Nitto ATP Finals, Djokovic: "Contento di essere a Torino". E Medvedev: "Ecco perché mi alleno con Nole"

Flash

Nitto ATP Finals, Djokovic: “Contento di essere a Torino”. E Medvedev: “Ecco perché mi alleno con Nole”

Il numero uno del mondo spiega in conferenza: “A fine anno spesso vince chi è più fresco: io ho speso molto, ma ci provo”. Il russo: “Andrò in Australia, ma non parlo dei vaccini”

Pubblicato

il

 

Dopo il sorteggio dei gironi rosso e verde, nomi che avrebbero potuto essere scelti con più cura, sentiamo cosa hanno detto Novak Djokovic e Daniil Medvedev nella conferenza stampa pre-torneo, cominciando dal numero uno del mondo, tornato alle competizioni la settimana scorsa dopo una pausa che durava dalla finale di New York. Una pausa che, a giudicare dalla vittoria del torneo di Bercy, non ha potuto che essere corroborante.

“Credo sia così” esordisce Nole, “perché non ho giocato tanto rispetto agli anni passati in termini di tornei, ma ci sono stati molti eventi estenuanti, particolarmente gli Slam, non tanto fisicamente quanto dal punto di vista mentale ed emotivo. Perché, diversamente dagli altri anni, c’era la pressione per il potenziale risultato, insomma, il discorso di fare la storia, eccetera. Mi ha tolto molto e sentivo di aver bisogno di quella pausa in modo da rinvigorirmi ed essere pronto per il finale di stagione”.

Djokovic ha finora collezionato cinque titoli nel torneo dei Maestri, l’ultimo però risale al 2015. Da una parte, c’è un evento in cui ha figurato più che bene, dall’altra, un’assenza di sei anni dall’albo d’oro per la quale ci si interroga alla ricerca di una spiegazione. Anzi, lo si interroga.

“Potrebbe essere per via della quantità di energia spesa durante la stagione che spesso ha fatto sì che non è rimasta abbastanza benzina per l’ultimo scatto, ma ho perso un paio di volte contro Dominic Thiem solo 7-6 al terzo [lo scorso anno in semifinale, nel 2019 nel girone] e giocare a questo livello con i più forti del mondo ogni singolo incontro richiede davvero un’alta intensità, devi sempre essere al meglio. Dimitrov, Zverev, Tsitsipas, alcuni dei vincitori degli ultimi anni, hanno vinto qui il primo grande titolo; si erano qualificati per la prima o seconda volta senza avere troppo da perdere, arrivando freschi e motivati. Per alcuni di noi, in giro da più tempo, è una sensazione diversa e questa può essere una ragione”.

La manifestazione arriva a Torino dopo che per dodici anni si è tenuta a Londra e le sensazioni possono essere diverse. “Londra è stata una città di gran successo per le Finals e la O2 Arena è una delle più spettacolari location dello sport e in generale. Tuttavia, sono sempre stato un sostenitore di una maggior rotazione delle sedi di questo evento, sono per portarlo in luoghi diversi, perché non c’è nulla di meglio dei più forti otto del mondo che giocano tutti i giorni quando si tratta di promuovere il tennis e il Tour. Cambierei sede ogni tre o quattro anni, ma comprendo anche l’aspetto commerciale e perché siamo rimasto tanto a lungo a Londra. Ora veniamo a Torino, in una città e in un Paese che ama davvero lo sport, dove il tennis sta esplodendo a livello maschile, facendo grandi passi avanti con Berrettini, Sinner e Fognini. Poi, il Pala Alpitour è molto bello e finora l’organizzazione è stata impeccabile”.

Novak esordirà lunedì alle 14 contro Casper Ruud, affrontato una sola volta, lo scorso anno agli Internazionali con vittoria serba per 7-5 6-3. Ecco cosa pensa del prossimo avversario. “Uno dei più grandi lavoratori del Tour, merita assolutamente di essere qui. È migliorato tanto sulle superfici dure, non le sue preferite, per come si muove, come colpisce la palla e si posiziona. Non ha niente da perdere, quindi darà tutto. Io sono pronto alla battaglia e spero di proseguire come ho finito a Bercy”.

