Sulle orme di Roger (Crivelli). Sinner: A me non resta che tifare (Giammò). Il più forte è quello che sa fare tutto (Panatta). Rafa si fa tempesta per travolgere Felix (Azzolini). Intervista a Jannik Sinner (Semeraro)

Rassegna stampa

Sulle orme di Roger (Crivelli). Sinner: A me non resta che tifare (Giammò). Il più forte è quello che sa fare tutto (Panatta). Rafa si fa tempesta per travolgere Felix (Azzolini). Intervista a Jannik Sinner (Semeraro)

La rassegna stampa di martedì 15 novembre 2022

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Sulle orme di Roger (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Più fresco. Più affamato. Più arrabbiato. Il 2022 del tormento e dell’estasi consegna alle Finals un Djokovic in missione. Per dimenticare con l’ultimo trionfo le polemiche e i dolori di una stagione complicatissima e annettersi così il sesto successo al Masters eguagliando Federer. […] II Nole della prima partita torinese ha gli occhi di tigre, e Tsitsipas, re nel 2019, se ne accorge fin dal primo game, perché perde subito la battuta: il break che indirizza il primo set. Aggressivo, con i piedi sulla riga di fondo, con la palla che viaggia a un palmo dalle righe, il Djoker non consente al greco di prendere ritmo, mentre il rovescio lungolinea fa danni sulla parte destra del rivale. L’Apollo ateniese rimane attaccato al match nel secondo set grazie al servizio, ma nel tie break un Djokovic favoloso sale ancora di livello e un fantastico passante di rovescio incrociato scava il solco decisivo, facendo spellare le mani dagli applausi anche ad Allegri e Stankovic, invitati nel suo box. Un messaggio forte a tutti i naviganti: «Sapevo di dover rispondere bene, ho tanta voglia di vincere perché i giovani spingono e in Italia mi sento sempre a casa. Si, mi sono sempre piaciuto». […] Il marchio iniziale sul gruppo della morte, quello che per la prima volta dal 2006 mette insieme tre vincitori delle Finals (allora erano Sampras, Agassi e Becker): e chi rischia davvero di sparigliare le carte dopo la prima giornata è il giocatore che non le ha mai conquistate. Ci si aspettava lo squillo di Medvedev, campione nel 2020 e finalista un anno fa, che i pronostici incoronavano come secondo favorito dietro Djokovic, e invece la scena se la prende Rublev. Entrambi nati a Mosca, si sfidano da quando hanno otto anni e sono amici per la pelle. Non si incontravano da più di un anno (Cincinnati 2021), e Medvedev se n’è accorto dopo il primo parziale vinto con una rimonta da 5-2 sotto e sette set point annullati, risalendo addirittura da 2-6 nel tie break. Il vecchio Rublev, infatti, avrebbe affrontato l’inattesa débacle con la furia del suo riconosciuto carattere fumantino, magari spaccando la racchetta. E invece, chiesto il toilet break, rientra in campo con la calma dei forti, cominciando a martellare con quel dritto che assomiglia al gancio letale di un pugile (lo sport praticato da papà). Match spettacolare, con il tie break del terzo set a sublimare la nuova versione di Andrei, per la gioia dello psicologo: «Ci lavoro da qualche mese e i risultati si vedono. Ci sono giocatori che devono migliorare il servizio, altri il dritto, io ero consapevole che il mio punto debole fosse la testa». Due volte encomiabile, perché la situazione contingente, con il proprio paese in guerra da aggressore, i genitori rimasti a Mosca e il resto del mondo che ti guarda (e spesso ti tratta) come si fa con i cattivi, rischiava davvero di travolgerlo dal punto di vista emozionale. E infatti, subito dopo il successo, dimostrerà una volta di più la sua sensibilità sull’argomento lasciando un semplice ma straordinario messaggio sulla telecamera: «Pace pace pace. È tutto quello di cui abbiamo bisogno». Concetto rafforzato con le dichiarazioni successive: «Non era una cosa a cui avevo pensato o che avevo preparato. Mi è venuto spontaneo. Credo che, soprattutto di questi tempi, la pace sia davvero importante. Abbiamo internet, una vita facile. Possiamo volare, viaggiare, fare sport, occuparci della famiglia. Nessuno vuole soffrire, anche se tante nazioni stanno soffrendo. Per questo è importante essere uniti e in pace». Parole che contano ben più di una vittoria.

