Sinner non basta, Davis addio (Crivelli). SuperSinner si fa in due ma il doppio condanna l'Italia (Mastroluca). Formula rivedibile e conti che non tornano la Coppa Davis e quel fascino da ritrovare (Semeraro)

Rassegna stampa

Sinner non basta, Davis addio (Crivelli). SuperSinner si fa in due ma il doppio condanna l’Italia (Mastroluca). Formula rivedibile e conti che non tornano la Coppa Davis e quel fascino da ritrovare (Semeraro)

La rassegna stampa di martedì 30 novembre 2021

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Sinner non basta, Davis addio (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

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La sfida contro la Croazia approda purtroppo all’epilogo più agognato dai nostri avversari, il dentro o fuori deciso dal doppio, dove loro vantano la coppia più forte del pianeta, i campioni olimpici e di Wimbledon Mektic/Pavic. Per come si era messa, però, non la soluzione non appariva troppo disprezzabile per gli azzurri, perché un irriconoscibile Sonego aveva perso il primo punto contro Borna Gojo, 279 del mondo senza neppure la biografia sul sito Atp e Cilic, nel secondo singolare, aveva servito peril match sul 5-4 del secondo set contro Sinner, prima si subire la rimonta del n. 10 del mondo. Recuperato un po’ d’ossigeno, capitan Volandri decide di affidarsi di nuovo a Fognini e Jannik (nonostante le due ore e 43′ trascorse in campo per battere Cilíc), testati nella sfida contro la Colombia, ma i croati si rivelano troppo forti: non concederanno alcuna palla break e approfitteranno con gli interessi dei turni di servizio balbettanti di Fabio. Finisce qui, ma la delusione cocente non può cancellare il cammino e il valore di questa squadra, destinata a recitare da protagonista nel prossimi anni per profondità e talento e che era priva del n. 7 del mondo. Con Berretto sarebbe stata un’altra musica, ma la settimana di Torino ha consacrato una volta di più le doti tecniche e mentali di Sinner, per il quale la top ten di fine stagione a soli vent’anni sembra rappresentare il viatico verso l’empireo.

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Stavolta, schiacciato dalla tensione di una vittoria annunciata ancor prima di scendere in campo, però in una sfida che non contempla un domani, Sonego finisce per smarrire i riferimenti tecnici ed emozionali del match, scomparendo dal campo, lui che ha il cuore di un guerriero, quando la sfida si fa più calda, irrigidito dalle responsabilità: non a caso, si libererà dalle tossine della pressione solo nel secondo set, quando deve rimontare e quindi può lasciare andare il braccio e la mente. Una lezione amara da mandare subito a memoria: nelle difficoltà, non è peccato cercare la melina di rimessa senza intestardirsi nella ricerca ossessiva delle proprie soluzioni vincenti, in attesa che passi la nottata.

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Ma alla fine di una notte che non avremmo certo voluto così scura, capitan Volandri rilancia con fierezza: «Abbiamo perso uno spareggio, ma sono orgoglioso dei miei ragazzi». L’Italia c’è.

SuperSinner si fa in due ma il doppio condanna l’Italia (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

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l’Italia ha scoperto un giovane leader che, al debutto in Nazionale, si è calato nel ruolo del numero 1 con la naturalezza dei grandi. PUBBLICO ALLEATO. In singolare, Sinner non si è fatto demoralizzare dal primo set e mezzo di un Marin Cilic parente molto stretto del campione dello US Open 2014. l’altoatesino capisce di avere un alleato al Pala Alpitour; il pubblico. Lo cerca, lo chiama, alza le braccia ed è come se girasse la manopola di una vecchia radio: il volume dentro lo stadio sale. La natura della partita cambia, perché Cilic è ingiocabile finché la sicurezza lo sostiene. tinsicurezza lo appesantisce. la lotta al contrario acuisce il senso di Jannik perla competizione. Il campo sembra diventare più stretto e più corto per lui, mentre Cilic aumenta i palleggi prima del servizio, intervallati anche da un accenno di “gambeta” da “tanguera”. Sinner ci mette del suo ad allungare i tempi di gioco, risponde profondo e dalla parte del rovescio inizia a tessere una trama diversa della partita. I

