Favola Trevisan, è semifinale (Crivelli, Bertolucci, Giammò, Azzolini). Nadal, eroe infinito (Crivelli)

Rassegna stampa

Favola Trevisan, è semifinale (Crivelli, Bertolucci, Giammò, Azzolini). Nadal, eroe infinito (Crivelli)

La rassegna stampa di mercoledì 1 giugno 2022

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Favola Martina (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Lode a Martina, capace di riscrivere la storia con la forza buona di un sorriso che non conosce confini, così luminoso e così sincero da aver conquistato il cuore di Parigi dopo aver portato la luce laddove si era insinuata l’ombra più fitta. La decima vittoria consecutiva della Trevisan, la più importante della seconda vita agonistica, vale il passepartout per la storia: quinta semifinalista italiana al Roland Garros dopo la Ullstein Bossi (1949), la Lazzarino (1954), la Schiavone (2010 e 2011) e la Errani (2012 e 2013), ottava in assoluto in uno Slam. Ieri la fiorentina ha battuto la canadese Fernandez, mancina come lei: adesso è la più forte azzurra in classifica (numero 26) , ma più che il risultato conta il modo in cui è maturato, passando oltre il contraccolpo di un match point sprecato nel secondo set e con una lucidità tattica che a questo punto consente davvero di liberare i sogni più belli. Quando Martina entra in campo a mezzogiorno spaccato, a qualche centinaio di metri, sul lontano numero 14, Francesca Schiavone e Flavia Pennetta stanno giocando il doppio delle Leggende: sono l’unica vincitrice italiana di sempre a Parigi e la nostra ultima vincitrice Slam. Ma dopo due ore e 21 minuti, arriverà la Trevisan a rinfrescare l’eredità perduta: «Loro sono sempre state una fonte di ispirazione per me, le ho incontrate l’altro giorno negli spogliatoi e mi hanno incoraggiata molto. La Pennetta, poi, ha sempre rappresentato un riferimento per il suo stile di gioco in campo». L’intelligenza al potere, quella che muove il braccio di Martina in un primo set perfetto, in cui la sua aggressività e i suoi angoli sottraggono alla canadesina numero 18 del mondo e finalista degli ultimi Us Open l’arma letale, cioè i colpi dal centro coni piedi sulla riga di fondo. Il piano funziona fino al 5-4 del secondo set, quando l’italiana si procura il match point che l’altra annulla con un dritto vincente su una palla di rimessa troppo morbida, prendendo lo slancio per rimettersi in carreggiata fino a un tie break disastroso per Martina : «Su quel punto ho avvertito un po’ la tensione, alla fine del secondo set invece ero molto stanca più che delusa. Ma mi sono detta che ero nello stadio più bello del mondo, e che per questo dovevo essere felice, accettare la situazione e ripartire pensando a un punto dopo l’altro. Sono andata in bagno, avevo bisogno di stare sola in una stanza per rigenerarmi. Mi sono lavata il viso e sono tornata in campo pronta a combattere di nuovo. Io sono una guerriera, mi piace l’adrenalina». E infatti si divora con gli occhi da tigre i primi quattro game del secondo set e poi gestisce con mente e braccio fermi il tentativo di rimonta della Fernandez. E ora, semifinale contro la Gauff, battuta nell’unico confronto diretto proprio al secondo turno del Roland Garros di due anni fa: «La cosa più importante di questi giorni è che mi sto godendo questo momento. In campo mi sento bene, sono felice e sono sempre positiva anche nei momenti più difficili. Il passato è passato, guardiamo avanti. Quanto alla Gauff, l’aspetto che conta di più è che nel giorno di riposo io mi metta nelle condizioni di recuperare bene». […]

Nel suo gioco antico brilla l’intelligenza (Paolo Bertlolucci, La Gazzetta dello Sport)

