Camila Giorgi può sognare un posto da top-ten? A Tokyo l’ho scoperta diversa

Editoriali del Direttore

Camila Giorgi può sognare un posto da top-ten? A Tokyo l’ho scoperta diversa

Montreal ha schiuso un orizzonte. Ma la strada è ancora lunga per raggiungere Schiavone, Pennetta, Errani e Vinci. L’US Open la prova del nove? O arriva troppo presto? Cincinnati non so neppure se lo giocherei…

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Sono contento, anzi contentissimo, per l’exploit di Camila Giorgi all’open del Canada. È riuscita finalmente, per la prima volta, a far filotto. A battere cioè una dopo l’altra 6 tenniste che ancora oggi che è salita a n.34 del mondo, le stanno tutte davanti in classifica tranne una: Mertens n.15, Podoroska n.36 (l’eccezione…), Kvitova n.11, Gauff n.24, Pegula n.26, Pliskova n.4. Una marcia travolgente, nel corso della quale ha perso un solo set, con la coriacea Pegula. E battere tre volte di fila Pliskova, recente finalista di Wimbledon, ex n.1 del mondo, e n.4 attuale è un’impresa nell’impresa che merita di essere sottolineata. C’è forse in campo maschile un italiano che sia stato capace di tanto? Cioè di battere per 3 volte di fila un top-4 del ranking mondiale? A me non pare.

Dei tre titoli vinti quello di Montreal – il 74mo nella storia WTA, mentre i titoli ATP sono 73 – non c’è dubbio che sia il più importante- Hertogenbosch 2015 sull’erba e Linz 2018  sul veloce indoor erano tornei di ben diverso livello. Però il fatto che Camila abbia vinto tre tornei su tre superfici diverse testimonia la sua completezza.

Quello di Montreal è un torneo che si può equiparare a quello vinto da Flavia Pennetta a Indian Wells nel 2014, quando Flavia battè Agnieszka Radwanska in finale dopo aver battuto negli ottavi… Camila Giorgi! Lei che proveniva dalle qualificazioni.

Di tornei più importanti vinti da tenniste azzurre ci sono soltanto i due Slam: il Roland Garros 2010 vinto da Francesca Schiavone, l’US Open 2015 vinto da Flavia Pennetta.

Tre tornei avevano vinto anche Silvia Farina (best ranking n.11 WTA ) e Rita Grande (n.24). Cinque Raffaella Reggi (n.13), otto Francesca Schiavone (n.4), 9 Sara Errani (n.5), dieci Roberta Vinci (n.7), 11 Flavia Pennetta (n.6), 12 Sandra Cecchini (n.15). Flavia ha però giocato 25 finali e Francesca 20.

Non ho difficoltà ad ammettere che sul conto di Camila, quando l’avevo vista a maggio perdere per l’ennesima volta a Roma – sei volte in 6 partecipazioni k.o. al primo o al secondo turno – avevo perso le residue speranze e l’avevo scritto chiaramente. L’avevo scritto chiaramente dispiacendomene. E paragonando il suo talento con quello di Fognini perché entrambi a mio avviso non erano riusciti a metterlo compiutamente a frutto.

Ma Fabio, che scalpi illustri li aveva sempre colti (4 volte Nadal, 3 volte Murray, tanto per citare quelli ottenuti a spese di due Fab Four), ma cui era sempre mancata la continuità necessaria per far davvero continuativamente bene in uno Slam o in un 1000, almeno intorno ai 32 anni, aveva fatto finalmente centro col botto in un grande torneo, Montecarlo 2019, riuscendo a issarsi finalmente nell’elite dei top-ten dopo esservisi avvicinato nel 2013 quando salì fino a n.13 ATP.

Beh, Camila i 32 anni non li aveva ancora raggiunti e occorreva forse che io avessi più pazienza. Flavia fece il suo ingresso fra le top-ten, prima in Italia, a 27 anni  e mezzo, ma i migliori risultati li ha conseguiti dopo i 30. Idem la Schiavone. Idem la Farina. E la Vinci. Unica eccezione la Errani.