Sinner: Italia incredibile. A me non resta che tifare (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Dopo l’esordio da riserva nella scorsa stagione, quest’anno Jannik Sinner non è riuscito a regalarsi una seconda qualificazione per le AP Finals. Il gap che lo separava dall’ultimo degli otto qualificati a Torino è stato come un elastico che nel corso dei mesi l’azzurro più volte è riuscito a rimpicciolire salvo poi doversi arrendere ai tanti stop che ne hanno condizionato il rendimento. Ultimo l’infortunio al dito della mano destra sofferto a Parigi e non ancora riassorbitosi, circostanza che lo ha costretto a rinunciare alla convocazione per le Fasi Finali di Coppa Davis in programma a Malaga dal prossimo 23 novembre. Coinvolto dai suoi sponsor in diversi impegni promozionali, ieri l’altoatesino si è comunque affacciato al PalaAlpitour. La delusione, a giudicare dal volto sorridente, sembra essere stata metabolizzata e l’attenzione ora è tutta rivolta su una off-season durante la quale si spera possano costruirsi le premesse per non dover più incappare in una sequenza di infortuni come quella a cui è andato incontro nel 2022. «Sicuramente il corpo si sta riprendendo piano piano e purtroppo non potrò giocare la Cappa Davis che era un obiettivo importante di quest’anno. Speriamo di rimettermi al meglio, ora è questa la cosa più importante», ha dichiarato l’azzurro, assente in Spagna ma primo tifoso del gruppo guidato da capitan Volandri: «Vedrò tutte le partite, farò il tifo e speriamo di far molto bene perché la cosa buona è che abbiamo tanti giocatori incredibili qui in Italia». Non c’è dubbio che la stagione dell’altoatesino sia stata complicata, interrogativi potrebbero sorgere invece pensando al modo in cui Sinner intenda lanciarsi verso il 2023, ovvero quanto forzare, fin dove spingere, quali le sensazioni da riprovare: «Ho avuto tanti momenti in cui ho patito infortuni che mi hanno portato a finire l’anno da n.15, ho fatto tanti cambi con il mio team, credo di essermi migliorato molto durante la stagione e che possa ritenermi contento anche se è difficile da capire». Proviamoci. Rispetto alla scorsa stagione Sinner ha giocato appena dieci partite in meno conquistando un titolo a fronte dei quattro vinti nel 2022, trofei cui vanno ad aggiungersi i dieci quarti di finale affrontati (Auger-Aliassime, guida in questa classifica con 15 quarti raggiunti) di cui tre Grand Slam colti a Melbourne, Parigi e Londra. E ancora: le tre sfide contro Carlos Alcaraz, presagio di una rivalità di cui continueremo a sentir parlare, conclusi con due vittorie (3° turno di Wimbledon e finale a Umago) e una sconfitta (quarti agli US Open) in suo favore. Appurata la soddisfazione, resta ora da impostare il lavoro dei prossimi mesi: «Abbiamo già iniziato a lavorare anche se non passo giocare a tennis nella prossima settimana poi vediamo come procederanno le cose. […] Credo che l’anno prossimo sarà un po’ diverso, ora ho tanto tempo per prepararmi al meglio e speriamo di partire subito bene in Australia».

Il più forte è quello che sa fare tutto (Adriano Panatta, Tuttosport)