Non solo tennis giocato per Djokovic, anche il co-fondatore della PTPA, l’Associazione dei Tennisti Professionisti, nata come idea sui campi di New York alla fine di agosto dello scorso anno e da qualche mese ufficialmente creata e dotata di una propria struttura. A che punto è?

“Non è dove vorremmo che fosse in quanto a obiettivi a lungo termine. C’è ancora molta strada da fare, ma non ci aspettavamo di farci valere come struttura all’interno dell’ecosistema tennis in breve tempo. Forse i media, i giocatori o altri si aspettavano che le cose succedessero un po’ più rapidamente da parte della PTPA, ma semplicemente non è stato possibile. Quando è stata fondata non è stata riconosciuta da nessun altro organo di governo o associazione del tennis e in effetti è un po’ così che funziona questo mondo. Ciò rende il nostro percorso un po’ più complicato, ma non ci fermiamo qui, stiamo assumendo persone nella struttura, persone con esperienza in posizioni dirigenziali. Stiamo andando avanti, determinando quali differenti strategie adottare a seconda delle reazioni di tutti quelli coinvolti nell’ecosistema. Vogliamo essere riconosciuti, rispettati e accettati in quanto associazione che rappresenta i giocatori al 100%, perché i giocatori hanno bisogno di essere rappresentati al 100%, cosa che crediamo non abbiano in questo momento. Come ho detto, non abbiamo avuto riscontri positivi praticamente da nessuno e dobbiamo solo vedere come va nel prossimo futuro e decidere che strada prendere”.

Un giornalista gli fa notare che, quando c’è stato l’annuncio di Torino come nuova sede per le Finals, era stato comunicato un montepremi fino a 14 milioni di dollari, mentre in realtà è la metà di quella cifra. C’è una spiegazione?

“Onestamente, non ero del tutto al corrente di questa informazione, ma credo sia una conseguenza logica della situazione legata al Covid dell’ultimo anno e mezzo che continua a creare difficoltà all’ATP e ai tornei in generale. Almeno, questa è stata la spiegazione che ci hanno dato per la riduzione del montepremi. Però, ora vediamo che nella maggior parte dei tornei è permessa una capienza al 100% o quasi di spettatori e ciò cambia le cose [a Torino è confermata al 60%]. Ho sentito recentemente che l’organizzazione di Bercy farà una revisione dei conti perché sono riusciti ad ammettere il pubblico al 100% e aumenteranno il montepremi tornando a quello che è normalmente, il che è un ottimo segnale. Mentre stiamo tornando a una situazione in qualche modo simile alla norma in termini di presenze degli spettatori, i montepremi dovrebbero seguire la stessa strada. Non mi preoccupo particolarmente del montepremi alle Finals, l’evento più solido dell’ATP. Non credo però che ci dovrebbe essere una differenza significativa rispetto a Londra [5.700.000 di dollari lo scorso anno, 9 milioni nel 2019].

La prima domanda che viene posta a Daniil Medvedev è il rapporto con Djokovic, il rivale che insegue verso la vetta del ranking, ma anche uno con cui si allena, come ha fatto giovedì a Torino o in passato all’accademia di Mouratoglou, cosa che ha lasciato perplesso qualche addetto ai lavori, ma non ci sono dubbi per il numero due del mondo.

“Devi allenarti con gli altri giocatori. Se pensi che ‘o mio dio, forse adesso capirà i miei punti deboli, cosa fare contro di me…’, ti rendi la vita parecchio difficile nel tennis perché non puoi allenarti con nessuno tranne il tuo sparring partner o quelli del Tour, il che non è sempre la miglior soluzione dal momento che hai bisogno di allenarti con i più forti del mondo per migliorare. È sempre così, il primo giorno alle Finals ti alleni con qualcuno che non sarà nel tuo gruppo. Certo, nel caso lo affrontassi dopo pochi giorni, potrebbe capire cosa non va nel tuo gioco. Penso però che sia lo stesso per Novak perché lui ha molta più esperienza di me e, se per qualche ragione non volesse allenarsi, non lo faremmo”.

