Zverev, dall’oro olimpico allo show di Torino: “Ora voglio uno slam” (Riccardo Crivelli, la Gazzetta dello Sport)
Alessandro Magno si annette nuove conquiste e completa i quattro mesi da condottiero del futuro con un trionfo da dominatore: dopo l’oro di Tokyo, ecco le Finals, vinte per la seconda volta in carriera, ancora una volta ribaltando all’epilogo il verdetto del girone. Tre anni fa Zverev perse da Djokovic e poi si vendicò in finale; stavolta la lezione tocca a Medvedev: per l’11’ volta il giocatore sconfitto nelle eliminatorie finisce per sollevare il trofeo. Non solo: Sascha diventa il quarto Maestro a battere, tra semifinale e finale, il numero uno (in questo caso Nole) e il numero due del mondo. Una lunga marcia iniziata con l’apoteosi olimpica di inizio agosto – il successo che anche mentalmente gli ha aperto nuove prospettive, perché il fisico e il tennis sono sempre stati quelli del predestinato – e che adesso si completa con il sesto torneo stagionale e il successo numero 59 del 2021, entrambi record.
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Però il suo curriculum dice che da grande, nei Major, non ha mai sconfitto un top ten, ed è questo il salto definitivo che Sascha deve compiere. La partita perfetta Se tuttavia le premesse sono quelle delle Finals, l’attesa diarchia del 2022 Djokovic-Medvedev potrebbe subito trasformarsi in un triumvirato. La partita di Zverev contro l’Orso russo, rivale che lo aveva superato nelle ultime cinque occasioni ed era campione in carica con nove match di fila vinti al Masters, è semplicemente perfetta, anche perché il veloce indoor è davvero la sua superficie d’elezione: servizio dirompente (20 punti su 25 conquistati nel primo set e, tanto per gradire, ace di seconda sul match point), rovescio profondissimo di cui non perde mai il controllo e dritto che sopporta ormai tutte le sollecitazioni e non sfarfalla più come nei giorni meno ispirati. Pensieri alle spalle In aggiunta, ci mette grande incisività alla risposta e un piano di gioco che prevede anche le conclusioni
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E se la loro sfida del girone si era probabilmente guadagnata i galloni di miglior match della settimana insieme alla semifinale vinta contro Djokovic, nell’occasione più sfavillante lo spettacolo latita perché la superiorità del tedesco è troppo netta; ma alla fine il pubblico, schierato più dalla sua parte durante la finale, gli tributerà comunque una lunghissima ovazione, tanto da meritarsi un’incoronazione in diretta: «A Londra per 12 anni è stato un evento incredibile, ma io penso che Torino l’abbia superato. Ciò che rende speciale l’Italia sono i tifosi, che sono assolutamente folli nel senso positivo del termine. Questo è stato il pubblico più simpaticamente rumoroso e quello che mi ha dato più energia quest’anno». Una stagione che fuori dal campo non gli ha certo riservato carezze, con la nascita della figlia Mayla, riconosciuta ma affidata in custodia solo alla madre, la denuncia di violenza privata dell’ex fidanzata Olga e l’indagine dell’Atp in merito alla vicenda che è ancora in corso, nonché i problemi di salute del padre, Alexander Senior, assente al torneo e ricordato quasi in lacrime durante la premiazione: «Tornerà presto». Ma le difficoltà lo hanno probabilmente reso più umile e consapevole, dopo i fallimenti degli anni scorsi con i super coach Lendl e Ferrero ora si fa seguire dal fratello Misha e a Torino in tribuna c’erano pure la madre, sua prima nutrizionista e psicologa, e anche gli adorati cani. La grandezza nella semplicità. Forse è nato un nuovo Sascha.
