Furia americana. Nadal parte male:"Se gioco così non ho speranze" (Crivelli). La ruggine di Nadal lancia l'amico Fritz (Giammò). Allarme in Coppa Davis, a Berrettini serve un miracolo (Piccardi)

Rassegna stampa

Furia americana. Nadal parte male:”Se gioco così non ho speranze” (Crivelli). La ruggine di Nadal lancia l’amico Fritz (Giammò). Allarme in Coppa Davis, a Berrettini serve un miracolo (Piccardi)

La rassegna stampa di lunedì 14 novembre 2022

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Furia americana. Nadal parte male: “Se gioco così non ho speranze” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Mancarono le gambe, non lo spirito. Il solito, grande cuore non può bastare al vecchio guerriero Nadal, che da luglio ha giocato appena sette partite, tra piede ferito, muscoli dell’addome lesionati e l’attesa paternità. Anche un campione titanico come Rafa deve inchinarsi alle ingiurie che le fatiche ventennali lasciano impresse sul fisico e pagare dazio alla desuetudine alla battaglia. L’aveva detto, alla vigilia, da facile profeta: la vera mancanza è di non aver potuto confrontarsi, in questi mesi, con i top player. Troppi errori E così, da Fritz a Fritz – perché con l’americano aveva giocato l’ultima partita (nel quarti a Wimbledon) prima dello strappo ai pettorali che poi avrebbe martoriato la seconda parte della sua stagione – Rafa assaggia di nuovo la maledizione delle Finals, l’unico grande torneo che gli è sempre sfuggito. È vero che la formula del torneo consente di rimanere in corsa anche con una sconfitta e il satanasso maiorchino, seppur dimesso, ci ha abituato a resurrezioni miracolose, però in un giorno dovrà ritrovare non solo una parvenza di condizione atletica, ma anche la misura del campo cosi clamorosamente smarrita contro l’avversario di ieri, testimoniata dai 28 gratuiti di cui addirittura 15 con il dritto, chiaro sintomo delle difficoltà di tenere un livello adeguato al contesto. Intanto, con il pesante ko, dice addio alla possibilità di tornare numero uno alla fine dell’anno, lasciando il solo Tsitsipas ad insidiare Alcaraz: «Quello che conta – dirà – è che mi mancano troppi match per essere competitivo contro i migliori, e pure la qualità degli allenamenti. MI dispiace, ma continuerò a lavorare duro per farmi trovare più pronto nelle prossime partite, perché se continuo a giocare coli non avrò speranze”. Crisi superata Domani trovera il mentore di zio Toni Nadal, Auger-Aliassime, battuto da Ruud, con il norvegese che ormai è diventato il compagno di allenamenti prediletto di Rafa all’Accademia di Manacor, dove vive quando non è in giro per tornei: in pratica, il gruppo Verde è quasi una questione di famiglia.

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Va detto che attorno ad Auger-Aliassime, sabato sera, erano circolate voci poco rassicuranti per un raffreddore, malanno di stagione che di questi tempi fa subito pensare al Covid, ma lui stesso ha allontanato ogni dubbio: «È una sindrome influenzale che mi porto da Parigi, niente di grave, e non e stata la ragione per cui ho perso: semplicemente, ho risposto male». E forse non era a conoscenza degli amuleti del norvegese, le due nonne: «Sono entrambe molto appassionate di tennis, hanno seguito tutta la carriera di mio padre e adesso stanno seguendo me. Le ho invitate a Torino, saranno qui per le prossime partite». E comunque, malgrado quel nome, Casper, richiami il fantasmino di un noto film, Ruud in campo è tutt’altro che impalpabile.

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La ruggine di Nadal lancia l’amico Fritz (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

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A Torino, il terzo atto stagionale tra il maiorchino e l’attuale n.9 del mondo è stato in linea con quelli giocati in primavera a Indian Wells (Fritz in due set) e in estate a Wimbledon (Nadal in cinque). L’ha spuntata Fritz (7-6 6-1), più brillante nei colpi d’avvio e nel saper imprimere al match un ritmo con cui è riuscito spesso a lasciar piantato sulle gambe il maiorchino. «Ho avuto delle chance nel primo set, ho curato il mio servizio, e la superficie veloce mi ha aiutato – ha spiegato a caldo l’americano – Sapevo che sarebbe stato un gran match da affrontare». Così come avvenuto in California a marzo (costole) e in estate nei quarti di Wimbledon (addome), anche ieri Nadal è arrivato all’appuntamento in condizioni precarie. Le sole sei partite da lui giocate dopo essere rientrato dall’infortunio londinese si sono rivelate insufficienti in termini di preparazione e intensità. E se a Parigi l’allarme era apparso evidente, vista l’eliminazione subita al primo turno da Tommy Paul, il suo esordio nelle Finals – torneo che ancora manca alla sua ricchissima bachera – ha evidenziato invece come i progressi fatti in queste settimane, pur consentendogli di battagliare ad armi pari nel primo set, non bastino ancora per far lievitare il livello del suo gioco sugli standard richiesti da tornei come questo e da avversari in condizioni migliori di lui.