Alla fine, il più forte sarà quello che saprà fare più cose. Non lo escluderei, e forse non sarebbe neanche troppo sbagliato. Ragazzi fuori dai rigidi schemi del tennis su due o tre colpi, delle botte da orbi da ogni angolo del campo, del servizio fisso sopra i 230 chilometri orari, che inevitabilmente ti porta dritto al tie break. Fuori anche dai raffronti ristretti a poche figure di riferimento. Su tutte quella di Juan Martin Del Potro, che ha orientato il tennis di questi ultimi anni e sembra essere il suggeritore dell’intera generazione dei nati nel Duemila. I figli di Palito… Delpo lo travi un po’ ovunque, ed è incredibile quanto un tennista come lui, importante per il percorso effettuato ma certo non inarrivabile come lo sono stati Federer e Nadal, abbia potuto condizionare la crescita tennistica di tanti ragazzi. C’è tanto Delpo in Berrettini, che forse è il vero prosecutore del Palito style in questi anni. Ce n’è altrettanto o poco meno in Auger-Aliassime, in Rublev, in Khachanov, nello stesso Fritz che ho visto l’altro ieri battere Nadal con la tranquilla determinazione di chi sa che cosa sta facendo. Eppure, proprio Taylor Fritz si intuisce non avere un solo dna di riferimento tra i propri polimeri tennistici. Molto Del Potro, certo, quando accetta lo scambio da fondo per preparare l’accelerazione dalla parte del dritto, ma anche altro, di provenienza più statunitense, com’è normale che sia. Qualcosa di Sampras, quando muove l’attacco verso la rete, sarebbe impossibile negarglielo. E se ai colpi base portati con grande veemenza, unisci una mentalità da attaccante, ecco che l’insieme assume caratteristiche meno facilmente determinabili riguardo le intenzioni di gioco. Anche per Nadal, che ho visto in grande difficoltà nella lettura del gioco di Fritz. Mi chiedo se non si arriverà presto ai tennisti con tre tipi di rovescio a disposizione. A due mani, a una mano sola, e in più lo slice, sempre prezioso negli approcci a rete, nel muovere l’avversario tenendo bassa la palla, e nel trasformarsi d’improvviso in una smorzata imprendibile. Berrettini potrebbe provarci… Ha compiuto passi da gigante nella ricerca di una crescita del suo gioco dalla parte del rovescio, e in parecchi me l’hanno descritto capace di utilizzare con una certa disinvoltura anche il colpo a una mano. Può essere un’aggiunta importante, a patto che non crei confusione nella testa del giocatore. Dunque, un obiettivo da raggiungere disponendo di tutto il tempo necessario e sempre che il suo team lo ritenga un passo avanti. Più soluzioni, più possibilità di vittoria. Lo slogan vale qualche onesto tentativo. Berrettini l’idea di apportare migliorie al proprio gioco ce l’ha per vie naturali. Sinner ha addirittura cambiato team per allargare le proprie opportunità. Musetti è già un passo avanti, avendo in dote tutto il tennis di questo mondo. Se questo è il domani, l’Italia non sta messa male.

Rafa si fa tempesta per travolgere Felix (Emanuele Azzolini, Tuttosport)

