Come Medvedev ha sfruttato la sua forza mentale per diventare uno dei migliori al mondo

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Come Medvedev ha sfruttato la sua forza mentale per diventare uno dei migliori al mondo

Intervista a Francisca Dauzet, psicoterapeuta del nuovo n. 1 del mondo Medvedev

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Daniil Medvedev e Gilles Cervara - ATP Rotterdam 2021 (via Twitter, @abnamrowtt)
 

Traduzione integrale dell’articolo di Cédric Roucquette pubblicato sul sito tennismajors

Dotato di un “immenso potenziale mentale” a detta di Francisca Dauzet, sua psicanalista e performance coach dal 2018, Daniil Medvedev ha imparato a controllare la sua impazienza sul campo per raggiungere i massimi livelli. Avrete sicuramente sentito Gilles Cervara, allenatore di Daniil, parlare del “genio” del n.2 del mondo, senza comprendere appieno cosa si celi dietro questo attributo che spesso viene associato ai più grandi artisti, sportivi o pensatori. L’enigma è proprio davanti ai nostri occhi: un giocatore che chiede al pubblico di fischiarlo a pochi istanti dalla sua prima vittoria allo US Open del 2019, che gioca dei colpi che sembrano sbucare dal nulla; che ha anche scatti d’ira che lo portano a distruggere la sua racchetta o a spingere il suo allenatore a lasciare gli spalti, e che possiede un’autoironia rara per uno sportivo di questo livello. Medvedev ha una grande vena di eccentricità e un folle talento. Fa parte del suo carattere e ciò contribuisce a renderlo il giocatore più adatto a sfidare l’onnipotenza di Novak Djokovic nel tennis maschile.

Il suo genio, che potremmo tradurre come il sapiente uso che fa del suo ‘Io’ più profondo nel perseguire le più alte ambizioni sportive, è qualcosa su cui Medvedev lavora da Wimbledon 2018, insieme a una mental coach francese, Francisca Dauzet, anche se il termine “mental coach” non soddisfa pienamente Cervara, colui il quale ha il merito di averli messi in contatto a fine 2016. “È un campo talmente vasto che non mi sento qualificato per parlarne” ci ha detto Cervara. “Paliamo di tutto quello che è racchiuso nel nostro cervello, ma che non riusciamo a esprimere, a spiegare con le parole, se non ci affidiamo a un professionista che ci aiuti a collegare tra loro i pensieri e a incanalarli nella giusta direzione. Francisca è quel tipo di professionista”. “Incanalare i pensieri nella giusta direzione”: difficile pensare che Francisca Dauzet, che ha trascorso con noi due ore all’ombra del Suzanne-Lenglen durante l’Open di Francia, userebbe le stesse parole di Cervara con la sua stessa naturalezza ed entusiasmo. Detta così potrebbe dare l’idea di un qualsiasi controllo sul pensiero, che indubbiamente non sarebbe né etico, né necessario, né tantomeno nelle intenzioni della Dauzet per un atleta di così alto livello.

Il tennis è uno sport in cui il ruolo che gioca la forza mentale è fondamentale ed è proprio questa paura di controllo mentale che induce allenatori e genitori, specialmente quelli delle atlete più giovani, a essere riluttanti quando si tratta di affidare la psiche più profonda di un atleta a specialisti del settore. Dauzet si sofferma su questa tematica con la conoscenza di chi ha lavorato in molti ambiti. Il suo lavoro con Medvedev si estende infatti a tutte le sfere della psiche. Per capire il suo metodo, le abbiamo rivolto questa domanda: “Aiuti Daniil a sentirsi bene con se stesso e ad affrontare al meglio i momenti difficili del suo lavoro, così come di recente è stato raccontato anche dalla Osaka? E quindi anche a non aver paura di affrontare le palle break?” La sua risposta è stata abbastanza ovvia: “Daniil necessita di lavorare su ognuno di questi aspetti, proprio perché è un essere umano”. “L’aspetto che più mi interessa” continua la Dauzet, “è conoscere la persona, capire cosa lo spinge fino a quel punto e ancora di più capire cosa veramente vuole. Non ho alcun potere su di lui, non giudico la sua volontà o la sua assenza di volontà nel gareggiare. Anche se sono ovviamente interessata ai risultati, non sono lì per spingerlo a raggiungere gli obiettivi più alti. Sono lì a esplorare quelli più nascosti, a studiare i suoi comportamenti all’interno del suo mondo, per capire se c’è un ostacolo di qualche tipo. Delle volte è davvero sorprendente scoprire gli obiettivi di un atleta. Io vivo a suo ritmo, mi sincronizzo totalmente con la sua energia”.

