Non serviva la vittoria del Ladies Open di Palermo, la prima nel circuito maggiore, per scoprire quanta personalità abbia Danielle Collins. È però servita per indagarla da una prospettiva differente, certamente più intima ma non per questo meno debordante.
La sua cifra sportiva e caratteriale è affrontare avversarie e giornalisti con fare aspro, quell’asprezza concepita in una notte d’amore da mamma esuberanza e papà spirito agonistico. La sua personalità un po’ ‘bitchy’, come l’avevamo definita un annetto fa in occasione del raggiungimento dei quarti al Roland Garros autunnale quando aveva sforacchiato l’avventatezza di un giornalista troppo interessato alle bolle e poco al suo tennis, è stata ammorbidita dall’influsso materno della Sicilia. E dai mesi difficili attraverso cui è dovuta transitare: l’operazione di marzo per risolvere l’endometriosi, lei che già deve convivere con l’artrite reumatoide, la solitudine tipica del tennista (in questo caso anche senza coach), il timore di non poter più tornare a certi livelli.
“Quello che ho passato negli ultimi due anni è qualcosa che nessuno vorrebbe affrontare” ci ha detto Danielle. “Ma credo che queste sfide mi abbiano motivato ancora di più, perché molte persone mi hanno detto che non sarebbe stato possibile tornare al massimo, specialmente per via dell’operazione; soffrivo di mal di schiena continui, tutti i giorni, ormai mi ero abituata e l’operazione mi ha dato grande sollievo”.
L’endometriosi non è un disturbo banale; cellule appartenenti alla cavità interna dell’utero, quelle che si sfaldano provocando il sanguinamento tipico del ciclo mestruale, finiscono in zone diverse del corpo e possono provocare molti disturbi, tra cui il dolore cronico con cui la tennista statunitense è stata costretta a convivere per molti anni. Nel corso dell’intervista che abbiamo svolto su Zoom poco dopo la cerimonia di premiazione del torneo, Danielle ha scherzato sull’operazione, dimostrando quella brillantezza di pensiero che già le riconoscevamo – lei che per diletto scrive sceneggiature teatrali, giusto per mettere le cose in prospettiva.
“I chirurghi hanno fatto una serie di ‘cose’ (le hanno anche rimosso una cisti ovarica grande come una palla da tennis, ndr) degli aggiustamenti nell’area della vescica, dell’intestino, e hanno riportato l’utero… nel posto in cui doveva stare! (qui si è fermata per sorridere, ndr). Mi ha fatto sentire molto meglio e mi ha consentito di giocare match più lunghi, di allenarmi tutti i giorni senza provare quella sensazione di agonia fisica di inizio anno e un po’ di tutta la vita. Non so se avrei potuto continuare a giocare senza l’operazione”.
Il successo di Palermo, netto al punto che Collins ha vinto tutti e dieci i set disputati, è figlio anche della volontà di disputare un torneo un po’ penalizzato dalla sovrapposizione con il torneo olimpico. “La Sicilia era nella mia ‘bucket list’ da due anni, assieme a Budapest; volevo andarci a fine 2020 ma non ci sono riuscita. Quando ho visto i due tornei in calendario non ci ho pensato un attimo e ho deciso di andarci; sono state due settimane molto divertenti per me”. E infatti sono arrivati una semifinale e un titolo.
Daniele però invita anche chi non ha bisogno del potere taumaturgico della Sicilia per vincere un torneo di tennis a visitarla: “Sono posti in cui un americano non viaggia spesso, perché sono molto lontani. L’hotel, la vista del mare, le barche, i ristoranti, il cibo italiano: tutte queste cose mi hanno colpito appena sono arrivata. Una delle cose che ammiro di più dell’Italia è come riesca a preservare la storia senza sforzi. Vedere tutti questi edifici antichi è affascinante; dove vivo io non c’è niente di simile e alla costruzione di un palazzo ne segue semplicemente un’altra. Amo la storia e ogni cosa qui; i colori, l’architettura. Spero di poter andare anche in Sardegna il prossimo anno”.
Al termine dell’intervista, l’addetto stampa del torneo Antonio Cefalù – che ringraziamo assieme a tutta l’organizzazione del torneo per l’ospitalità – ci svelerà anche l’ultima richiesta di Danielle prima di lasciare l’isola: uno shooting fotografico a Mondello, che ospita la spiaggia più famosa di Palermo a poco meno di un paio di chilometri dal Country Club, per farsi immortalare con il nuovo abito Gucci e il nuovissimo trofeo. “Però prima trovatemi un parrucchiere”, avrebbe aggiunto. A rispondere alle nostre domande si era presentata con i capelli ancora umidicci, gli occhi stanchi e felici della vittoria, esondante in risposta a ogni domanda. Non sorprende: chi è felice vuol parlarne, mica tenersela per sé.