Sarà come un mare in burrasca, Rafa Nadal. Le intenzioni sono queste. Un fortunale che flagella e monta fino a rendere vani i frangiflutti. Sarà così, sempre che il fisico sia disposto a dargli una mano… Immagini che abbiamo visto non una, ma cento volte, lungo una carriera che non ha mai preso forma dalle vittorie, come in tanti sono disposti a credere, ma da quel suo modo di reagire ai passi falsi, agli intoppi, alle sconfitte, che lo rende impetuoso fino a far sentire inadeguato chiunque si disponga ad affrontarlo. È in quelle complicazioni, in quei disagi che Rafa ha imparato a inseguire se stesso, nelle difficoltà che oggi traspaiono ben più di quanto accadesse una volta, e si possono quasi contare fra le prime rughe di un volto sempre meno da ragazzo. Ma la domanda è se oggi via sia ancora spazio e modo, per una ribellione pubblica a tutto ciò che anche quest’anno, come negli ultimi, ha indugiato sul suo fisico tartassandolo fino a sottrargli gli estri prima, poi le energie? Nadal viene da una sconfitta che forse si aspettava, contro Taylor Fritz, un giocatore che quest’anno non è stato tenero con lui. Si sono affrontali tre volte e in due occasioni l’americano ha trovato con facilità i colpi da fondo per reggere il palleggio di Rafa, piombando poi a rete a tirare su i punti che servivano per prendere il largo. Mentre nella terza occasione, sull’erba di Wimbledon, sono serviti cinque set per recuperare un risultato che lo svantaggio di due a uno sembrava aver già rivolto a favore dell’americano. Serve una reazione, se non vuole chiudere anzitempo queste ennesime Finals senza premi in palio (quattordici partecipazioni, appena due finali). Rafa lo sa. Ma avrà di fronte un ragazzo che conosce bene, e che condivide con lui molti dei segreti che gli hanno permesso di essere il numero uno, e di vincere ventidue tornei del Grand Slam. II giovane, che ha 22 anni, si chiama Felix Auger-Aliassime ed è lo studente prediletto di zio Toni, l’uomo che ha spinto Rafa a essere una leggenda del tennis. Un connubio che va avanti ormai da due stagioni, e mai come in questi ultimi mesi del Tour, ha fatto registrare risultati tali da proporre il canadese […] a un passo dai più forti. È la seconda volta che i due intrecciano le racchette, da che Felix è passato alle dipendenze dello zio più famoso del tennis, e la prima è stata quanto mai dura per Rafa, costretto al quinto set proprio sulla terra rossa del suo Roland Garros. Ci sono due correnti di pensiero. Una sostiene che i ritorni di Nadal, quando i propositi di rifarsi lo tormentano da dentro, siano prodigiosi, non meno dei dritti che fa ruotare a velocità impazzite e della sua attitudine da campione ormai consacrato che fa pesare su ogni momento dei match, addirittura sulle regole di ingaggio che preludono all’incontro. Fin dai palleggi di riscaldamento – sostengono i tanti che li hanno subiti come torture – dimostrativi di quanta accadrà di lì a poco, quando all’esercitazione si sostituirà la smania della conquista. L’altra corrente si rivolge alla realtà che viene dalle ultime conquiste di Felix, che dopo aver impacchettato il torneo di Rotterdam a febbraio, è salito in cattedra in questo finale di stagione, per mettere in fila tre vittorie (Firenze, Anversa e Basilea), sedici match vinti consecutivamente (fino alla sconfitta con Ruud a Parigi Bercy), e il sesto posto in classifica. Unendo le due correnti di pensiero, ne esce un pronostico quanto mai incerto. Del resto, i due non hanno mai dato vita a incontri piatti, sono grandi colpitori ma cercano spesso la via della rete. Felix su consiglio di zio Toni, Rafa per necessità, in modo da non sprecare troppe energie. I dolori al piede, l’infortunio, l’operazione, l’ennesima su un corpo che ha subito tutte le possibili traversie dell’infortunistica abbinata al tennis, poi gli addominali che gli sono costati il ritiro a Wimbledon, sembrano al momento sedati, ma fanno parte di un corredo che ormai accompagna lo spagnolo. Rafa gioca svelto, perché sa che più sta in campo, più la battaglia diventa cruenta, più i rischi per lui aumentano. E la sua nuova condizione di atleta mai domo, e lui l’accetta, e combatte con quello che ha. Che è ancora tanto, a giudicare dalla sua volontà di resistere ancora per una stagione, forse per due. Chissà…

Intervista a Jannik Sinner – “Alla fine sono uno che si diverte con poco. I guai? Non è sfortuna, dovremo evitarli” (Stefano Semeraro, La Stampa)