La stessa Dauzet ha difficoltà a descrivere a parole quello che è il suo ruolo. “Ho la qualifica di performance coach professionista per atleti di alto livello, che è un titolo dell’INSEP [Istituto nazionale (francese) per lo sport, le competenze e la performance], potete scrivere questo” ci dice. Francisca ha competenze multidisciplinari. Oltre a lavorare con diversi professionisti, tra i quali Medvedev è certamente il più famoso, ha uno studio privato a Parigi. Il suo sito web menziona in particolare la competenza di “terapista per sportivi di alto livello”, “psicoanalista transgenerazionale”, “terapeuta taoista Qi Qong e Reiki Master”, “fondatrice e presidente dell’Institut de la Bientraitance (IdlB)”. Nelle sue sedute si avvale delle sue diverse formazioni teoriche e delle sue numerose esperienze professionali, che ha messo a disposizione anche nel lavoro a contatto con adolescenti in difficoltà in zone svantaggiate. Per raccontare come sia arrivata sui più grandi campi del mondo, la Dauzet racconta il suo percorso come conseguenza di una traiettoria personale più profonda.

“Sono sempre stata affascinata dalla natura dell’essere umano, sin da quando ero piccola. Quando avevo 17 anni, andavo ad ascoltare le letture di Françoise Dolto. Una volta le andai a parlare a fine lettura e le dissi “Finalmente qualcuno che la pensa come me”. Mi vergognai immediatamente per aver detto quell’orrore, io non ero nessuno, ma lei mi rispose con gentilezza: “Il contributo di tutti noi è importante”. Dolto, morta nel 1988, è stata un’esponente riconosciuta nel campo della psicologia infantile. Prima di iniziare a lavorare nella psicologia dello sport, la Dauzet dovette superare i preconcetti della sua famiglia che riteneva fosse meglio dedicarsi ad ambiti più intellettuali. Ma lei ha sempre amato lo sport e quando si è resa conto dell’l’impatto che aveva sulle squadre di tennis (ha infatti giocato con i Bailly-Noisy o Louveciennes nella regione di Parigi) “grazie alla sua conoscenza sull’essere umano” ha deciso di formarsi all’INSEP. Lo sport e l’alto rendimento (è anche consulente per dirigenti d’azienda) sono in linea con una delle sue convinzioni più profonde: “Vedo l’essere umano come un performer, altrimenti non esisterebbe più come specie. Antropologicamente, mi interessa capire come tutto ciò funzioni”.

Il modo di “operare” di Medvedev – il famoso “genio” evocato da Cervara – è materia prima affascinante, conferma Francisca. “Quando parlo con una persona che sto aiutando, ricevo diversi tipi di informazioni, da diverse fonti. Sono un po’ come un’osteopata che tocca dei punti precisi per capire gli infortuni. Utilizzo immediatamente diversi metodi per comprendere le persone con cui lavoro. Più esse sono collaborative, più è facile il mio compito con loro. Questa è l’unica cosa che può dare risultati rapidi e Daniil è molto svelto. Quando fa suo quello che gli suggerisco, quando si concentra su di esso, e quando ha il desiderio di raggiungere in fretta un obiettivo, lo fa sul serio, è veloce a cogliere ogni suggerimento e il risultato è significativo e potente. Il tennis è uno sport unico in quanto le certezze della settimana precedente vengono messe in discussione dai risultati di quella successiva. Così come fa palestra a richiesta del suo preparatore atletico, Medvedev svolge degli esercizi mentali. Fa tutto parte del processo di crescita.