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Non che Ruud abbia vissuto una stagione meno soddisfacente. La finale giocata agli US Open, dopo quella raggiunta in primavera a Parigi, avevano portato in dote al norvegese la possibilità di attestarsi in vetta al ranking. La sconfitta contro Carlos Alcaraz ha incoronato invece il murciano come nuovo n.1 del mondo, non intaccando però i meriti di Ruud, anzi: «Giocare due AP Finals consecutive significa davvero molto – ha detto Ruud a fine match – perché dimostra, innanzitutto a me stesso, di avere il livello per poterci riuscire più di una volta». SPALLE AL MURO. Nonostante si trattasse di un esordio, Auger-Aliassime ha comunque confermato il buon momento di forma di cui gioverà anche il suo Canada nelle Finals di Davis. I rumors della vigilia, che lo davano leggermente influenzato mettendone a rischio la partecipazione (gli sarebbe subentrato Holger Rune, il danese da cui aveva perso in semifinale a Parigi: vedi le coincidenze), non gli hanno tolto lucidità: «In autunno capita di prendere qualche raffreddore, ma niente che abbia condizionato il mio tennis – ha spiegato il canadese – forse a far la differenza è stata la mia risposta. Nelle ultime settimane ero riuscito a rispondere molto meglio».

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Allarme in Coppa Davis, a Berrettini serve un miracolo (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Volo Roma-Malaga, in partenza sabato, ultima chiamata. L’Italia straripante dei gironi (2-1 all’Argentina, 3-0 alla Croazia, 2-1 alla Svezia), trascinata alle finali di Davis di Malaga dai suoi giovani leoni, non abita più qui. Dovevamo andare in Spagna a vincere la coppa (resa irriconoscibile dal lifting della società di management Kosmos di Gerard Piqué), rischiamo di far fatica ad arginare gli Usa di Fritz e Tiafoe, avversari nei quarti giovedì 24 novembre. A quattro giorni dalla partenza, con l’umore già incupito dal forfait di Jannik Sinner, non guarito dall’infortunio alla mano destra rimediato a Parigi Bercy nel match con lo svizzero Huesler (si è gonfiata la zona tra il pollice e l’indice, incidendo pesantemente sulla qualità dell’impugnatura), non sono buone nemmeno le sensazioni su un recupero last minute di Matteo Berrettini, fermo dalla finale dell’Atp 250 di Napoli (era il 23 ottobre), persa con Lorenzo Musetti.

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Ma il versamento al piede sinistro è lento a guarire: sembravano vesciche, spuntate durante la semifinale di Napoli vinta in rimonta con McDonald, invece erano i sintomi di una fascite plantare. Non si trovano conferme che Berrettini si stia allenando a Montecarlo, dove vive. E arrivare a Malaga senza tennis nelle gambe lo esporrebbe a ulteriori (pericolosi) rischi. Un’Italia senza numero 15 del mondo costretta a fare a meno anche del numero 16 vedrebbe le sue ambizioni fortemente ridimensionate nonostante la buona volontà di Musetti (n.23), pronto a indossare la maglia da titolare e a prendersi la squadra sulle spalle come nel preliminare di Bratislava, lo scorso marzo, quando da singolarista debuttante conquistò il punto del 3-2 con la Slovacchia, il dettaglio senza il quale a Malaga non saremmo mai arrivati. In quel caso, se Berrettini fosse costretto a chiudere qui la stagione come Sinner (che oggi si affaccerà alle Atp Finals, di cui l’anno scorso fu protagonista da riserva), con Musetti primo singolarista Volandri si troverebbe davanti al bivio: schierare Sonego, il n.47 dal rendimento calante, oppure tentare il tutto per tutto e giocare l’asso nella manica Fognini (avvistato a Next Gen con la mano fasciata…)

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Un dilemma che Volandri vorrebbe non affrontare mai. Il quarto uomo, a quel punto, sarebbe un ragazzino (c’è l’imbarazzo della scelta: Passaro, Arnaldi o Nardi, 61 anni in tre), chiamato a fare l’esperienza della squadra.

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