Djokovic per il record. Nole senza limiti oggi contro Ruud insegue Federer e le sue sei perle (Crivelli). L'Italia di Davis già a Malaga ma Berrettini ancora non c'è (Cocchi). Intervista a Stakhovsky, Sergiy, che battè Federer a Wimbledon: "Torno in guerra. Se incontro Putin spero di essere armato" (Piccardi). Abbonato alla Final (Semeraro)

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Djokovic per il record. Nole senza limiti oggi contro Ruud insegue Federer e le sue sei perle (Crivelli). L’Italia di Davis già a Malaga ma Berrettini ancora non c’è (Cocchi). Intervista a Stakhovsky, Sergiy, che battè Federer a Wimbledon: “Torno in guerra. Se incontro Putin spero di essere armato” (Piccardi). Abbonato alla Final (Semeraro)

La rassegna stampa di domenica 20 novembre 2022

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Djokovic per il record. Nole senza limiti oggi contro Ruud insegue Federer e le sue sei perle (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il gigante e il debuttante. Benvenuti alle Atp Finals, il torneo che si diverte a mescolare pronostici ed emozioni. Perché se la finale di Djokovic, l’ottava in carriera al Masters (ma la prima dal 2018), era nei voti di grandi e piccini, l’approdo all’ultimo atto di Casper Ruud ha per il norvegese il dolce sapore del riscatto dopo due mesi orribili, dalla finale persa agli Us Open contro Alcaraz. Si era presentato a Torino con quattro sconfitte in sei incontri e il morale sotto le scarpe: oggi proverà a diventare il 27 Maestro della storia e a frapporsi tra Nole e la leggenda, perché il serbo, se alza il trofeo, eguaglia i sei trionfi di Federer. Nei precedenti, il Djoker è avanti 3-0, ma alla fine di una stagione lunghissima e dopo aver affrontato ogni giorno I più forti del mondo, con il consumo di energie psicofisiche che ciò comporta, tutto può accadere.

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Il Djoker ottiene complessivamente dieci vincenti in meno di Fritz (21 a 31), si tiene a galla con la risposta alla seconda di servizio dell’americano e scatena il genio nei tre momenti chiave del match: dritto vincente formidabile sul set point del primo parziale, il break nel decimo game del secondo set quando l’avversario sta servendo per portare la contesa al terzo e sul 30 pari spara in rete un facile rovescio a campo aperto, a proposito di freddezza e nervi saldi, anche se il numero 9 del mondo si lamenterà del disturbo di qualcuno dal pubblico; e infine i due ultimi, prolungati scambi del tie break del terno set, quando Nole manda fuori giri il buon Taylor lasciandosi scivolare addosso il match point sprecato sul 6-6 con un rovescio sbagliato non da lui. Niente di nuovo, verrebbe da dire. E pensare che era reduce da 190 minuti di battaglia contro Medvedev venerdì in un confronto inutile per la classifica

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La lunga marcia sta dunque per compiersi. Perché all’inizio di gennaio, è bene ricordarlo, il signor Djokovic era rinchiuso in un centro di detenzione per immigrati irregolari di Melbourne, in Australia, certamente vittima di una vicenda creata dalle sue convinzioni sui vaccini ma che ad ogni modo avrebbe distrutto psicologicamente chiunque non avesse i suoi nervi d’acciaio inossidabile. E poi ha saltato pure gli Us Open, tomando a fine settembre con il fuoco sacro dentro. Non per soldi È già risalito al numero 5 del mondo e se vince oggi intascherà pure 4 milioni e mezzo di euro di superbonus per chi finisce il torneo imbattuto. Ma chi crede che sia un pensiero che lo accompagnerà in campo, non conosce la tempra del personaggio: «Quando Ibrahimovic giocava a Los Angeles, gli chiesero perché avesse rifiutato 100 milioni per trasferirsi in un’altra squadra Lu rispose che esiste il denaro e molto denaro, e che 100 milioni non erano molto denaro. Ve l’ho raccontato perché è divertente e perché siete fuori strada se pensate che io stia seduto qui a parlare di soldi come un problema nella mia vita. Sono stato molto fortunato, i guadagni sono una conseguenza del mio tennis e del suc cesso che ho avuto, insieme alla mia famiglia e al mio team. Penso che ogni euro che ho guadagnato sia stato frutto di sudore e lacrime. Non do nulla per scontato perché so come ci si sente a non avere niente in tavola, a cercare di capire come sfamare cinque persone di una famiglia con intorno la guerra e le sanzioni economiche. Io non dimentico da dove vengo e in quale tipo di epoca sono cresciuto. Conosco esattamente il lato opposto della ricchezza, che mi aiuta nella vita e mi porta ad apprezzare tutto quello che guadagno». La filosofia di un successo che non finisce mai.

