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Le fatiche del tifoso tennista: è troppo difficile essere un appassionato di tennis?

Il tennis è uno degli sport che richiede più tempo ed energie agli appassionati che vogliono seguirlo e capirlo. La sfida dei fusi orari dall’Australian Open a Flushing Meadows e il calo d’interesse provocato dai ritiri di Federer e Serena Williams. Il difficile compito di mantenere la sua struttura tradizionale e al contempo renderlo appetibile a un pubblico sempre più ampio.

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Tennis multitasking (foto Ubitennis)
 

Seguire il tennis richiede una smodata disponibilità di tempo, una discreta capacità contributiva per sottoscrivere i vari abbonamenti a streaming o pay-tv (a meno di non affidarsi in toto all’arte occulta degli streaming pirata) e capacità organizzative degne dei più navigati project manager. Il tifoso di tennis per necessità ha imparato a cambiare il programma delle sue giornate al volo e molteplici volte al giorno, riuscendo a districarsi tra i vari fusi orari con la disinvoltura di un assistente di volo dalla carriera ventennale.

Ma a parte queste descrizioni caricaturesche nelle quali probabilmente molti dei lettori si saranno in parte rispecchiati, il nocciolo della questione rimane lo stesso: ha senso chiedere ai tifosi di tennis sforzi di questo tipo per poter seguire lo sport? Non dimentichiamo che lo sport professionistico esiste solo perché ci sono gli spettatori che lo guardano e lo seguono. Visto che non esiste ancora il “tifoso professionista” è verosimile che lo sport si dia una struttura tale da rendere quasi improponibile per un appassionato “casuale” seguire il suo svolgimento?

Concorrenza feroce

La questione sta diventando sempre più pressante perché mai come in questo momento storico ci sono fonti di intrattenimento che competono per l’attenzione e il tempo libero dei potenziali appassionati. Le ore della giornata sono sempre quelle, il reddito da poter dedicare ad attività ricreative viene eroso sempre di più, e qualche decennio fa non c’erano Netflix, Hulu, Amazon Prime, la PlayStation, Xbox, i tanti altri sport che sono spuntati più di recente… Il tennis ha tanti concorrenti, e seguirlo è un rompicapo da far venire il mal di testa. A confronto il tanto famigerato “spezzatino” del campionato di calcio di Serie A e della Champions League è una passeggiata di salute.

Durante la seconda edizione della Laver Cup a Chicago nel 2018, Roger Federer spiegò molto bene uno dei principi ispiratori della manifestazione (oltre al dollaro, s’intende): “Credo che sia uno dei problemi che abbiamo attualmente nel circuito. In un torneo tradizionale, se un fan compra un biglietto non può sapere chi vedrà e quando. Potrebbe capitare che alcuni di noi devono vincere diversi turni prima di arrivare alla partita che gli appassionati vogliono vedere. Questo è un aspetto che a volte rende difficile vendere il nostro sport”. La formula della Laver Cup è disegnata anche per facilitare il compito del tifoso da questo punto di vista. E lo stesso accade per il tanto vituperato Round Robin delle Nitto ATP Finals: ogni giocatore qualificato gioca almeno tre partite – è inutile negare l’immenso appeal commerciale di questo aspetto.

Tuttavia bisogna stare attenti a non gettare il bambino con l’acqua sporca: alcuni dei principi storici del tennis che lo rendono poco commerciale sono ciò che rendono questo sport così affascinante.

Il tennis è fatto per l’eliminazione diretta, e per un tabellone a 32 giocatori bisogna giocare 31 partite in una settimana. Sono tante, e di conseguenza tocca dover giocare anche in orari poco favorevoli allo spettatore “non professionista”. Lo sport professionistico è intrattenimento, e l’intrattenimento dovrebbe avvenire principalmente quando la gente è disponibile ad essere intrattenuta. C’è un motivo se a teatro o al cinema si va principalmente di sera. In più si rischia che il giocatore più atteso possa perdere subito e uscire dal torneo immediatamente.

Il sistema di punteggio è intrinsecamente legato al fascino dello sport: i set a quattro abbiamo visto che sono piuttosto insipidi, e il no-ad tradisce uno degli aspetti cardine del gioco. E questo allunga le partite rendendole meno pratiche da seguire.

Il problema non è di facile soluzione. In realtà non so nemmeno se la soluzione esista. Ma l’approccio più costruttivo e responsabile è quello di parlarne, provare cose nuove, sbagliarne tante, e magari indovinarne qualcuna. Il tie-break ha funzionato alla grande; lo shot-clock ormai siamo tutti d’accordo che ha senso, così come la limitazione del balletto degli asciugamani. Rinchiudersi nella torre d’avorio afferrandosi le perle e ignorando con sufficienza il resto del mondo che avanza guardando i gesti bianchi dei fratelli Doherty non è un atteggiamento che fa il bene del tennis, e di tutti coloro che il tennis lo vivono e di tennis ci vivono. Perchè come abbiamo detto in precedenza, c’è un limite alla quantità di tempo e denaro che “lo zoccolo duro” può riversare in questo sport: se il tennis vuole crescere, questa crescita non può passare altro che in una maggiore popolarità tra il pubblico mainstream.

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