Un lampo rosso nelle lounge, e il PalaAlpitour volta subito la testa, anche se il centrale è dall’altra parte. […] si bisbiglia nel foyer, e pazienza se il campione non è in maglietta e calzoncini, ma in borghese. A Torino Jannik Sinner avrebbe preferito arrivarci da “maestro”, dopo l’apparizione folgorante dello scorso anno, quando da sostituto di Matteo Berrettini era riuscito ad accendere il torneo battendo Hurkacz e portando al terzo set Daniil Medvedev nel match più ghiotto di tutta la settimana. Gli infortuni in serie, e quel dannato matchpoint sprecato contro Carlos Alcaraz nei quarti degli Us Open, gli hanno impedito di mettersi in tasca punti a sufficienza per finire l’anno fra i primi otto, ma una gita alle Finals, ospite del suo sponsor Lavazza, Jan ha voluto comunque concedersela. Anche se la sua stagione ormai è finita, e l’ultimo malanno – il dito infortunato a Parigi Bercy- gli impedirà di giocare anche le Final 8 di Malaga. «Mi sono fatto male contro Huesler – racconta – non pensavo fosse così grave, quando l’ho capito ho avvertito prima Filippo Volandri […] poi gli altri sulla chat che abbiamo noi del team. Che chance ha l’Italia senza di me? La nostra forza è che di giocatori forti ne abbiamo tanti. La Coppa Davis è una gara di squadra, non individuale, l’importante è crederci. Gli Usa che dobbiamo incontrare nei quarti sono forti, ma batterli ci darebbe già la carica giusta. Ho giocato le qualificazioni e il girone di Bologna, mi perderò il più bello, è veramente una delusione. Ma tiferò, anche se da lontano». Secondo Nadal, a New York Sinner è arrivato a un punto dal vincere il suo primo Slam, anche se ha perso nei quarti con Alcaraz: «Davvero ha detto così? Difficile dirlo, poi ci sarebbero stati Tiafoe, e Ruud che è molto forte e una finale Slam l’aveva già giocata. Ma è vero che il livello del match con Carlos è stato altissimo, e di solito quando è così continui a giocare benissimo anche dopo». Nella lista dei rimpianti ci sono i tanti infortuni, «soprattutto le vesciche che mi hanno fermato a Miami prima di giocare nei quarti con Cerundolo, sentivo che avrei potuto fare bene in quel torneo». Ma con la coscienza che anche quelli fanno parte del gioco: «Non credo alla sfortuna. Vuol dire che io e il mio team dovremo essere ancora più bravi ad evitarli l’anno prossimo: e con l’esperienza di quest’anno sarà più facile. Poi dovrò lavorare sul servizio, e sulla risposta, e fare progressi mentalmente». Ma come, una tempra di guerriero come lui… «Sì, sono forte di testa, ma posso migliorare ancora, insieme con i miei mental coach ma capendo da solo quello che mi serve o non mi serve». La chiave impalpabile che serve a fare la differenza nei momenti che contano. «Anche Alcaraz è tosto mentalmente, per questo i match fra me e lui sono così divertenti e lottati, Carlos sa sempre tirare fuori qualcosa di diverso al momento giusto, per sorprenderti. A Wimbledon contro Djokovic ho capito un’altra lezione: lui ha alzato il livello e io sono stato troppo lento a capire come dovevo adattarmi. Se avessi fatto più in fretta magari non vincevo lo stesso, ma non avrei perso così seccamente». L’unico momento in cui Jan si irrigidisce è quando gli viene chiesto della rottura a inizio anno con il suo ex coach Riccardo Piatti: «Ci siamo lasciati bene, ma non è un argomento di cui mi piacer parlare». Meglio occuparsi degli avversari. Sinner, Rune, Alcaraz, aggiungiamoci anche Musetti. All’interno della Nuova Generazione di talenti c’è una brigata di eccellenza. «Ormai tutti giocano bene, dal di fuori vedere giocare un top 10 o un top 50 non è così diverso, forse noi quattro abbiamo un po’ più di personalità». La preparazione per il 2023 è già iniziata, il programma prevede il rientro ad Adelaide, la città natale del suo coach aggiunto Darren Cahill, e se il dito per ora gli impedisce di impugnare la racchetta («non sto facendo neanche pesi, solo lavoro fisico in attesa di poter ricominciare») sul block notes gli appunti sono chiari. «Rivedremo un po’ il servizio, e anche la risposta deve migliorare un po’. Oggi sono numero 15 del mondo, ma rispetto a quando ero 9 mi sento più forte: lo dice la continuità dei risultati. Ho giocato meno tornei, ma ho perso anche meno partite». Il suo fisico forse ha finalmente smesso di assestarsi, e questo renderà più facile la preparazione fisica vera e propria: «L’ultima volta che mi ha visto mia madre mi ha detto che le sembrava fossi cresciuto ancora… speriamo di no, comunque ormai non crescerò di altri cinque centimetri: sono un metro e 91 per 76, 77 chili». Misure ideali per un tennista moderno. Poi c’è il ragazzo, anzi a 21 anni ormai l’uomo Sinner, la crescita che non ha a che fare con ossa e muscoli ma con esperienza e maturità. «Mah, non mi sento cambiato molto rispetto ad un anno fa. Anzi, per nulla. Che tipo sono? Alla fine uno che si diverte con poco».Giocando a tennis, sciando con Lindsey Vonn, passando il tempo fra un match e l’altro con il suo clan. «Giochiamo a carte, una specie di scala quaranta, ma nella quale devi calare a 51 punti: ce l’ha insegnata il mio fisioterapista Jerome Bianchi, che è francese. È un casino, ma serve anche fortuna». Alla quale Jannik non crede in campo, ma fuori, nei riti scaramantici di preparazione alla partita, un po’ di più. «Se l’anno prima ho giocato bene in un torneo, allora uso la stessa doccia, lo stesso bagno, faccio le stesse cose. In campo invece mi immagino delle righe diagonali». Ma funziona? «Dipende – se la ride Jan – se vinco sì. Altrimenti no».

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