Non c’è una cosa più triste, per chi fa il giornalista di professione, che ritrovarsi a scrivere della scomparsa di un caro, carissimo amico. Di un amico che non c’è più: come Nicola Migone cui mi legano tanti, tantissimi ricordi di infanzia e poi di adolescenza vissuti in gran parte attorno al circolo Tennis Firenze, di cui suo padre Eugenio (detto Mighino per gli amici più intimi, ma anche il Dottore per quelli appena un po’ meno) e mio padre Giancarlo, grandi amici e spesso compagni di doppio e vincitori di Coppa Croce (il campionato italiano a squadre di seconda categoria), erano stati entrambi anche presidenti. Prima mio padre succedendo allo storico presidente Fred Dalgas, poi dal 1977 Eugenio che rimase presidente fino al 2000 quando fu nominato presidente onorario.
Nicola, scomparso il lunedì di Pasqua, era nato il 6 giugno 1942, figlio di Eugenio e della sua prima moglie Adele Pietrabissa. Ma era stato adorato anche dalla seconda moglie di Eugenio, Fiamma. Nicola avrebbe compiuto fra un mese e mezzo 80 anni. Negli ultimi anni, purtroppo, non era stato più bene.
Aveva sette anni più di me, Nicola, e io ragazzino di non ancora dieci ma già irresistibilmente contagiato dalla passione per il tennis, restavo affascinato sul campo n.4, quello davanti alla celebre palazzina del Circolo costruita nel ‘900 e che nel 1910 aveva visto nascere la federazione italiana tennis con presidente Piero Antinori, a vedere il tennis, incredibilmente talentuoso di Nicola, il mio primo idolo con racchetta. Ho fatto il raccattapalle prima a lui che a Nicola Pietrangeli. Ed è stato un mio idolo prima di Pietrangeli, prima del mio quasi coetaneo Panatta.
Non esagero. Nicola aveva una classe enorme. Ben più alto del metro e novanta, maneggiava la racchetta come se fosse un fuscello, con un’eleganza senza pari. Giocava il rovescio a due mani quando ancora non lo aveva quasi nessuno. Non era certo di moda come oggi. In Italia a giocarlo a quel modo c’erano soltanto Beppe Merlo, meranese e due volte finalista agli Internazionali d’Italia e due volte semifinalista al Roland Garros, il faentino Stefano Gaudenzi (che facendo dritto e rovescio a due mani venne ribattezzato Pancho perchè era il soprannome del grande professionista Segura: si tratta dello zio dell’attuale presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi, ex n.18 del mondo) e, appunto, Nicola Migone.
Sebbene il circolo fiorentino delle Cascine avesse grandi tradizioni, dopo che un tennista come Renato Gori era stato – come pure Pancho Gaudenzi – il n.5 d’Italia alle spalle dei Pietrangeli, Sirola, Merlo e Gardini prima dell’arrivo di Sergio Tacchini, e dopo che Enzo Malenchini (“Il Marchese”) vinse due volte i campionati italiani di seconda categoria ma non fu mai promosso in “prima” (del tutto ingiustamente), ben presto Nicola divenne l’indiscusso n.1 del circolo delle Cascine, (che pure in un certo momento storico ebbe 14 tennisti di seconda categoria quando in tutt’Italia erano poco più di 50) uno dei primissimi seconda categoria italiani, in pratica uno dei primi 15-18 giocatori del nostro Paese perché allora i “prima categoria” dell’epoca, a seconda degli anni, erano soltanto 12, oppure 15 come 17.
Non so più quanti titoli di campione toscano vinse Nicola. Spesso battendo Gilberto Dorini, ma anche qualcuno dei fratelli livornesi Fanfani, uno dei quali, Luli, tennista serve&volley, passò anche in “prima” ma perdeva da Nicola più spesso di quanto vincesse.
Almeno una volta, forse due, Nicola fu campione toscano battendo proprio il sottoscritto in finale. Per me era una… sorta di bestia nera. Credo di non essere mai riuscito a batterlo. Io cercavo di giocare, con tutti i miei limiti, un tennis quasi brillante, andavo a rete e lui mi infilava regolarmente, anche se sapevo che non dovevo attaccarlo sul rovescio, perché era capace di fare degli “strettini” pazzeschi così come dei lungolinea per me imprendibili. Lui si muoveva poco, un po’ per pigrizia, un po’ perché a comandare il gioco fino a un certo livello era sempre lui.
Avevo undici anni quando, nel 1960, con un’ammirazione che non mi ha mai abbandonato lo vidi vincere i campionati italiani junior di doppio.
Li vinse al fianco del suo miglior amico e inseparabile compagno di circolo (e di uscite serali) Alessandro Dalgas, battendo Vanni Tacchini (fratello del più noto Sergio, ma da giovane forse ancora più forte fino a che a causa di un terribile incidente stradale nel 1962 ne uscì con ben 18 fratture e una gamba compromessa per sempre) e Giordano Maioli che aveva battuto Nicola nella finale del singolare e che sarebbe poi diventato campione d’Italia assoluto nel ’66 (battendo Nicola Pietrangeli) e azzurro di Coppa Davis.
Nicola rispondeva, da sinistra – e quindi sui punti più importanti – in modo straordinario soprattutto di rovescio, costruendo il punto per Alessandro che, grandi riflessi, a rete intercettava e chiudeva tutto quel che c’era da chiudere.
Beh, capisco che queste ricostruzioni possano apparirvi esagerate, eccessive per due tennisti bravi che però a livello internazionale non hanno vinto tornei davvero significativi. Qualcuno però Nicola li ha vinti.