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Non soffre quando Cilic accelera di diritto, il suo colpo simbolo giocato in diagonale o dal centro, lo chiude quando incrocia di rovescio con traiettorie sempre più strette. Ma quasi con un margine di sicurezza che gli consente, in caso, di attaccare la palla successiva. ll break all’inizio del terzo illude. FINALE SHOW. Il controbreak diventa un contraccolpo che però non lo abbatte. Anzi, gli indica la strada per la vittoria: ha bisogno di tenere la percentuale alta con la prima di servizio, di prendere l’iniziativa ma non di forzare e aspettare la palla giusta per aprirsi il campo. Soprattutto, ha capito che la presenza scenica avrebbe dovuto cambiare. Foccupazione dello spazio, sotto le luci verdi mentre si alzano le bandiere tricolori sulle tribune, dà la misura del Sinner 2.0. Non ha l’indole del mattatore, ma si dimostra sempre più a suo agio quando put) rendere gli spettatori parte attiva della performance. Abituato alla sottrazione dell’emozione, per non dare segnali agli avversari, passa all’addizione con il pubblico. ll gioco ne guadagna. Qualche errore rimane, qualche scelta forzata continua ad accompagnare la sua partita. Ma tiene di fisico, di cuore e di testa mentre l’avversario più esperto, con un migliaio di partite giocate e uno Slam in bacheca, deraglia. l’Italia che guarda ai giovani e applaude ai Maneskin scopre un altro ventenne che studia da leader

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Formula rivedibile e conti che non tornano la Coppa Davis e quel fascino da ritrovare (Stefano Semeraro, La Stampa)

Avvertenza: le considerazioni che seguono sono indipendenti dalla vittoria o dalla sconfitta dell’Italia con la Croazia a Torino. Riguardano solo il nuovo (s) formato della Coppa Davis, o forse sarebbe meglio dire della Rakuten Cup, tanto per contare il nuovo main sponsor di una gara che è stata per 118 anni una delle più prestigiose dello sport mondiale, e che oggi naviga in un limbo fatto di ambizioni per ora frustate, ed evidenti limiti: sia sportivi sia commerciali. Le magagne della Riforma, voluta dal Kosmos Group di Gerard Piqué per svecchiare una manifestazione ormai snobbata dai più forti, sono evidenti: una formula cervellotica, con qualificazioni vecchio stile a febbraio e le Finals divise fra una fase a sei gironi da tre squadre, ostaggio della insopportabile classifica avulsa (insopportabile sempre, e vieppiù nel tennis), e una a «tabellone» con quarti, semifinali e finali in sede unica (ma quest’anno spacchettate in tre città causa Covid). Orari folli, che già avevano costituito un problema a Madrid nel 2019 e che si sono ripetuti a Torino, costringendo gli spettatori a lunghe attese al freddo e poi a maratone finite quasi alle 3 di mattina, fra caffè e palpebre calanti. E un formato abbreviato, con tre match al meglio dei tre set che non tutela le nazioni più forti – fra le quali l’Italia… – e rende la (falsa) Davis «un piccolo torneo», per usare le parole di Corrado Barazzutti. Senza contare che i quarti si stanno giocando tutti in giorni feriali, quindi con più disagi per gli spettatori. Insomma, un mezzo disastro. A maggior ragione se si considera che la nuova formula non ha fatto tornare i campioni all’ovile:

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Neanche il conto economico, peraltro, deve essere dei migliori, se la settimana prossima l’Itf, che l’ha appaltata al Kosmos Group in cambio di 3 miliardi di dollari in 25 anni, voterà per il trasferimento per un quinquennio delle Finals ad Abu Dhabi.

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«Stiamo svendendo lo spirito della Davis al Medio Oriente, è ridicolo», sostiene Lleyton Hewitt, ex numero 1 del mondo oggi capitano dell’Australia. «La Coppa Davis è morta due anni fa», gli fa eco Paolo Bertolucci. «Tanto vale chiamarla World Cup of tennis, e rassegnarsi».

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