Oltre a questo, la Dauzet fissa “una sorta di obiettivo annuale, tridimensionale”. “In primo luogo c’è la dimensione umana più profonda ed è necessario accettare dei compromessi con se stessi nel miglior modo possibile. Poi arriva la performance, la consapevolezza di ciò che questa comporta e di tutto l’impegno richiesto. Infine, si lavora insieme su processi puramente mentali e che l’atleta dovrà applicare sul campo, dove sarà da solo, e in base alle esigenze del momento. Durante la propria carriera, un tennista affronterà naturalmente diverse sfide, come i numerosi tornei o il ranking. Ma in ogni sfida c’è in gioco anche una posta più profonda e inconscia: cosa rappresenta questo risultato nella la mia storia, in relazione alla mia famiglia, al mio paese e alla mia immagine pubblica? Me lo merito? Il successo potrebbe essere un rischio per me? Non è cosa semplice. Gli sportivi hanno un breve lasso di tempo per farsi conoscere, non possono rimandare i loro obiettivi di 20 anni. Più si punta in alto, più si lavora duro, migliori saranno i risultati.”

Ed è così che funziona con Medvedev. Comunicando in francese, gli scambi intellettuali tra i due si spingono fino a evocare concetti filosofici o a divagare sull’etimologia di parole russe a lui particolarmente care. La psicoanalista ricorda le impressioni avute dopo il suo primo incontro con il giocatore russo a ridosso della stagione 2016-2017, quando a 20 anni giocava ancora i Challengers. “Dissi a Gilles che il ragazzo aveva un potenziale mentale enorme e una rara capacità di esplorare i suoi pensieri”. Dopo questo primo contatto, Medvedev raggiunse la sua prima finale ATP a Chennai e, a quel punto, Cervara gli suggerì di incontrare la Dauzet regolarmente proprio perché comprese che il ragazzo da solo era “incapace di incanalare i suoi istinti”. “C’era una parte di lui difficile da tenere sotto controllo ricorda l’uomo che in quella fase non era ancora il suo allenatore a tempo pieno, ma era corresponsabile dei suoi progressi all’Elite Tennis Center a Cannes. “Ho avuto questo segnale un giorno, alla fine di una sessione di allenamento. Quel giorno è andato tutto storto, è stato un momento veramente difficile, sia per lui che per me. Ma dopo esserci tranquillizzati gli ho detto ciò che pensavo, cioè che quel lavoro su se stesso fosse indispensabile”.

Nonostante la finale a Chennai, i risultati di Medvedev sul campo tardavano ad arrivare. Aveva cercato sostegno psicologico altrove, perché pensava che il tipo di analisi di Dauzet lo avrebbe destabilizzato. Ma Cervara era ancora convinto che avrebbe funzionato. Conosceva la Dauzet da 10 anni grazie ad amici comuni. “Mi sono ritrovato molto nel suo approccio, profondo e completo, che non si limita ad una piccola parte della mente, come spesso accade, ma che prende in considerazione la natura complessa dell’essere umano nella sua interezza” dice Cervara. “Sia come persona che come coach, mi ha convinto. Daniil è una persona complessa, ricca e profonda ed è proprio per questo che ho pensato che fosse la migliore per lui”.

“Ciò che caratterizza un professionista durante la sua performance” aggiunge la Dauzet “è che è semplicemente diverso. Non è né più interessante né più intelligente, ha semplicemente un campo di esplorazione del suo inconscio quasi illimitato. Lavorarci insieme è un’operazione delicata perché si deve trattare il problema, pur lasciando libera quella sua parte che renderà la performance possibile. Posso solo essere cauta. Devo cercare di mettere ordine nel caos, perché è questo caos che determina le regole interne della persona con cui lavoro ed è condizione per una creatività durevole. È necessario accettare con rispetto i suoi meccanismi interni, anche se possono sembrare folli, perché è lì che è nascosto il suo genio. Questo è il caso di Daniil.” Daniil Medvedev non era proprio in cima alle classifiche mondiali quando ha accettato una seconda proposta di Gilles Cervara di includere la Dauzet nel suo staff.

