Tennisticamente - Mandare la testa al di là della rete

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Tennisticamente – Mandare la testa al di là della rete

Un allenatore spiega che il tennis non è solo tecnica esecutiva, non è solo potenza e spin. Il tennista in campo esprime la sua personalità, le sue emozioni ed i suoi sentimenti. Ecco perché bisogna allenare l’uomo, non solo l’atleta

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Daniil Medvedev - Bercy 2021 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Il tennis è lo specchio dell’anima, basta osservare un tennista mentre gioca: porta sul campo il proprio modo di essere della sua vita quotidiana, quindi non solo tecnica o potenza fisica ma anche e soprattutto personalità, emozioni e sentimenti. Il tennis è sempre andato di pari passo con l’evoluzione della nostra società: in principio era uno sport dai gesti bianchi, poi è divenuto di tocco e di “poesia” ed infine, per arrivare ai giorni nostri, di estrema velocità dove tutti vogliono spaccare la palla. E, infatti, è questo il tennis insegnato per lo più nelle SAT e nelle scuole agonistiche, in cui l’aspetto tecnico e balistico sono diventati preponderanti: le racchette attuali ed i materiali spaziali completano poi l’opera. L’aspetto tattico e quello strategico sono quasi invece tralasciati, in quanto l’idea di una potenza super basta e avanza per annichilire l’avversario.

Oggi la didattica tennistica è concentrata moltissimo sul costruire un top spin complesso uguale per tutti i tipi di giocatore, ma la realtà che ci testimonia Daniil Medvedev, ormai prossimo numero uno del mondo, è esattamente agli antipodi: un tennis piattissimo alla Jimmy Connors in un’era di lame rotanti e questo non costituisce affatto un limite per le vittorie del campione russo. La sua tecnica vincente è un mix di mente, fisico e strategia: l’esecuzione del colpo costituisce il mezzo e non il fine del gioco. Medvedev ha capito perfettamente che i colpi da soli non bastano per vincere. Non è detto che dei gesti esteticamente belli possano da soli risultare efficaci: la risultante finale è un tennis scorbutico, non contemplato nei canoni classici di bellezza tecnica, ma letale per l’avversario. Possiamo forse dire che la sua non sia tecnica?

Infatti all’esecuzione dei colpi noi diamo erroneamente il nome di TECNICA, in cui la velocità, i bei gesti e la facilità esecutiva vengono confusi col talento. Ormai anche a livello dilettantistico ed amatoriale quasi tutti vogliono tirare forte senza sapere dove vada a finire la palla: la parola imperante adesso è “complessità”, sinonimo di spin velenoso penetrante. Tutto ciò all’interno di un fenomeno di globalizzazione tennistica che tende a rendere gli allievi tutti uguali con l’unico intento di sprigionare appunto velocità supersoniche.

Eppure basta osservare con attenzione un qualsiasi match di torneo per rendersi conto di quanto le emozioni ed i sentimenti dei giocatori si fanno tecnica di gioco, condizionando il match quasi di più della stessa tecnica: un diritto in rete ne determina spesso altri due o tre uguali, una volée chiusa bene in passo spinta ci fa sentire invincibili e ci rende vincitori dei successivi due o tre 15 di gioco. Proprio la finale dell’ultimo US Open ha messo molto in evidenza quanto l’ansia di Djokovic abbia paralizzato un campione di ghiaccio, condizionando la sua tecnica in modo assai negativo.

Le emozioni ed i sentimenti, positivi o negativi che siano, hanno quindi il potere d’influenzare moltissimo la prestazione agonistica: eppure, nonostante sia così, tutti questi aspetti non vengono quasi mai allenati, si leggono tonnellate di pagine inerenti alla tecnica esecutiva, alla video analisi ed alla biomeccanica, vengono organizzati simposi anche di alto livello su questi argomenti, ma non viene invece quasi mai approfondito l’aspetto mentale, quasi che la tecnica da sola possa fare tutto. Anche la comune concezione del talento è ricondotta ad una particolare capacità tecnica: essa è solamente uno dei tanti ingredienti di quella torta chiamata tennista, in cui è fondamentale l’amalgama di tutti gli elementi che la compongono nella consapevolezza che il fattore mentale e fisico sono forse i più importanti. Quest’ultimo per altro viene già sufficientemente allenato.

Bisognerebbe, invece, allenare la parte invisibile del tennista, quel software psicomotorio che fa funzionare la macchina dei colpi che devono essere molto sentiti per essere veramente efficaci. Le emozioni trasmettono impulsi ai muscoli e vanno così a determinare buoni o cattivi colpi, belle giocate o brutte. Il bravo tennista moderno dovrà allora essere capace di riunire in sé stesso tutte queste componenti, all’interno di una concezione olistica dell’Uomo.

È necessario, quindi, cominciare ad allenare l’atleta partendo dalle sue qualità umane, dai sentimenti e dalle emozioni: la cultura, la letteratura sono degli ottimi strumenti per farlo perché gli scrittori classici hanno la grande capacità di farci scoprire la parte più intima e psicologica dei personaggi letterari e, di conseguenza, anche la nostra.

Se poi abbiamo anche la fortuna di essere allenati da un bravo mental coach abbiamo completato l’opera di sublimazione del tennista: sento dunque vinco!

Antonio Di Vita

Antonio Di Vita, istruttore di tennis e coach GPTCA, è da moltissimi anni collaboratore di Alberto Castellani

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