Camila, scrissi allora dopo la delusione romana (seppur seguita a un match di 3 ore e 50 minuti conditi da 86 errori gratuiti con la Sorribes Torno, nel corso del quale era stata avanti 4-0 nel terzo set e anche 5-3), aveva vinto solo 2 tornei minori e perso 6 finali in altrettanti tornei minori. Ben altro mi attendevo da lei – avevo sognato per lei – dopo che a Wimbledon 2012, 9 anni fa!, aveva centrato gli ottavi di finale lasciando sognare prossime mirabolanti imprese. E il ricordo di averla avuto sul seggiolino posteriore della mia vespa rossa a Wimbledon era stato uno dei più simpatici e piacevoli della mia carriera di giornalista-vespista

Un lettore di Ubitennis aveva segnalato, subito dopo gli ultimi Internazionali d’Italia, come Camila fosse uscita 56 volte nei primi due turni in 70 partecipazioni ai maggiori tornei, cioè Slam, Premier, 500.

Le nove vittorie di allora contro le top-ten – diventate nei mesi successivi 13, mentre di quelle con le top-20 ho perso il conto: sono già 30? – mi facevano quasi rabbia, lo confesso.

Sottolineavano la sua straordinaria capacità di far male anche alle tenniste più forti del mondo nelle sue giornate di vena, e anche in tornei assai importanti, ma al contempo la sua incapacità a limitare le giornate di cattiva vena, quando fra doppi falli e errori gratuiti si raggiungevano numeri imbarazzanti.

Un piano B, di paziente attesa alla ricerca del suo tennis migliore…ma anche di qualche errore dell’avversaria, non veniva assolutamente preso in considerazione. Né sul campo, né fuori.

Scrissi a maggio “Camila è testarda come un mulo, però è anche dolce, ispira tenerezza, non si può non volerle bene anche se a volte ti irrita quando non spiccica parola…salvo le solite di circostanza. Ma, accidenti, quante volte le ho visto perdere il servizio quando doveva chiudere il match, quanti doppi falli l’hanno tradita in frangenti decisivi, quante volte il numero dei suoi errori gratuiti è stato molto più alto dei suoi vincenti sebbene questi fossero tantissimi?…Esternai anche la mia insofferenza ogni volta che lei, implacabilmente (tanto che pensavo fosse quasi una sfida con noi giornalisti…del tipo, ci fa o ci è?), si ostinava a ripetere: “Non è importante studiare il tennis della mia avversaria, io devo soltanto fare il mio gioco, il piano B non esiste”.

E se le chiedevi dei precedenti con la sua avversaria dell’indomani…nulla da fare! Non contavano! C’era il rifiuto di accennarvi. L’idea di una possibile strategia atta a sfruttare le carenze delle avversarie, non sembrava passarle per l’anticamera del cervello. A papà Giorgi neppure. Tirare, tirare sempre più forte, è sempre sembrata l’unica strategia.

Ebbene chi ha avuto la pazienza di ascoltate i miei interventi da Tokyo nelle quotidiana rubrica di Ubi Radio Olimpiadi che con Vanni Gibertini abbiamo messo in onda su Ubitennis – qualche migliaio di Ubi Radio ascoltatori lo può testimoniare – potrà dirvi che avevo parlato di aver scoperto in quei giorni giapponesi una Camila assolutamente diversa, più serena, più sorridente, espansiva, perfino estroversa. Come fosse improvvisamente cresciuta, maturata. Come se non ci fosse per lei più nulla da temere nell’aprirsi anche con un giornalista che…a detta di Flavia Pennetta “è sempre stato un tipo tosto…che non fa sconti gratuiti”. Per anni quando alle conferenze stampa c’era anche suo papà presente, sembrava che Camila si comportasse un po’ come la prima Ambra Angiolini in “Non è la Rai” quando Gianni Boncompagni le suggeriva in cuffia cosa doveva dire.

Invece ecco Camila a Tokyo, dove papà Sergio non c’era, improvvisamente disponibile a lasciarsi avvicinare, a parlare di tutto e di più, a farsi fotografare con giornalisti e fan, a raccontare le sue predilezioni in campo maschil-tennistico (“Mi piace da morire come gioca Nishikori!”), a parlare della sua passione per la moda, a raccontarsi perfino sui tapis-roulant della Technogym.

Tutti atteggiamenti che per anni si era ostinatamente rifiutata di concedere. Un’altra Camila, insomma. E questo a prescindere dai risultati, anche se le prime brillanti partite vinte a Eastbourne dove aveva battuto Sabalenka e Pliskova prima di doversi ritirare nella semifinale con la Kontaveit, sembravano averle restituito grande fiducia nel proprio tennis e già a Wimbledon, perfino dopo un match perduto, l’avevo vista molto più disinvolta e sicura di sé che non in passato.