“Dopo il Roland Garros del 2018 (sconfitto malamente al primo turno da Pouille), la stagione non stava procedendo nel migliore dei modi, ho avuto la sensazione che non bastava il lavoro che stava facendo sul piano psicologico. Gli ho fatto promettere di riflettere sulla mia impressione”. La sconfitta al secondo turno del torneo di s’-Hertogenbosch per mano di Verdasco ha fatto riemergere il suo stato d’animo più cupo. L’ho raggiunto al Queen’s e mi sono accorto che qualcosa non andava continua Cervara. Le sue espressioni erano vuote. Era 1 a 1 contro Djokovic in allenamento, non stava giocando neanche così male, ma era chiaro che non avrebbe vinto altri game. C’era qualcosa che gli mancava nel profondo”. Nel torneo è stato eliminato al secondo turno da Chardy. Intorno a un tavolo da biliardo, il giorno in cui la Francia ha vinto la sua partita di coppa del mondo contro l’Argentina per 4-3, i due si sono presi del tempo per andare al nocciolo della questione. “Gli ho spiegato che pensavo avesse bisogno di lavorare con un professionista che lo avrebbe guidato a scoprire cosa stesse accadendo in lui” e lui mi ha risposto “Ok, trovami qualcuno a Cannes”. Gli ho detto che conoscevo già qualcuno, ma a Parigi: Francisca. E quando gli ho detto che sapevo già che non gli piaceva l’idea, mi ha zittito e risposto che era pronto

I due decisero che sarebbe stato perfetto iniziare dopo Wimbledon. Ma la sconfitta al primo turno contro Steve Johnson a Eastbourne gli aveva poi dato un senso di urgenza. “Facevo tutto il possibile con i miei mezzi” dice Cervara. Mi ricordo di aver cercato di riaccendere quella fiamma che non aveva più, mostrandogli sue foto con gli occhi infuocati di quando aveva vinto il suo primo titolo ATP (gennaio 2018). Ma si percepiva che il suo morale andava peggiorando sempre di più, ad ogni gioco e ad ogni punto perso”. E così Francisca Dauzet è arrivata prima di Wimbledon. Appena prima. “Ed ha avuto un impatto immediato” ricorda Cervara “Ha funzionato. Così di colpo. Sapevo che questa era la mossa vincente e ha funzionato come in un sogno, anche se non mi piace questa espressione… Daniil ha incontrato Coric al primo turno: un primo turno terribile per lui. Coric gli stava dando dei problemi e aveva appena battuto Federer in finale ad Halle”. Medvedev ha vinto quella partita 7-5, 6-2, 6-2 e ha raggiunto il terzo turno.

È stato un grande risultato per noi in quel momento. E da allora, è ripartito in quarta. Stavamo giusto parlando di tornare ai Challengers, ma alla fine siamo tornati a disputare le qualificazioni dei Masters 1000”. Le vittorie dei tornei di Winston Salem e Tokyo hanno piazzato Medvedev tra i primi 20 al mondo. “Non si tratta di un sogno o di magia, ma è solo lavoro, lavoro, lavoro” afferma Dauzet. Ha così escluso l’idea che il suo intervento sia stato la molla che ha portato Medvedev a un rapido progresso in classifica.
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“Sarebbe un abuso dire che il merito è solo mio. Ognuno ha il suo posto nel team di Gilles, che è responsabile dell’intero progetto e, grazie ai risultati ottenuti, Daniil ha fiducia nel lavoro di ciascuno di noi. È molto concreto e passa subito ai fatti”. La Dauzet nega di aver previsto il percorso del suo giocatore, nonostante i fatti suggeriscano il contrario. “Nessuno avrebbe scommesso un copeco su di lui all’inizio. Tutti dicevano “Sì, ma non è abbastanza in forma… sì, ma la sua tecnica è strana”. E io di contro dicevo “Sì, è così, ma ha qualcos’altro e questo qualcosa può portarlo in cima. Lo dicevo anche a Daniil e penso che alla fine se ne sia convinto, inconsciamente.” “È stato quando l’ho visto vincere partite e tornei per i quali non sembrava pronto che ho capito quel potenziale” dice Cervara. “Analizzando i fatti, direi che Daniil è meno forte di questo o quell’altro giocatore, ma che comunque è in grado di batterli. C’era dell’altro che gli permetteva di mettere assieme tutti i pezzi. Ed è quello che Francisca è riuscita a cogliere”.