Soprattutto se non ha neanche un allenatore con cui condividere viaggi e allenamenti, successi e insuccessi. “Vincere questo torneo in questo modo, da sola, è ancora più speciale. Da un paio di anni era un mio obiettivo” racconta Danielle. Che poi approfondisce il suo rapporto conflittuale con gli allenatori, figure raramente stabili nel suo box. Nel 2019 ad Acapulco aveva conosciuto Thomas Couch, giocatore di football australiano e fitness trainer (ha lavorato anche con de Minaur), iniziando poi in ottobre a lavorare con lui per la parte atletica, trasformandolo in una sorta di coach-accompagnatore e poi iniziando anche a frequentarlo fuori dal campo. In una delle partite più importanti della sua carriera, i quarti del Roland Garros 2020 contro Sofia Kenin, con lei c’erano Nicolas Almagro (!) all’esordio di una collaborazione che poi non è germogliata e lo stesso Tom Couch, addirittura invitato da Danielle ad abbandonare il box durante la partita perché, a sua dire, la stava distraendo.
Si è spesso parlato di Zverev e Kyrgios, definiti rispettivamente difficile e impossibile da allenare, ma anche Danielle non scherza da questo punto di vista. ”Per me è sempre stato difficile trovare un coach fisso, sin da quando sono diventata professionista. Al college (dove ha vinto due titoli NCAA, nel 2014 e nel 2016, ndr) avevo due coach full time con cui ho lavorato per tre anni e conosco i progressi che si possono fare lavorando per così tanto tempo con una persona. Poi, però, spesso iniziavo con un coach e dopo qualche settimana dovevo già cambiare, saltellavo qui e là. Questo non mi dava la serenità necessaria a guidare il mio gioco nella direzione migliore. Quindi finché non trovo la situazione giusta, devo fare delle cose da sola”.
E così, da sola, Danielle si è presa la rivincita su Elena Gabriela Ruse che l’aveva sconfitta ad Amburgo sulla strada che avrebbe condotta la rumena verso il suo primo trofeo. Nonostante l’esito opposto, i due match hanno avuto un tratto comune: il medical time out chiesto da Ruse. In Germania ha ‘aiutato’ Ruse a vincere la partita, a Palermo Collins non si è lasciata distrarre quando la sua avversaria, nel quinto game del secondo set, si è accasciata per terra palesando un generico malessere. Che la reputasse una sceneggiata è parso evidente sin da subito, poiché è rimasta nella sua metà di campo e poi ha addirittura chiesto di parlare con il supervisor per lamentarsene.
“Ad Amburgo ero avanti nel punteggio nel terzo set dopo aver vinto il secondo, ero al servizio, e lei ha chiamato MTO. Poi è tornata e il trucco… ha funzionato, ha giocato un gran tennis e ha vinto la partita. A Palermo è successa la stessa cosa: chiaro, è permesso dalle regole, ma come ho detto al supervisor è qualcosa a cui il tour dovrebbe prestare attenzione. In ogni caso, mi auguro che per lei sia tutto ok”.
Via il sassolino dalla scarpa. Poi qualche pensiero sull’urlo acutissimo che ha accompagnato il match point palermitano; cosa conteneva, oltre alla gioia spicciola di vincere un torneo? “Avessi vinto o perso la finale, ce l’avrei fatta comunque. Sono tornata dov’ero prima dell’operazione di quattro mesi fa. Il terzo turno a Parigi e il secondo a Wimbledon mi hanno incoraggiato, mi sono resa conto che la mia resistenza stava aumentando. Ho amato ogni minuto trascorso sul campo a Palermo perché non abbiamo avuto i tifosi per molto tempo e qui invece c’erano; portano sempre una grande energia. Anche se a volte tifano per te a volte no“. Qui sorride. Il riferimento è alla claque reclutata da Ruse per le strade del centro di Palermo, dove la tennista rumena ha conosciuto dei ragazzi italiani e ha deciso di offrire loro un posto in tribuna per tutta la settimana, ricevendone in cambio incitamenti costanti. Una claque in piena regola, come dicevamo.
A Danielle, in finale, ha fatto gioco pure questo. “Il sostegno del pubblico è una cosa che tutti gli atleti vogliono avere quando competono. Probabilmente è stato il mio miglior match dalla pandemia“. Da Palermo, Danielle Collins porta a casa una consapevolezza preziosa come gli intarsi della Cappella Palatina del Palazzo dei Normanni. Una consapevolezza che ha tanti sapori, tante influenze. Proprio come la città in cui è germogliata.