La notai subito in quel campo assolato del Circolo Tennis Santa Croce. Era poco più alta della racchetta che stringeva tra le mani. Martina Trevisan si distingueva dagli altri bambini per quel sorriso incantevole che ti conquistava fin dal primo istante. Correva felice anche quando raccattava le palle, e non stava ferma un minuto. L’ho seguita, seppur da lontano, anche nel percorso giovanile e ricordo che ci rimasi male quando seppi della sua rinuncia al tennis agonistico per abbracciare la professione di insegnante di tennis: mi sembrava un altro del tanti casi di un talento cristallino che si disperde nei meandri delle difficoltà della vita. Fu un bel giorno, invece, quando mi giunse notizia del suo ritorno alle competizioni, ma sinceramente credevo che gli anni trascorsi al di fuori del circuito sarebbero stati un fardello molto pesante da gestire, anche per le condizioni in cui era maturato l’allontanamento dall’attività agonistica, con i problemi che tutti conosciamo. Invece, per fortuna, le soddisfazioni che sta ottenendo adesso, alla soglia dei 29 anni, premiano quella scelta. La sua decisione è stata coraggiosa, in linea con la sua personalità e il suo desiderio di voler interpretare la vita a modo suo dopo aver vissuto un tremendo conflitto con le aspettative giovanili. Martina gioca un tennis per certi versi antico, lontano mille miglia da quello stereotipato delle colleghe. E’ dotata di buon talento e possiede la capacità di dialogare con profitto con la palla. Usa gli schiaffi solo se costretta e si affida prevalentemente alle morbide carezze per mettere in difficoltà le avversarie. E’ chiaramente una ambasciatrice del bel tennis, quello creativo. Qualcuno la riteneva non idonea a contrastare il tennis muscolare, ma privo di fantasia delle colleghe. Non avevano fatto I conti con la maestria di questa giocatrice che sopperisce ad alcune carenze fisiche con la qualità del braccio.

Trevisan: «La felicità mi fa lottare» (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Beata Martina. Radiosa e felice, orgogliosa e tenace. Sorridi pure, sorridi ancora: c’è una semifinale che ti aspetta a Parigi. Un risultato a cui nessuno credeva alla vigilia e che invece riporta una giocatrice italiana tra le prime quattro finaliste del Roland Garros. Come non accadeva dal 2013, quando fu Sara Errani a riuscirci. E lasciando aperte suggestioni di vittoria che solo Francesca Schiavone riuscì a concretizzare nel 2010. La decima vittoria consecutiva di Martina Trevisan – striscia iniziata a Rabat dove ha vinto il suo primo titolo in carriera – era quella con la posta in palio più alta e il suo copione non ha tradito le attese, complice anche una Leylah Fernandez con un piede ammaccato nel corso del match. «Mi piace la lotta, l’adrenalina che sale un momento prima di scendere in campo, è tutta energia. Mi fanno sentire viva», ha poi dichiarato l’italiana in conferenza stampa. E il primo set all’insegna della lotta è stato, con l’attuale (nonché virtuale) n. 26 del mondo brava a trovare lo spunto decisivo su cui costruire il suo vantaggio. Fernandez non si è persa d’animo, l’infortunio al piede destro non ne ha inficiato il rendimento tanto che, giunti al decimo game e con un match point da fronteggiare, la canadese non solo è riuscita ad annullarlo ma anche a trovare il modo di strappare il servizio all’italiana portando così il set al tiebreak, da lei condotto senza troppi problemi. E qui è stato normale provare un brivido di sfiducia: «Mi sono guardata intorno – ha raccontato Trevisan – ero nello stadio più importante del mondo. E anche se avvertivo tutta quella pressione fin sulle mie braccia, mi sentivo ugualmente felice. Mi stavo giocando l’accesso in semifinale ed ero sul match point. Ho cercato di rimanere concentrata su ogni punto e credo sia questa la cosa più importante che ho fatto». Il tennis femminile racconta tante storie legate ai problemi di salute mentale: lo stress, le aspettative, la solitudine. «Oggi è importante ciò che sono diventata, la felicità con cui sto in campo, credo di star giocando il mio tennis migliore, ma penso di poter fare ancora meglio. Non vedo l’ora di vedere cosa mi riserverà il futuro».