Cominciano a fioccare i nomignoli attribuiti a Daniil: Pretzel, Spider, Octupus… Quale trova più adatto? “Era la prima volta che sentivo Pretzel [ridacchia], quindi non so se rimarrà. Ancora non lo capisco, non vedo la somiglianza [sono punti di vista, ndr]. Octopus è quello che ricorre più spesso ma, se lo chiedi a me, il preferito è Bear perché medved in russo significa orso e così mi chiamavano a scuola, all’università. I nomignoli vengono affibbiati dagli altri, è raro che uno lo scelga per sé, quindi quanto più ne viene usato uno, quanto più ti si adatta. Pretzel finora è stato usato da una persona [Iga Swiatek], quindi è un po’ presto”.

Gli fanno notare che quest’anno ha incontrato due volte Zverev e Tsitsipas, una sola Berrettini. La domanda è se sente che avrebbe dovuto giocarci contro otto o dieci volte e se crede di aver avuto abbastanza incontri di alto livello in stagione. Daniil ricorre alla logica lapalissiana. “Perché ci siano degli scontri a livello top 10, devi arrivare almeno nei quarti, più probabilmente in semifinale, e anche gli altri devono arrivarci. Allo US Open, per esempio, Stefanos ha perso prima di giocare contro di me e, chi c’era?, Casper ha perso da Botic [van de Zandschulp]. Lo stesso vale per me che non ho giocato con Federer a Wimbledon perché sono stato battuto prima. A Bercy, però, ho giocato con Sascha e poi con Novak, tutto sta nel fatto che le teste di serie più alte arrivino o meno in fondo al torneo”.

Pochi giorni fa, Medvedev ha twittato “ci vediamo a gennaio” rivolgendosi con tanto di cuoricino all’Australian Open. È dunque disposto a mettersi in quarantena per un paio di settimane? La risposta è perentoria. “No, in questo momento la regola è niente quarantena: se sei vaccinato, vai e giochi; se non lo sei, non ci puoi andare. Tutto qui”. Sulla sua situazione Medvedev mantiene uno stretto riserbo: “Sulla base dell’esperienza, ho preso la decisione per tutta la mia carriera – beh, è possibile che cambi idea, sono un essere umano – di non parlare della mia situazione medica, non solo del vaccino, ma di qualsiasi cosa riguardi il mio corpo e la mia salute, quindi non risponderò a questa domanda, ma la situazione riguardo all’Australia sembra chiara”.

Daniil ha già affrontato Djokovic dieci volte, vincendo in quattro occasioni, e comincia a diventare una rivalità. Ripensando a quelle fra i Big 3, potrebbe averne tratto qualche lezione utile da mettere in campo contro Nole.

“In realtà no, perché credo che ogni rivalità abbia particolari caratteristiche e quanto più alto è il livello del giocatore, tanta più differenza farà ogni incontro. Voglio dire che ogni volta che affronti un determinato avversario cerchi di adattarti; quindi, allo US Open ho tentato di prendere l’Australian Open a esempio perché era anch’essa una finale Slam e vedere cosa avrei potuto fare meglio e ci sono riuscito. A Bercy Novak voleva prendersi la rivincita e ha cambiato alcune piccole cose per le quali ho cercato di essere pronto – e sentivo di esserlo – anche se lui è stato più bravo, ma tatticamente abbiamo fatti entrambi le cose giuste. Ma penso sia diverso quando Roger ci gioca contro. E Rafa è mancino, quindi Novak gioca in modo completamente differente”.

In questa stagione, “Bear” ha raggiunto e mantenuto la seconda posizione mondiale e messo le mani sul suo primo Slam. Il titolo vinto lo scorso anno alle Finals potrebbe essere stato un trampolino per raggiungere questi risultati.

“Sì, è stato molto importante. Se guardi alla carriera, il tennis è pieno di alti e bassi, di fiducia da trovare e ritrovare. Lo scorso anno, sono arrivato a Bercy sentendomi completamente fuori forma, sfiduciato e tutt’altro che sicuro di quello che avrei potuto fare negli ultimi due tornei dell’anno; poi, ho ritrovato il mio tennis, sicurezza e li ho vinti entrambi, battendo Novak, Rafa e Dominic a Londra, tre match durissimi che mi hanno aiutato più avanti in Australia. Mi sono reso conto che potevo ancora battere i migliori, dopo la pausa per la pandemia e dopo aver superato dei problemi fisici. Quei due tornei di fine stagione mi hanno ridato una fiducia sufficiente per tutto quest’anno”.


Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement