Omar Camporese: «Alcaraz più forte di Sinner. Il mio tennis? Contro Becker sfasciai lo spogliatoio» (Corriere Bologna)

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Omar Camporese: «Alcaraz più forte di Sinner. Il mio tennis? Contro Becker sfasciai lo spogliatoio» (Corriere Bologna)

L’ex tennista azzurro in vista delle finali bolognesi di Coppa Davis: «Quando la giocavo mi trasformavo. In Brasile abbiamo rischiato ci tirassero i serpenti»

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Intervista di Francesco Barana

«La Coppa Davis? Non è solo tennis, ma tanto altro. Io mi trasformavo…». Omar Camporese scorre i ricordi con un filo di nostalgia: «Più di un filo, la nostalgia c’è eccome» sorride l’ex tennista bolognese, numero 18 del mondo nel 1992 dopo aver sconfitto Lendl e Ivanisevic nei trionfali Atp di Rotterdam e Milano, oggi maestro di tennis e direttore del Green Garden di Mestre. «Turbodiritto», così lo chiamava il mitico Giampiero Galeazzi in quelle dirette-maratone sulla Rai degli anni 80-90, nel torneo dell’insalatiera batteva i più forti dell’epoca: dal 1989 al 1997 gli scalpi sono tanti, da Sampras a Bruguera, da Stich a Emilio Sanchez, fino al canto del cigno di Pesaro contro Moya. Ora attende che la Davis sbarchi nella sua Bologna dal 14 al 18 settembre, per la seconda fase all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno. «Da una vita la città non ospitava un grande evento tennistico. Era ora. Negli anni 90 Bologna era la capitale del tennis italiano con me e Paolo Canè, anzi, la capitale dello sport con Tomba nello sci, Virtus e Fortitudo che giocavano per lo scudetto nel basket e il Bologna che aveva Baggio. Poi il tennis è passato un po’ di moda in città».

L’evento di Casalecchio può aiutare a riaccrescere l’interesse…
«Me lo auguro, in Italia sta succedendo. Abbiamo Sinner e Berrettini, e Governo e Federazione stanno portando nel nostro Paese grandi manifestazioni come le Atp Finals e appunto la Coppa Davis».

Se pensa alla Davis cosa le viene in mente?
«La trasferta a Maceiò, in Brasile, nel 1992. Mai visto un pubblico simile. Tra l’altro eravamo anche un po’ impauriti perché, nel turno precedente, a Becker gli avevano tirato i serpenti ed era impazzito».

A voi i serpenti furono risparmiati…
«Fortunatamente sì, ma fu una torcida. Contro Mattar mi sembrò di vincere solo contro il mondo».

Lei e Canè in quegli anni eravate tra gli uomini più famosi d’Italia…
«Allora il tennis passava in Rai, milioni di italiani stavano incollati alla tv il sabato e domenica per guardare la Davis. Arrivavi alla massa. Poi in Davis ho giocato quasi sempre bene»

Si trasformava, ha detto. Cosa sentiva?
«Il tennis è uno sport individuale, pensi solo a te stesso. In Nazionale invece mi eccitavo nel sapere di giocare per il mio Paese, insieme ad altri colleghi. Ero talmente preso che preparavo la mia stagione Atp in base al calendario della Coppa Davis. Ci ho sempre messo qualcosa in più, ho vinto match che in altri contesti forse avrei perso”.

Ha battuto i più grandi, tranne Becker…
«L’ho sconfitto solo in doppio. Ma nel ‘91 a Dortmund subii e subimmo un furto. Avevo superato Stich e con Becker, allora numero uno del mondo, era il match determinante per il passaggio del turno, ma fu l’unico nella storia in cui cambiarono il giudice di sedia talmente era inadeguato. Ero avanti di due set e non mi diede un punto sulla palla break del 3-2 del terzo set, quando fece ripetere a Becker una seconda di servizio nettamente out. Con quel punto avrei messo mano sulla partita. Ricordo che tra il terzo e quarto set, nei 15 minuti di pausa, sfasciai lo spogliatoio dalla rabbia».