L’Italia di Davis già a Malaga ma Berrettini ancora non c’è (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Mentre a Torino le Finals sono all’epilogo, a Malaga è tutto (o quasi) pronto per le Finals di Davis dove l’Italia sarà impegnata giovedì mattina alle 10 nei quarti di finale contro gli Stati Uniti. Ieri la squadra è partita da Roma senza Fabio Fognini, rimasto qualche ora in più a Brindisi per festeggiare il primo compleanno di Flaminia, l’ultima nata di casa Fognini-Pennetta. Già la scorsa settimana era arrivato il forfeit di Jannik Sinner, che ha dovuto rinunciare all’impegno in azzurro per la tendinite all’indice della mano destra che lo aveva colpito a Parigi Bercy. Sull’Italia, che ieri pomeriggio ha svolto il primo allenamento, pesa però anche il grande punto interrogativo di Matteo Berrettini. In bilico ll romano, ancora alle prese con l’infortunio più serio del previsto al piede sinistro, deciderà in corsa quando e se partire, ma è molto difficile che possa giocare. Come sempre, l’entourage del giocatore è asserragliato dietro un silenzio tombale, non si sa quali siano le reali condizioni di Matteo e se addirittura possa essere a rischio l’inizio della stagione, ma è quasi certo che Berrettini non potrà scendere in campo per dare il suo contributo alla Nazionale nella sfida contro gli Stati Uniti. Il capitano Filippo Volandri aveva detto che avrebbe provato a lavorare quattro giorni a Malaga per testare le condizioni del numero 2 italiano, ma difficilmente prima di domani o martedì il romano sarà a disposizione.

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Intanto, Lorenzo Musetti e Lorenzo Sonego sono i due singolaristi che scenderanno in campo contro Taylor Fritz e Frances Tiafoe giovedì mattina. Anche Fabio Fognini, vista la sua grande esperienza in Davis, dove ha saputo fare la differenza in più di una occasione, potrebbe essere impiegato come singolarista oltre che in doppio con Simone Bolelli.

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Sergiy, che battè Federer a Wimbledon: “Torno in guerra. Se incontro Putin spero di essere armato” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

La divisa militare ci precipita nella cronaca. Lo scorso gennaio Sergiy Stakhovsky, ucraino, 36 anni, ex n.31 del tennis, una clamorosa vittoria su Federer a Wimbledon 2013, giocava in Australia l’ultimo torneo. Il 24 febbraio, allo scoppio della guerra, si arruolava tra le fila dell’esercito di Kiev. Nove mesi dopo è a Torino, alle Atp Finals, per essere premiato. Ha preso cinque giorni di licenza. Sergiy, come sta? «Sono vivo». Già molto, di questi tempi. «È tutto surreale, ma ci si abitua». Come è arrivato a Torino? «Da Budapest, dove si è rifugiata la mia famiglia: mia moglie Anfisa e i miei tre figli. Ho lasciato il fronte orientale, guidato da Kiev all’Ungheria. Giovedì torno in guerra». Cosa sta succedendo? «Siamo in una fase nuova: i russi stanno distruggendo le infrastrutture elettriche, Kiev è al freddo e al buio. Cambia poco per i soldati ma cambia tutto per i civili. L’intensità dei bombardamenti è leggermente diminuita, difficile prevedere gli scenari futuri. I russi si ritirano, noi avanziamo ma c’è la neve, non abbiamo attrezzature adeguate».

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Biden ha detto che l’Ucraina non può vincere. «Le nostre risorse sono limitate, dipendiamo dagli aiuti di Europa e Usa. La Casa Bianca, all’inizio della guerra, aveva detto che l’Ucraina avrebbe resistito tre giorni. Sono passati nove mesi. La ritirata dei russi non inganni. Dal mio punto di vista significa una cosa sola: che torneranno con più forza per distruggerci. Putin non mollerà finché non avrà raggiunto il suo sporco obiettivo». Come spiegherebbe la guerra a un alieno? «E dolore, sofferenza, cuori che si spezzano. La guerra è un padre che seppellisce il figlio, una madre che affida ad estranei la figlia perché sia messa in salvo. Assistere a tutto questo inevitabilmente ti cambia: cominci a vivere per avere vendetta. La paura la controlli, nel mio raso è passata. Il dolore, però, te lo porti dentro e non ti lascia più».