Ubaldo con Camila Giorgi – Olimpiadi Tokyo 2020

Non sapevo a chi – se a qualcuno e non soltanto a lei stessa – attribuire una tale profonda metamorfosi. In discreta parte al savoir faire di Tathiana Garbin? Fra Tax e Camila avevo visto svilupparsi un ottimo feeling, certo ben diverso da quello che c’era stato ai tempi di Fed Cup fra Giorgi padre e figlia con Francesca Schiavone, per non parlare del rapporto altrettanto scadente intercorso con Corrado Barazzutti, decisamente troppo diverso da lei.

Apro un inciso a proposito dell’ex capitano e dei rapporti ventennali con la FIT. Apparentemente sono stati interrotti con scarso garbo. Barazzutti sarebbe venuto a conoscenza del mancato rinnovo del suo incarico -peraltro in scadenza – e della nomina a capitano di Davis di Filippo Volandri da comunicati stampa. E Corrado non avrebbe gradito, fino al punto di decidersi a interpellare un legale. Se poi nel frattempo si sia raggiunto un compromesso extragiudiziale dopo il coinvolgimento di legali dell’una e dell’altra parte, al momento non so. Vi terrò informati.

Tornando a Camila ora fra suoi sostenitori dell’ultima ora e della prima… il dibattito pare incentrarsi principalmente in questa seguente discussione: questi risultati sono a) frutto di un suo modificato atteggiamento, del fatto che è diventata più saggia, più prudente, compie scelte tattiche che prima non faceva, ha capito che anche i punti fatti su errori delle sue avversarie valgono quanto i punti che fa direttamente lei a suon di vincenti? E’, in altre parole, maturata tatticamente? Si trattiene un tantino di più, avrebbe imparato ogni tanto anche a difendere?

Oppure b) hanno ragione i sostenitori della prima ora, cioè quelli che dicono che Camila non avrebbe cambiato nulla, salvo un deciso miglioramento nel servizio, ma adesso le stanno però dentro molte più palle di una volta. E se andaste a rivedere certi punti che ha ripreso, ad esempio con la Pliskova per salvare il 4-2 nel primo set, si vede che Camila recupera anche palle quasi impossibili sulle quali in passato avrebbe tentato di sparacchiare colpi impossibili.

E’ evidente che Camila sta bene fisicamente ed è giusto ricordare che in passato è stata spesso fermata da tutta una serie di infortuni – al polso, all’addome, alle gambe. poi perfino il COVID –  che hanno contribuito non poco a stoppare ogni chance di continuità.

Ciò detto però io appartengo alla schiera di coloro che dicono che qualcosa è cambiata nella sua testa, nell’approccio alle sue partite. Basterebbe che rileggeste le sue dichiarazioni dopo ciascuna delle partite vinte a Montreal per rendersi conto che Camila ha aggiunto qualcosa che prima non avrebbe mai detto a seguito del solito refrain “Farò il mio gioco” che a mio avviso fin qui è stato il suo vero limite. Andate a rileggervele, match dopo match, e troverete spunti inediti. Che a mio avviso spiegano più di tante parole un suo radicale cambio di atteggiamento, psicologico e conseguentemente comportamentale.

Le sue sconfitte, spesso definite scriteriate perché prive di un minimo filo tattico, sono spesso state attribuite al padre, tipo esuberante, istintivo, non sempre allineato al politically correct imperante.

Papà Sergio ha ovviamente grossi meriti se è riuscito a creare in Camila una giocatrice in grado di arrivare fra le prime 30 del mondo (26 è il suo best ranking che ora sembra superabilissimo). Ma avrebbe potuto fare ancora meglio appoggiandosi a qualcun altro più competente tecnicamente, più esperto, un ex campione? La grande maggioranza delle persone che ho avuto modo di sentire in questi anni la pensava così.

Lui ha spinto tantissimo sul lavoro, sulla preparazione fisica. Ed è indubbio che poche tenniste abbiano oggi la forza atletica e l’esplosività di Camila. Tuttavia Sergio avrebbe forse – come sostiene anche Flavia Pennetta nella chiacchierata che abbiamo fatto oggi insieme in un collegamento attivato da Radio Sportiva – potuto essere un filino più umile e cercato chi integrasse tecnicamente il suo modo di fare coaching. Forse Camila avrebbe raggiunto prima che a 29 anni e 8 mesi un risultato come quello di Montreal. Mancheranno sempre le controprove però. E questo non è davvero il momento di risollevare certe antiche questioni. Anche se tanti campioni, e campionesse, si sono affidati a coach in accoppiata.  Ma godiamoci insieme questo grande momento. Non sciupiamo anche questo.