Zverev, maestro ad alta velocità (Massimo Grilli, Corriere dello Sport)
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Il primo Maestro “italiano” è Alexander Zverev, che ha trionfato per la seconda volta nelle Atp Finals – la prima tre anni fa – battendo in sequenza il numero 1 e 2 del mondo, e confermando il feeling con il nostro Paese, ricordando che nel 2017 aveva vinto sulla terra di Roma. «A Londra è stato bellissimo ma Torino è il top, amo l’Italia», ha confermato il vincitore, che poi ha fatto festa con la famiglia (a Torino c’erano il fratello Mischa, il nipotino, la mamma, anche i suoi due barboncini; mancava solo il papà, «e spero che torni presto con noi nel Tour»). FAST TENNIS. Dopo la faticaccia di sabato con Djokovic, ieri abbiamo assistito (in tribuna anche lo juventino Dybala) a 74 minuti di fast tennis, con il tedesco dominante al servizio e aggressivo alla risposta (80% di prime palle in campo e neanche una palla break concessa) e molto aggressivo alla risposta, nel tentativo riuscito di ridurre al minimo la durata degli scambi (41 punti vinti contro 25, nei palleggi sotto i quattro colpi), per non farsi intrappolare nella ragnatela tanto cara a Medvedev, che lo aveva battuto nelle ultime cinque sfide, Sascha chiude il 2021 al terzo posto della classifica – suo miglior piazzamento di fine anno – e con il maggior numero di titoli vinti, 6, dove insieme al Master brilla l’oro di Tokyo. SVOLTA OLIMPICA. Proprio quella vittoria olimpica – rimontando in semifinale contro Djokovic da un set e un break sotto – ha evidentemente dato la svolta alla stagione, e forse anche alla carriera, del campione di Amburgo (che tifa però Bayern), che ha poi infilato altri tre successi chiudendo l’anno con 25 vittorie nelle ultime 29 partite giocate.
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Dopo i burrascosi rapporti con tanti allenatori (Ferrero, Lendl, Ferret..) ora ha finalmente trovato un equilibrio almeno in campo, dimostrando a Torino di saper reggere i ritmi alti dei grandi giocatori da fondo campo e riproponendosi, a 24 anni, come validissima alternativa del futuro prossimo ai vari Djokovic, Medvedev e Nadal. SBIADITO. Da parte sua, il russo, grande favorito della vigilia, è stato poco assistito dal servizio (solo 3 aces) e non è riuscito quasi mai a sfondare da fondo campo. E’ finito subito sotto nel punteggio, sia nel primo che nel secondo set, e a nulla è valso il tentativo di essere più aggressivo, di cercare anche la via della rete. A parzialissima consolazione, gli assegniamo il punto più spettacolare della partita, un pallonetto di rovescio a scavalcare i 198 centimetri dell’avversario. COPPA DAVIS. Ora lo aspetta la Coppa Davis, dove lo squadrone russo – con Medvedev ci sono anche Rublev, Karatsev e Kachanov – si scontrerà subito con la Spagna di Alcaraz.
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Famiglia in campo. Mischa l’arma in più (Daniele Azzolini, Tuttosport)
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Se Alexander il Giovane abbia avvertito quell’ansia di arrivare presto alla meta, di tagliare i traguardi cuil’avevano destinato, non è possihle dire. Sipuò solo ipotizzare… E non dev’essere stato facile per lui tenere la barra a dritta, in quel mare procelloso di consigli, di input di aspettative, di coach che gli venivano affiancati in modo che lo tenessero a balia. Il padre ci provò persino con Lendl, e questa volta fu proprio lui, Darth Zverev, a rifiutarlo. Non riuscì a legare con l’antico Jedi, fece sapere che non comprendeva le sue indicazioni, le attenzioni, persino il suo spirito. Il padre in quello stesso periodo attraversò momenti difficili, ma si è ripreso, ha superato i guasti di una malattia che nella maggior parte dei casi assume carattere devastante. Fu lui a riprendere in mano la crescita del ragazzo che offrì a Darth Zverev le prime certezze.
Vinse le Finals per la prima volta E contro Djokovic che lo aveva battuto nel round Robin. Vi riuscì grazie ai consigli di Federer, che lo obbligò a una seduta exta di lavoro nei giorni della Laver Cup. E pazienza se quei consigli erano in tutto simili a quelli che Lendl aveva provato a suggerirgli. «Vai avanti», gli disse Roger, «metti i piedi sulla riga
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Niente nel tennis si dà per scontato, la lezione l’aveva compresa meglio DarthZverev dei suoi stessi famigliari. Va meglio ora, con questo nuovo successo nelle Finals che potrebbe finalmente condensarsi nei titoli e nella classifica che Zverev va cercando dall’inizio Da qualche tempo Sascha ha assunto una dimensione più matura, più posata Ha avuto i suoi bei problemi di coppia.
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Ma l’aiuto maggiore gli è giunto dal fratello, Mischa, che ha chiuso la sua stagione tennistica e ora gli fa da coach vero e proprio Hanno avuto sempre un buon rapporto, e la presenza del maggiore dà modo a Sascha di avvertire meno il peso dell’attesa che grava su di lui.
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Zverev non dà scampo a Medvedev. È lui il primo maestro Made in Italy (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)
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Deve ancora rompere il ghiaccio con lo Slam, Sasha Zverev, però quest’anno non si è fatto mancare niente: l’oro olimpico a Tokyo regalando una cocente delusione al Djoker (nulla, a confronto di quella che lo aspettava all’Open Usa), i Master l000 di Madrid e Cincinnati, le Finals torinesi che inaugurano l’albo d’oro con il tedesco dal cognome russo, giovane uomo dalle relazioni tormentate. Si porta dietro accuse di maltrattamenti all’ex fidanzata Olga, ha una figlia di pochi mesi con l’ex Brenda, è accompagnato dalla nuova ragazza, Sophia. Piace, Sasha, alle donne e agli dei del tennis, che tra semifinale e finale consegnano al braccio destro del campione di Amburgo percentuali al servizio da sogno. L’83% di punti vinti sulla prima palla rende Zverev pressoché ingiocabile anche per le geometrie da scacchista di quel geniaccio di Daniil Medvedev, che al pala Alpitour era sceso in campo da favorito e campione in carica. E invece Odino, pur reduce dalle due ore e mezza di battaglia con Djokovic sabato sera, ha risolto il primo set con un break al terzo game e, per inerzia, ha chiuso 6-4, 6-4 con la complicità di un Medvedev scarico, molto poco incline alla sofferenza.
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«Cresceremo» promette il presidente della Fit Angelo Binaghi augurandosi un futuro senza pandemia e a piena capienza (il pala Alpitour ne tiene 12.800), all’indotto di quest’anno è mancato l’estero (le Finals, a partire dai giapponesi del main sponsor Nitto, sono in grado di spostare le masse) e un maggiore coinvolgimento della città, che ha cambiato giunta strada facendo. Si può solo migliorare, insomma, le Finals hanno quattro anni (almeno) per affermarsi come il piccolo Slam italiano, il passaggio di consegne con la Coppa Davis riporterà in campo Jannik Sinner (purtroppo non Matteo Berrettini), il ragazzo magico che da queste parti sperano di incoronare maestro prima che il torneo cambi di nuovo indirizzo.
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Zverev re a Torino il cattivo maestro non si nasconde più (Paolo Rossi, La Repubblica)
Olimpico. Solido. Invincibile. Il cappello del Maestro del tennis 2021 va a Alexander Zverev, e mai titolo è più meritato. Le prime Atp Finals italiane celebrano il tennista tedesco che ha messo in fila prima Djokovic e poi Medvedev, ieri sconfitto 6-4 6-4 (e per l’undicesima volta del Masters c’è un risultato diverso tra i due giocatori che si erano già affrontati nella fase a gironi).