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Come ha imparato a usare le armi? «Già nel 2014, quando la Russia invase la Crimea, avevo passato un breve periodo al fronte. La quantità di stress provata mi aveva indotto a tornare al tennis, però, con un istruttore privato trovato a Bratislava, avevo voluto dotarmi dei rudimenti per usare una pistola o un fucile. In caso di bisogno, se non altro, avrei saputo come difendermi». Li ha mal usati? «Sì. E cinico da dire: ci si allena, come con il tennis». Ha ucciso qualcuno? «No, fino a ora no». Però ha rischiato la vita. «Ero su un convoglio vicino a Donetsk, il ponte sul Kalmius era crollato, cercavamo il modo di guadare. È arrivata una raffica, per fortuna l’auto era blindata e ha resistito ai colpi. Un’altra volta ero a Kiev, durante un attacco aereo alla stazione centrale. E il sibilo dei missili a rimanerti stampato nelle orecchie: un suono che non dimentichi più. Ho visto civili morire, gente innocente che con la guerra non c’entra nulla». Come si sta comportando la comunità internazionale? «Si può sempre fare di più: la politica è troppo lenta e paludata nel muoversi. Ma i cittadini dell’Ue mi hanno commosso: la loro accoglienza dei profughi è stata incredibile». E se incontrasse Putin? «Non avrei molto da dirgli: spero di essere armato»

Abbonato alla Final (Stefano Semeraro, La Stampa)

Fraclito sosterrebbe che non si incontra mai due volte lo stessoDjokovic. Il problema, tecnico prima che filosofico, è che comunque vince lui. Deve pensarlo, fra i tanti che Nole ha travolto nella sua corrente, anche Taylor Fritz che ieri ha incassato in due tiebreak (7-6 7-6) la sesta sconfitta in sei incontri, 6-0 per il Djoker e palla al centro. E meno male che l’ex numero 1- il Nole di Torino, come argutamente suggerivano alcuni dei tanti cartelloni in tribuna – aveva «le gambe un po’ pesanti, e non riuscivo a colpire la palla pulita come negli scorsi giorni». Ci ha provato Taylor, picchiando sul servizio, trafficando con il diritto, cercando accelerazioni lungolinea di rovescio. Il Nole q.b. (quanto basta) al momento giusto ha alzato il ritmo, trovando, anche in una giornata non splendida, la precisione di uno chef stellato e il perfetto punto di cottura (dell’avversario). Insomma: Djokovic è in finale alle Finals per l’ottava volta in carriera, la prima dal 2018, e oggi – contro Casper Ruud, che nella semifinale serale ha glacialmente smantellato gli astratti furori di Andrey Rublev (6-2 6-4)-ha l’occasione di raggiungere Roger Federer a quota sei titoli. Un record, come sarebbe storica anche la paga in caso di vittoria: 4,7 milioni di dollari, il più alto montepremi della storia per un singolo tennista.

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Djokovic in carriera di milioni di dollari ne ha guadagnati 160 solo in montepremi, con un valore commerciale che si aggira attorno ai 220. Il suo però non è un Billionarismo d’accatto. «A questo punto della mia carriera non posso mettermi a discutere se i soldi sono importanti per me o no. Anche perché tutto quello che ho guadagnato l’ho fatto a prezzo di sangue e sudore. Non do nulla per scontato, so che cosa significa trovarsi in cinque attorno al tavolo con niente da mangiare, e fuori una guerra, le sanzioni. Non dimenticatevi da dove vengo, e in che epoca sono cresciuto». A Torino Novak ha riscoperto la vera filosofica che ha sempre avuto, l’approccio «olistico» alla vita e allo sport che gli ha trasmesso la sua prima maestra, Jelena Gencic. «Mi ha molto influenzato, in tutta la mia carriera ho imparato a curare ogni dettaglio. Mi piace pensare che mi sto evolvendo, come tutti, e spero in maniera positiva. Cambia il mio corpo, la mia personalità, il mio carattere. Ogni singolo anno siamo una persona diversa». Il segreto, ed è la stessa opzione di Nadal, è adattarsi.

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