vague. E la Abbagnato, étoile della danza e palermitana DOC, che incanta i parigini sul palco dell’Operà come il conterraneo Cecchinato fa sulla terra del Lenglen.
Che anno, il 2018! Marco salva match point contro Copil e si ritrova in semi con lo scalpo di Djokovic in mano, sì, lo stesso Djokovic appena laureatosi per la seconda volta alla Sorbona del tennis. Il rinascimento azzurro partì da lì, erano passati quattro decenni dalle veroniche di Adriano sullo Chatrier e un paio di ere geologiche dai successi felpati di Nicola.
Al Ceck, seguirono Fognini principe di Monaco, Berrettini alle soglie dell’ultimo morso alla grande mela, Sinner scippato di un 1000 meritatissimo tra gli alligatori della Florida. E ancora Berrettini alla corte di Spagna e Sonego gladiatore al Foro: una pacifica invasione italica del circuito.
Novelli Giulio Cesare, nell’anno del Signore 2021, si decise di conquistare la Gallia. Calammo in undici a Porte d’Auteuil, il tabellone del Roland Garros come quello del Risiko, con le armate tricolori a spalmarsi sul mondo. Certo, i francesi ne avevano piazzati diciotto, di carrarmatini, ma, diamine, è il loro torneo!
Lo scontro frontale fu immediato e dall’esito scritto, troppo gagliardi i legionari Sinner e Fognini per i malcapitati Herbert e Barrère. Dopo quell’incrocio, si proseguì a distanza, gli Italici a mietere vittime, i Galli a cadere uno a uno per mano di Samurai, Alemanni, Slavi; al secondo lancio di dadi ne erano rimasti tre, noi eravamo sette e pronti alla pugna.
Arrivarono Iberici e Vichinghi e per quei tre non ci fu scampo, armate francesi spazzate via dal Risiko al terzo giro, una Waterloo senza neanche l’onore dell’esilio. I nostri, invece, parevano invincibili, strategie militari sopraffine, tecniche avanzate di duello. Due soldati presero a distinguersi, dei cinque ancora in trincea – più di ogni altro popolo. Un lungagnone inquieto dalla chioma di zucca, sceso dai monti per cannoneggiare le pianure di terra battuta; un folletto emerso dalle cave, tanti capelli quante idee nel braccio, alla prima campagna di Gallia. Si spinsero al quarto lancio di dadi, insieme a un marcantonio col bazooka, romano de’ Roma.
I giornali francesi, orfani di compatrioti, li adottarono, l’Equipe dedicò due pagine ai jeunes Jannik e Lorenzò: erano ancora incazzati, i cugini, ma stava crescendo il rispetto, di più, l’ammirazione. Come non rimanere ammirati degli schiaffi del primo e delle carezze del secondo? Se ne era accorto anche il pubblico dell’arena, spettatori increduli si erano spellati le mani quando Musetti aveva roteato la spada dietro la schiena e infilzato una volée impossibile pure da concepire.
Ora i due erano al cospetto dei guerrieri più forti, più attrezzati, fisico e armatura, cattiveria e mazze ferrate. Gli misero paura. Jannik volò alto, tanto alto che si avvicinò troppo al sole e le ali di cera si sciolsero. Lorenzo… Lorenzo tirò di sciabola e di fioretto, lucido e incosciente, spavaldo e misurato; si aggiudicò le prime due cariche, poi i muscoli si arresero, portando con sé la testa. L’Iberico dalla chela uncinata e il mercenario di Tracia ringraziarono.
Restava il marcantonio del Nuovo Salario, che più di tutti mise paura al balcanico: se l’arena, tutta con Matteo, non si fosse svuotata per la peste, chissà, magari l’avrebbe sfinito a colpi di bazooka.
Era dai tempi di Materazzi e della sorella di Zidane che non si godeva tanto nel vedere lo scorno dei francesi, sottomessi alla caparbia creatività nostrana. Per ridirla con Conte, due settimane passate a saccheggiare Parigi, “con gli occhi allegri da italiano in gita”.
Articolo a cura di Andrea Negro