Camila ha sempre riposto nel padre grande, grandissima fiducia e sebbene questa sia parsa a molti eccessiva, resta il fatto che ci sono stati tantissimi genitori di successo di campionesse che si sono improvvisati tecnici di tennis senza aver mai preso una racchetta in mano: papà Graf, Capriati, Pierce, Williams, Seles, i primi papà che mi vengono in mente.

Camila e la sua famiglia hanno vissuto anche momenti difficili. La morte della giovane sorella ha segnato profondamente tutta la famiglia. E devo dire che nei confronti di mamma Giorgi Sergio si è sempre dimostrato molto ma molto sensibile e partecipe. Sempre profondamente legato. E tutta la famiglia Giorgi è stata sempre molto unita, anche quando sbarcare il lunario non era facile e i problemi economici, oggi fortunatamente superati, non erano di poco conto per aiutare Camila nella sua attività professionale. Anche i dissapori con la FIT le questioni legali, le minacce di ritorsioni economiche, la scelta obbligata di andare ad allenarsi in un circolo non affiliato alla FIT, non possono essere stati momenti sereni, capaci di mettere una ragazza e il suo coach nelle condizioni più ideali per affrontare una carriera professionale. Oggi Binaghi e tutto il clan federale parla in modo assolutamente diverso rispetto a come parlava qualche anno fa sul conto di Camila e suo padre. L’abbiamo dimenticato?
Giustamente Camila ha sentito l’esigenza di ringraziare l’amorosa assistenza che suo padre le ha dedicato per un quarto di secolo, dacché lei aveva 5 anni e prese in mano la prima racchettina con ben altra coerenza.
Anche la ostinazione con la quale Camila e il papà manager hanno respinto tutte le proposte commerciali di varie aziende d’abbigliamento è stata principalmente una prova d’amore nei confronti della signora Giorgi, cui – osservando i modelli Gio-Mila – va dato atto di grandi capacità di stilista.

Magari non è detto che tutte le ragazze potrebbero indossare agevolmente le mises di Camila, ma fossi stato nei panni di un manager Nike o Adidas, già anni fa avrei proposto un contratto prima a mamma Giorgi che alla figlia.

Ora mi auguro soltanto che il peso dell’impresa canadese si riveli un viatico e non un peso sulle spalle di Camila. Cincinnati sarà un ostacolo improbo, fin dal primo turno con la tenacissima Pegula. Non so neppure se sia saggio giocarlo! Lo US Open forse è già una prova del nove che arriva troppo presto.

Le quattro azzurre top-ten le stanno ancora parecchio davanti come risultati. Camila ha i mezzi – e lo ha dimostrato – per salire molto più in alto del suo best ranking (n.26). Ma da qui a dare per scontato un approdo tra le top-ten, ce ne corre. Il dibattito è aperto, fra ottimisti e pessimisti.

E’ vero che in questo periodo storico in cui non c’è più una tennista che domini come ha fatto Serena Williams nel terzo millennio, e prima di lei una Graf o una Seles, Una Navratilova o una Evert, e in cui hanno vinto Slam tenniste come la Kenin, la Krejcikova, la Andreescu (la canadese ha più numeri ma anche più problemi fisici di chiunque…), la Kerber, la Stephens, la Ostapenko, insomma sognare si può.

Già al prossimo US Open Camila (n.34) con due piccoli salti potrebbe anche essere testa di serie, ma se anche non lo fosse, io credo che nessuna tennista delle 32 favorite sarebbe contenta di incontrarla nei primi turni.

Si dice, discutendo di pallone, che in Italia ci siano 60 milioni di commissari tecnici. Il tennis è meno popolare del calcio, anche se proseguendo di questo passo il tennis (fra Berrettini, Sinner, Sonego, Musetti, Fognini, Camila) potrebbe diventare uno dei primi 5 sport italiani per il “termometro” dell’opinione pubblica.

E io avrei un sogno nel cassetto da…pseudo coach (perché sarò certamente presuntuoso, ma di tennis mi picco di capirne!): seguire per 15 giorni Camila a dicembre, se continuerà ad allenarsi vicino a casa mia, a Prato-Calenzano, per vedere…e studiare come si allena. Sarei curioso di sapere e capire se a papà Giorgi e a Camila la cosa farebbe piacere oppure no. Mi aprirebbero le porte o preferirebbero chiuderle?

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