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Tennista precoce, figlio di tennisti, fratello di tennista: non poteva percorrere altra strada, ma il talento ha baciato il più piccolo della famiglia Zverev che, dalla Russia, si era trasferita in Germania, dove Sascha è poi nato. All’inizio del suo boom la Germania era felice, pensando di aver trovato un altro Becker, e il mondo del tennis anche: stiamo parlando di un ragazzo alto quasi due metri, biondo e bello come il sole, una specie di semidio con il destino già inciso sulle pietre. Poi, però, gli intoppi. Prima quelli sportivi, poi quelli comportamentali. Il circuito del tennis ha cominciato a fare i conti con un ragazzo difficile da gestire, a tratti strafottente, a tratti scorretto politicamente. E non c’entra nulla il look, quelle catenone al collo con cui gioca («No, non mi pesano: le indosso da sempre»), o la T-shirt smanicata che ricorda il primo Rafa Nadal. Il ragazzo ha sin da subito mostrato personalità, ma anche un problema di controllo delle emozioni: vedi la finale Slam a New York consegnata a Dominic Thiem da favorito. Per cui, mentre gli addetti ai lavori si interrogavano sul perché non avvenisse la definitiva consacrazione, sono venuti fuori i guai privati.
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Eppure Sascha Zverev non si è spezzato. Anzi, il tennis degli ultimi due giorni ha rasentato la perfezione: ha disarmato Djokovic e Medvedev sul loro terreno. Se si tratti di stato di grazia passeggero o del salto di maturità definitivo, lo sapremo a breve
Colpo da maestro (Stefano Semeraro, La Stampa)
Stavolta Daniil Medvedev non ha sbadigliato. A dargli la sveglia ci ha pensato Sascha Zverev, 6-4 6-4 in un’ora e un quarto di tennis – davvero – magistrale. Rovesci vincenti, discese a rete, un’aggressione continua decisa a tavolino dopo la sconfitta rimediata nel girone. «Se lasci a Daniil controllo degli scambi sei finito, perchè da fondo è uno dei migliori del mondo». Ad annoiarsi un po’ magari sono stati gli spettatori del Pala Alpitour, che da una finale fra il numero 2 e il numero 3 del mondo probabilmente si aspettavano uno show un filo più corposo, ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Specie in un torneo che arriva a fine stagione, quando anche le pile dei più forti tendono al rosso. Zverev ha giocato come tutti hanno sempre pensato che dovrebbe. Nemmeno una palla break concessa, ventitré vincenti, un repertorio di soluzioni che hanno lasciato fermo il Maestro uscente. Per Sascha è la seconda vittoria alle Finals, dopo quella del 2018.
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Parlare di cambio della guardia, con il 35 enne Nadal e il 40enne Federer in bacino di carenaggio e il 34enne Djokovic ancora sul trono, è fuori luogo e soprattutto fuori tempo massimo. Di sicuro però qualcosa nel tennis sta succedendo. Fino allo scorso gennaio Djokovic sembrava regnare su un popolo giovane ma disperso, la massa senza Slam dei cosiddetti Next Gen. Dall’Australia in poi lo scenario è cambiato, Medvedev e Zverev hanno montato un rapporto diverso, sono loro i due inseguitori dell’uomo in fuga verso l’immortalità. Con ritmo infernale sono staccati dal plotoncino dei migliori – Tsitsipas, Rublev, Berrettini, Sinner e compagnia – lasciando decisamente indietro il gruppone degli altri. Sono simili, anche se diversi, alti tutti e due un metro e 98, da ieri pari anche nel conto degli scontri diretti, sei a sei. Medevedev il suo primo Slam lo ha già vinto, Zverev ci è arrivato a tiro l’anno scorso, quando a New York finì per inchinarsi al desaparecido Thiem
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Un anno finalmente tutto solido, soprattutto la seconda metà – 32 vittorie in 36 match da Wimbledon in poi – da vero numero 3 del mondo, decorato dall’oro di Tokyo e dal titolo di Maestro, lo candida a un Oscar per il 2022.
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