Ma erano i miei occhi di bambino a farmeli vedere eccezionali, a scattare in piedi quando facevano i punti più spettacolari, a farmi innamorare del tennis anche se già “Mighino”, capitano di Coppa Davis (1960-1961) prima ancora che dirigente del CT Firenze, mi aveva… “sedotto” mandandomi dall’Australia, da ogni dove, le cartoline firmate in trasferta dagli azzurri di Davis, Pietrangeli, Sirola e gli altri.
“Mighino” era stato campione italiano di seconda categoria di doppio maschile e doppio misto, e con la spagnola De Riba arrivò a giocare anche la finale di misto agli Internazionali d’Italia.
Se Eugenio “Mighino” era stato il primo tennista cui avevo visto fare non so più quanti smash al rimbalzo appoggiando un ginocchio a terra, un uomo di un metro e 85 che schiacciava palle alte poco più di un metro e 20, Nicola sarebbe stato a lungo l’unico tennista che ho mai visto (prima di Luke Jensen) capace di giocare gli smash al volo sia impugnando la racchetta con la destra che con la sinistra. Non li ho sognati. Li ho visti.
Avrebbe potuto diventare più forte con la classe e la potenza naturale che aveva? Certo che sì, ma… avrebbe però dovuto prendersi sul serio, lui stesso e il tennis. Allenarsi. Ma non ne ha mai avuto grande voglia. Per lui il tennis era un divertimento, un gioco, tutto fuorché un lavoro, un mestiere. Maioli, che giocava per il tennis Cremona, mi ha ricordato di aver perso più di un incontro a squadre con il CT Firenze. Ma quelle erano gare che si esaurivano in una trasferta, anche divertente, di un weekend. Non di una settimana.
“Era simpatico, aveva un grande sense of humour, disincantato “Cocco” anzi “Cocchino insieme a “Baccello”” ha ricordato ieri un rattristato Giordano Maioli. Così venivano chiamati nell’ambiente i due amici e doppisti fiorentini che lo batterono in quella finale al CT Firenze. Nicola ha seguito di pochi anni la scomparsa di Alessandro Dalgas, anche lui presidente del CT Firenze nel terzo millennio e al circolo da sempre conosciuto come “Baccello” per il suo essere magro e dinoccolato, ma anche per quel suo strano modo di battere contorcendosi per dare il lift al servizio quando ancora quella tecnica non usava. Si divincolava tutto, in un modo quasi buffo, che lo faceva sembrare quasi disarticolato.
“Eravamo ragazzi insieme, eravamo tutti amici, ci incontravamo in tutti i tornei, uscivamo insieme…Nicola era un ragazzo d’una simpatia e di uno charme eccezionale, e così anche “Baccello” Dalgas” ricorda Giordano Maioli, altro tipo che se c’era da farsi una risata, dire una battuta, raccontare una barzelletta non si tirava mai indietro. Eppure è diventato il mega-boss dell’Australian, la nota marca di abbigliamento. Si può diventare imprenditori di successo, come anche Sergio Tacchini, Fred Perry, René Lacoste, cominciando ad affermarsi prima come tennisti.
Nicola, che con la nazionale italiana junior aveva giocato diversi match internazionali contro la Francia, la Germania e altre nazioni, ha sposato una bellissima ragazza belga, Michelle Finck, l’8 marzo 1966 – 56 anni insieme, innamoratissimi e legatissimi – che gli ha dato due bellissime figlie, Francesca e Sabrina, e i due nipoti figli gemelli di Francesca, Pietro e Viola.
Quando si sposarono, uscendo dalla chiesa, testimoni di nozze e amici, li fecero passare sotto un… tetto di racchette da tennis.
Ho giocato tanti doppi in coppia con Nicola quando… Alessandro non poteva, più in squadra del CT Firenze in Coppa Croce più che nei tornei, perché a Nicola – anche perché lavorava nella cereria di famiglia – dedicare una settimana intera a un torneo gli pareva troppo. Ma dopo che avevo vinto i campionati italiani di seconda categoria una prima volta nel 1972 (con Maurizio Bonaiti) cercai di convincerlo che avremmo avuto buone chances di vincere un titolo insieme, fino a che lo convinsi a combattere l’innata pigrizia e a giocare i nazionali a Sanremo. Temo non me lo abbia mai perdonato. A quei tempi un viaggione. Non c’erano tutte le gallerie di oggi per attraversare la Liguria. Per lui, già 29enne, fu uno sforzo enorme, soprattutto psicologico. Smuoverlo da Firenze e da una settimana al mare con la famiglia… un’impresa. Un’impresa sfortunata. Si giocava tre set su cinque, ma non era quello il problema. Non avemmo fortuna. Un ex prima categoria romano, Guercilena (con Lazzarino), cominciò a chiedere che mi segnalassero il fallo di piede – che forse facevo – ci innervosimmo e perdemmo nei quarti sebbene fossimo avanti due set a uno e un break nel quarto, se non ricordo male. Non riuscii mai più a convincere Nicola a seguirmi. Quella volta gli era bastata.
Del resto, gli hobby di Nicola erano tanti e di quelli so poco o niente. Se non che tutti a Firenze avevano piacere di condividerli con lui, dalla caccia – aveva mira come nel tennis, in Maremma era un habitué – e il bridge dove di sicuro – diversamente che nel tennis – gli slam al suo attivo non sono certo mancati.
Che ti sia lieve la terra Nicola, vedrai che lassù incontrerai nuovamente il tuo amico “Bacello” e non mancherete di farvi qualche reciproco sfottò. Come avete sempre fatto, volendovi un gran bene.
Per quanto mi riguarda io non dimenticherò mai il tuo sorriso né quando alla mia mamma da bambino, tornando dal tennis, dicevo: “Da grande vorrei essere come Nicola”. Sì, Nicola Migone.
P.S. Le esequie funebri sono alle ore 16 nella chiesa di Santa Felicita a Firenze.