La psicoterapeuta è dietro ad alcuni episodi chiave del percorso evolutivo del russo. I fischi e gli eventi che lo hanno reso in qualche modo un personaggio allo US Open del 2019? “Lo avevamo previsto” dice Dauzet. “Non era molto popolare. Giocava su campi minori. Veniva fischiato quasi subito. Abbiamo lavorato per renderlo un punto di forza. Stava giocando di fronte al pubblico americano che ama i vincitori, quindi forse alla fine avrebbero apprezzato la sua capacità di reagire in quel modo” continua Dauzet sorridendo. In finale, Medvedev è arrivato vicino a sconfiggere Rafael Nadal e ha ricevuto una standing ovation per il suo coraggio. Dauzet ammette di aver aiutato Daniil ad abituarsi a essere più paziente quando si attendono dei risultati. “Ci possono essere degli ostacoli in un lavoro. E si lavora accettando le difficoltà e il tempo che serve. Quando la persona che segui si rifiuta di fare quel salto, è in realtà vicina a superare quegli ostacoli, è lì il nocciolo della questione ed è pronta per il passo successivo. Dire di no vuol dire essere più vicini al momento in cui si dirà di sì”. Dire di no alla terra battuta, così come Medvedev ha fatto per quasi due stagioni, per poi aprirsi ad essa ne è un esempio.

Il quarto di finale al French Open di quest’anno, dopo una disastrosa stagione sulla terra, rappresenta proprio uno di quei risultati a effetto ritardato. “Durante l’UTS, il martedì precedente l’inizio del French Open, ha mollato la partita contro Fritz, anche se si rifiutava di ammetterlo e, quando l’ho sentito dire ai microfoni che lui gioca di merda sulla terra, ho pensato che il suo sistema di autodifesa fosse ancora attivato. E ho pensato anche che fortunatamente ne era consapevole e forse pronto a passare oltre (a rimuovere il suo blocco mentale sulla terra). Poteva succedere agli Open di Francia o poteva dover aspettare un altro anno. Alla fine è successo qualcosa di grande”. A Parigi, Medvedev ha elogiato la qualità della terra, le palle e l’ambiente, attribuendo loro il merito dei buoni risultati ottenuti al Roland Garros, come dimostrato da quattro ottime vittorie. Ai giocatori piace far sapere alle persone che è da loro che viene tutto” dice Francisca con un sorriso.

Francisca Dauzet accompagna Medvedev durante le prove del Grande Slam, quando le normative sanitarie vigenti consentono di avere al seguito più di due membri dello staff. Attualmente [agosto 2021 quando è avvenuta l’intervista, ndt] è a New York con Cervara e la moglie di Medvedev. “Il lavoro faccia a faccia è più potente”. È per questo motivo che è spesso in prima fila a studiare il rapporto tra Medvedev e il suo allenatore – un legame di fiducia estremamente forte, a volte intervallato da scambi burrascosi che deliziano i social, come accaduto a gennaio agli Australian Open. “Questo genere di discussioni possono sembrare scioccanti, se viste dall’esterno. Ed è difficile conviverci” conferma la Dauzet. Daniil lo ammette. E apprezza che Gilles sappia come gestirlo, anche se non so se si renda conto di quanto sia difficile, umanamente parlando. Ma nel sistema di Daniil, il suo atteggiamento fa parte di ciò che lo aiuta in quei momenti”.

Daniil semplicemente non accetta di perdere” dice Cervara “e quando non vince o non conduce lui, cerca soluzioni lì dove altri invece accetterebbero la sconfitta o si rifiuterebbero di raccogliere le ultime l’energia. Quando esplode, non si allontana dalla vittoria, anzi è segno che è lì, che sta lottando e che sta cercando soluzioni. Perciò lascio scorrere, perché so che sta lottando. In passato molti allenatori gli dicevano che lui non lottava, che accettava troppo la sconfitta. Per questo non funzionava, perché non lo capivano.” Nelle ultime tre stagioni, Medvedev ha spinto le sue evidenti qualità fino al limite assoluto – lui stesso non credeva di poter raggiungere la top 30. “Non ci sono limiti oggettivi, ma solo quelli che noi stessi ci poniamo” dice la Dauzet. “È un tema su cui lavoriamo costantemente. E su questo, Daniil ha un’incredibile capacità che non tutti gli esseri umani hanno”. Potremmo chiamare questa capacità “genio”.

Traduzione di Claudia Marchese

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