Ash Barty ci lascia ancora affamati, ma non ci deve nulla

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Ash Barty ci lascia ancora affamati, ma non ci deve nulla

Stampa australiana: Barty una boccata di aria fresca: è arrivata, ci ha allietati e ora va via. Il talento è un dono, ma non impone obblighi

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Conferenza post-ritiro di Ashleigh Barty

La carriera di Ashleigh Barty in cinque immagini

Traduzione integrale dell’articolo di Greg Baum pubblicato sulla testata australiana The Age

Ash Barty è stata una boccata di aria fresca. È arrivata, ci ha allietati per un po’ e ora è andata via. È stata con noi poco più del fuoriclasse Winx (cavallo da corsa australiano vincitore di 33 gare consecutive in soli 4 anni, ndt), ma le emozioni che ci ha fatto vivere resteranno nei nostri cuori molto a lungo. Il suo ritiro dal tennis a 25 anni è uno shock, ma non è del tutto una sorpresa. E’ sempre stata fuori dagli schemi. Come dice lei stessa all’amica Casey Dellacqua nel momento dell’annuncio sui social media, il suo ritiro potrebbe sembrare poco ortodosso, ma l’ha fatto a modo suo.

La Barty non ha mai giocato per i soldi. Dopo aver vinto le WTA Finals a Shenzhen 2019 e aver incassato il più cospicuo assegno mai conquistato da un tennista, uomo o donna che sia, si è limitata a dire che sarebbe stato il regalo di Natale per i suoi nipotini. Sa a cosa sta rinunciando e i soldi sono l’ultima cosa a cui pensa. Non ha giocato per i trofei: alcuni sono finiti a casa delle sue sorelle come soprammobili. Non ha giocato per i viaggi: è in fondo una persona che ama stare a casa. È rimasta sempre molto legata al Queensland. Non ha giocato per la fama: l’Australia ha avuto giusto un paio di campioni più modesti e discreti di lei. Non ha giocato per collezionare tornei e con il suo ritiro ci ha confermato di non aver giocato con il desiderio di avere una carriera longeva.

È probabile che la Barty abbia riflettuto sulle difficoltà di Naomi Osaka, che continua ad andare avanti faticosamente e senza entusiasmo. Quasi coetanee e destinate a essere a lungo rivali in cima alla classifica del tennis femminile, forse Barty ha pensato che non facesse per lei. O forse no. Forse è semplicemente come ci ha detto lei: ha realizzato il suo più grande sogno e adesso è giunto il momento di inseguirne altri. La Barty ha giocato per l’amore di quello che ha sempre definito un bellissimo sport. Sì, di certo lei aveva un gioco bellissimo. Ha messo in difficoltà tante altre grandi. Ha sempre giocato in modo leale. Le miriadi di tributi ricevuti nella giornata di mercoledì ha palesato ancor di più che era universalmente amata. Non ricordo un solo commento duro nei suoi confronti.

Ha giocato con le stesse motivazioni della connazionale Cathy Freeman, che correva per rendere felice se stessa e gli altri. Ne è una prova l’Australian Open di appena due mesi fa. Quel ricordo è indelebile. Ma persino per i migliori, il tennis professionistico può diventare una routine massacrante. È solitario, ripetitivo, soffocante e logora i giocatori. Barty non ha voluto attendere oltre. Ha preferito non rischiare di diventare spenta, annoiata o cinica. Ha sentito la sua motivazione iniziare a scemare dopo aver vinto il tanto desiderato titolo di Wimbledon lo scorso anno, e non ha aspettato che svanisse del tutto. Non ha aspettato che il tennis la consumasse.

Nel 2019, Barty ha vinto il Don Award. Nella prefazione di un libro su di lei pubblicato in quel periodo (“Barty, power and glory” di Ron Reed, ndt), il presidente della giuria Rob de Castella disse: “Lei dà il 100%, ma non vive o muore per il risultato. È arrivata a essere il n.1 del mondo, ma nei suoi occhi si percepiva che non si sentiva migliore di nessun altro”. È un tema che anche Barty stessa ha affrontato nell’annuncio di mercoledì. “C’è stato un cambio di prospettiva per me in questa seconda fase della mia carriera, la mia felicità non dipendeva più dai miei risultati” ha detto. “Il successo, per me, è sapere che ho dato tutto quello che potevo. Mi sento appagata, sono felice”. Il ritiro di Barty è uno spreco del suo talento, proprio ora che sembra essere al suo massimo? Tre slam vinti direbbero che non lo è. Il talento è un dono, ma non impone alcun obbligo, sebbene molto spesso possa diventare un fardello. Dopotutto è solo un gioco. Avrebbe dovuto continuare a giocare ancora? Lo doveva forse al tennis? Solo se si pensa allo sport e alla vita come a un libro mastro, da far quadrare sempre. Probabilmente è l’Australian Open che avrà per sempre un debito con lei.

Cosa verrà dopo? Il cricket? Ci ha fatto vedere di esserne capace. Il golf? Colpisce forte. Poi c’è la vita matrimoniale, una nuova frontiera. In questo momento, la Barty è come un filantropo che eredita una fortuna e la dà via per vedere se può crearne un’altra da zero con il sudore della fronte. Potrebbe tornare? Ci sono molti precedenti. Lei stessa è uno di questi. Ed è giovane abbastanza per farlo di nuovo. Ma non è una domanda da porsi qui e ora. Il mondo è nelle sue mani adesso. Questo è il momento per le congratulazioni, i ringraziamenti e i festeggiamenti e, sì, anche un pizzico di tristezza. Ci lascia ancora affamati, ma dice di non avere più nulla da dare. Dobbiamo accettarlo. Ci ha dato più di quanto non avremmo mai potuto sperare. Così, anche se siamo tutti rimasti attoniti, idealmente, siamo tutti con Dellacqua, e ci stringiamo insieme a lei in questo abbraccio ad Ash Barty.

Traduzione di Claudia Marchese

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