Martina di Francia (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Le fanno domande cui non è preparata. E intorno a lei girano numeri a un ritmo vorticoso. Martina Trevisan ascolta, incantata. Era 59, poi 44, quindi 31, ora 26, ma forse diventerà 19, e magari 11. Contenta? Di che cosa? Mah, della classifica? Ah, quella… Certo, contenta, ci mancherebbe altro, «si va in semifinale, madonnina», e come potrebbe non esserlo? Le parlano come se il tennis fosse tutto, come se vincere fosse l’unico obiettivo comprensibile. A lei, che ha già vinto la cosa più importante che c’è. La sua vita. Ritrovata. Riconquistata. Ripresa e riportata a sé. Ma quel match point sul 5-4 del secondo set? Martina se l’è visto sfilare da sotto il naso, da un bel dritto di Laylah Fernandez, la finalista di un anno fa agli US Open, canadese di nascita, padre ecuadoregno, mamma filippina. Chiedono, a Martina, come abbia fatto a non crollare. Lei accarezza la sala con un sorriso. «Beh, sono qui, gioco a tennis in un ambiente unico, meraviglioso, perché sarei dovuta crollare per un punto perso? Ce n’erano altri da giocare, no? Chi ha detto che le cose belle devono essere anche facili…Andare avanti è la cosa più bella time possa capitare. Ho aspettato un’altra occasione, per fortuna è arrivata». Martina Trevisan ha negli occhi l’Italia che ci piace. È un’Italia che sa comprendere e sa sorridere, che desidera il giusto, che ne ha viste di belle e di brutte, ed è un’Italia matura, appassionata, partecipe, che vuole fare bene ciò che ama. La semifinale conta, e ancora di più conterà se da un risultato così dovesse schiudersi un fiore ancora più bello. Ma già sappiamo che Martina non smetterà di sorridere al mondo. In quel modo amichevole che poco alla volta ha conquistato i francesi, affascinati da un volto da Louvre e attratti dal gioco più italiano che vi sia, lo stesso che li aveva costretti ad amare Francesca Schiavone e a fare il tifo per Flavia Pennetta, la preferita di Martina. […]

Nadal, eroe infinito. Zverev ferma Alcaraz (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Una sfida epica. Al solito, quando si affrontano due titani. L’episodio numero 59 della saga infinita tra Nadal e Djokovic stavolta premia Rafa, più solido e costante dopo 4 ore e 10 minuti di feroce battaglia. È il successo 110 al Roland Garros, la consueta lezione da professore universitario che gli para davanti il sogno del 14′ trionfo parigino, ma con il pericolo incombente di una semifinale contro Zverev. Che riporta sulla terra, dopo uri incredibile cavalcata di 14 vittorie sul rosso, il principino AIcaraz, che l’aveva iniziata con il trionfo a Barcellona, proseguita con il bis concesso a Madrid e poi con le quattro vittorie parigine (a Roma non ha giocato): lo stop arriva contro il miglior Zverev del 2022 e probabilmente in una delle sue versioni più scintillanti negli Slam. Sembra incedibile, ma il tedesco nei quattro Major non aveva ancora battuto un top 10. Stavolta ci riesce perché nei primi due set il servizio è una sentenza e gli consente punti facili entro i primi quattro colpi, corroborato pure da un rovescio incrociato spesso imprendibile, mentre il prodigio spagnolo è stranamente falloso e fisicamente non esplosivo come al solito: umano, insomma, come è normale per un diciannovenne in un torneo di due settimane e con le partite tre su cinque. Sascha però ritorna il Sascha degli Slam, cioè pavido e attendista, quando si fa strappare la battuta per il 6-4 Carlitos del terzo set e poi quando serve per il match nel decimo game del quarto e si fa brekkare di nuovo, allungando la partita a un pericolosissimo tie break dove il murciano numero 6 del mondo non sfrutta un set point (rovescio sbagliato) e poi si arrende, fulminato da una risposta di rovescio sul match point. L’urlo di Zverev sa di liberazione e ha il dolce sapore della vendetta sportiva dopo la sconfitta in finale a Madrid per manifesta stanchezza causa orari impossibili nelle partite precedenti: «In passato penso di aver perso alcuni match per la pressione di voler vincere a tutti i costi uno Slam». E poi si prodiga nei complimenti per lo sconfitto: «Gliel’ho detto quando ci siamo abbracciati alla fine, Carlos vincerà questo torneo e gli altri Slam tante volte. In questo momento è uno dei più forti giocatori del mondo, sapevo che dovevo tirare fuori il meglio di me per venirne a capo. Ma mi sa che la mia generazione deve sbrigarsi a vincere, perché nei prossimi anni lui ci lascerà poco spazio». […]

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