In compenso c’è la vittoria con Moya a Pesaro.
«Abbracciai Adriano (Panatta ndr) alla fine. Ero nella fase finale della carriera, dopo esser rimasto fuori a lungo per l’epicondilite al gomito destro, ma fui convocato all’ultimo per il forfait di Gaudenzi. Eppure quel giorno sapevo che potevo battere Moya. Ripeto, in Davis ho sempre trovato stimoli particolari».

Ha citato Panatta, che rapporto aveva con lui?
«Di ammirazione e stima. Il giocatore lo conoscono tutti, ma lui è stato anche un grande Capitano, con una capacità di lettura delle partite che non ho mai visto in nessun altro. Eravamo una vera squadra: prenda Paolo Canè, la gente credeva che fossimo rivali, invece siamo sempre stati e siamo ancora grandi amici».

Sinner e Berrettini sono più forti di lei e Canè, eppure voi eravate più popolari. Come mai?
«Il tennis è ancora troppo confinato nelle pay tv, o sui canali tematici. Così ti segue solo la nicchia degli appassionati. Noi avevamo la Rai e, mi permetta, giocavamo la vera Coppa Davis, quella delle trasferte in campi ostili, quella al meglio delle cinque partite concentrate nel fine settimana. Un insieme di condizioni che creavano l’epica, da tre anni a questa parte hanno stravolto tutto».

Nel 2019 i nuovi proprietari, capeggiati dall’ex calciatore Piqué, hanno rivoluzionato la formula. Panatta sarcasticamente la chiama appunto la «Coppa Piquet», ma anche il pubblico non ha apprezzato visti gli spalti mezzi vuoti sia a Torino l’anno scorso che nelle finali di Madrid.
«Oggi con questa formula strampalata si arriva persino a giocare di notte: ma chi lo guarda il tennis di notte? Eppoi mi faccia dire…»

Dica.
«I giocatori degli anni Novanta erano più forti. A differenza di oggi, tutti i top ten avevano vinto almeno uno Slam o un Masters 1000; e al numero uno si alternavano Wilander, Becker, Edberg, Lendl, Agassi, Courier, poi è arrivato un certo Sampras. C’erano delle rivalità da mozzare il fiato e noi italiani ci siamo sempre fatti rispettare contro questi fenomeni e la gente si esaltava. Adesso c’è ancora Djokovic, ha giocato pochissime partite quest’anno, ma nessuno lo ha superato. Qualcosa vorrà pur dire».

Chi le piace oggi?
«Alcaraz è fantastico, sa giocare, fa tutto benissimo, ha la mano e il tocco. Lui è il più forte di tutti. Poi c’è Sinner, che però rispetto ad Alcaraz ha qualcosa in meno e gli serve un po’ di tempo. Ecco, una rivalità di Sinner con Alcaraz potrebbe ricreare un’epica del tennis italiano».

In passato ha mosso qualche critica a Sinner…
«Premesso che ho sempre detto che è forte, lo esortavo a variare il suo gioco, ora vedo che ci sta provando. Nelle palle corte è cresciuto tanto, comincia anche ad andare di più a rete. Ma soprattutto Sinner mi ha conquistato sul piano emozionale».

Alla faccia di chi dice che è freddo…
«Ma va, lui è un altoatesino atipico, esuberante, si esalta e lotta in campo. E buca lo schermo, ha carisma, la gente impazzisce per lui. L’anno scorso ero a Torino a commentare per la Rai le Atp Finals: con Berrettini c’era l’entusiasmo che normalmente si riserva a un campione italiano che gioca in casa, con Sinner quell’entusiasmo sulle tribune è diventato delirio. Eppoi c’è un’altra cosa, la più importante…»

Quale?
«Sinner ci tiene tantissimo alla Nazionale, lo si è visto in Davis a Bratislava e a Torino. Insomma, ha tutto per diventare un’icona popolare».

Dopo il no alle Olimpiadi era quasi passato per anti-italiano…
«Credo che quella scelta non sia dipesa da lui, ma ripeto in Coppa Davis poi si è riscattato alla grande. Da questo punto di vista è come me e Canè».

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