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L’Ucraina rimanda la decisione sul boicottaggio di Parigi 2024, mentre aumenta il pressing politico sul mondo dello sport
Venerdì prossimo i Ministri dello Sport europei si incontreranno a Londra per discutere la questione dell’ammissione di atleti russi e bielorussi sotto bandiere neutrali. Ma Kiev avverte: “Noi siamo fortemente contrari finché la guerra non cesserà”

Il Comitato Olimpico Nazionale Ucraino (NOCU) ha rimandato la decisione su un eventuale boicottaggio delle prossime Olimpiadi di Parigi 2024, nel caso in cui venga confermata dal CIO la partecipazione degli atleti russi e bielorussi alla rassegna a cinque cerchi. Il rinvio di tale presa di posizione è stato conseguenza della mancata “ufficialità” dell’iniziale apertura proposta dal Comitato Olimpico Internazionale e risalente allo scorso 25 gennaio. Inoltre, da Kiev non si sono voluti esprimere compiutamente prima della riunione che si terrà venerdì prossimo – il 10 febbraio – a Londra tra tutti i Ministri dello Sport dei Paesi europei. Il NOCU, dunque, per ora si è unicamente limitato ad approvare quei piani programmatici propedeutici ad infondere pressione sui vari dirigenti dei diversi comitati olimpici di tutto il mondo, per raggiungere il proprio obbiettivo: l’esclusione degli atleti di nazionalità russa e bielorussa dai Giochi Olimpici che andranno in scena nell’estate 2024.
Vadym Guttsait, Ministro dello Sport ucraino nonché Presidente del Comitato Olimpico Nazionale dell’Ucraina, ha spiegato che i membri dell’assemblea del NOCU hanno votato a favore di “consultazioni sulla prevenzione della partecipazione di atleti russi e bielorussi a tutte le competizioni internazionali e di un possibile boicottaggio dei prossimi Giochi Olimpici“. Il capo dello sport ucraino ha poi proseguito affermando: “L’idea del CIO sarebbe quella di permettere la partecipazione di sportivi russi e bielorussi a Parigi 2024 in quanto ‘atleti neutrali’, quindi privi di bandiere e inni nazionali. Noi siamo fortemente contrari a questa eventualità, finché la guerra non cesserà“.
Il NOCU si riaggiornerà per ridiscutere la questione, con un’assemblea straordinaria indetta ad hoc, tra due mesi.
IL VERTICE DI LONDRA
Ma come già preannunciato ad indirizzare la contesa in una direzione o nell’altra e quindi potenzialmente a far saltare definitivamente i cocci del vaso, potrebbe essere il vertice che andrà in scena tra meno di sette giorni nella capitale britannica. Il vertice di tutti i Ministri dello Sport delle nazioni del Vecchio Continente per cercare di dirimere una volta e per tutte l’annosa questione. A rivelare l’importanza di tale incontro, è lo stesso Guttsait nel corso della conferenza stampa a latere dell’assemblea del NOCU che ha rinviato ulteriormente la decisione sul boicottaggio: “La Gran Bretagna riunirà un vertice dei Ministri europei dello Sport per venerdì prossimo con l’obiettivo di discutere la questione dell’ammissione di russi e bielorussi. I capi dei Comitati olimpici nazionali di Lituania, Lettonia e Polonia sostengono l’Ucraina, questi tre Paesi hanno difatti già fatto una dichiarazione in tal senso“.
Dunque come si può facilmente dedurre, l’Ucraina è stata già supportata da altre tre nazioni europee nella richiesta al CIO di escludere russi e bielorussi da Parigi 2024. Il NOCU ha inoltre inviato al Presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach, ma anche alle Federazioni Internazionali delle varie discipline e ai vari Comitati Olimpici Nazionali, una serie di lettere formali volte a sollecitare il mantenimento in vigore delle sanzioni ai danni della Russia e della Bielorussia fin quando il conflitto non terminerà. Il Ministro dello Sport ucraino ha poi proseguito il suo intervento: “Tutto dipende da noi dirigenti sportivi – non solo dai membri del NOCU – e da come lavoreremo, perché non esiste una decisione ufficiale sulla partecipazione di sportivi russi e bielorussi a determinate condizioni. Dobbiamo intervenire tutti in questo processo, i comitati olimpici nazionali e i presidenti di tutte le federazioni. Dobbiamo lavorare su questo tema perché non dipenda solo dal CIO, ma anche dalle Federazioni internazionali di ogni sport. È molto importante che ogni membro della nostra famiglia olimpica lavori sulla propria posizione e metta in evidenza che non si possano vedere ed incontrare gli sportivi russi e bielorussi in competizioni internazionali“.
INTANTO BACH DICE NO ALL’INVITO DI ZELENSKY A BAKHMUT
Nel frattempo, le pressioni dell’Ucraina continuano su tutti i livelli. Per ora però con alterne fortune, infatti il Presidente del CIO Bach ha rifiutato l’invito del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky a far visita alla località di Bakhmut, una delle città colpite più duramente dalla guerra. Ciò è stato reso noto dallo stesso CIO tramite comunicato stampa, secondo cui: “al momento non esiste in programma un ulteriore viaggio in Ucraina“.
Zelensky aveva invitato Bach per mostrargli: “con i propri occhi che la neutralità non esiste“. L’ultima visita del Presidente del CIO nel Paese dilaniato dal conflitto risale allo scorso luglio. Va comunque precisato, che lo stesso Bach aveva espresso senza dubbi che a livello generale, quindi politico ed economico ma non a carattere sportivo, “le sanzioni contro i governi russi e bielorussi non sono negoziabili. Perché sia chiara una cosa, non stiamo parlando di atleti russi e bielorussi ma di atleti neutrali che rispettano le rigide condizioni che abbiamo stabilito, inclusa l’assenza di identificazione con il loro Paese e il con il loro Comitato Olimpico Nazionale ma anche il pieno rispetto delle norme anti-doping“.
LA POSIZIONE DEI COMITATI OLIMPICI DI STATI UNITI E PAESI BALTICI
Nelle ore che hanno preceduto la riunione del NOCU si sono registrate anche le prese di posizione dei Comitati Olimpici di altre nazioni. In particolare gli Stati Uniti sostengono il ban degli sportivi russi e bielorussi dalle prossime Olimpiadi di Parigi 2024, a meno che non sia “assolutamente chiaro” che non rappresentino i loro Paesi di appartenenza. Lo ha annunciato la portavoce della Casa Bianca Katerine Jean-Pierre.
Sulla stessa linea, i Paesi Baltici con la Lettonia, la Lituania, l’Estonia e la Polonia forti e unite nel sostenere con decisione l’incessante richiesta dell’Ucraina di bandire – senza dunque alcun trattamento più morbido – i russi e i bielorussi dalle competizioni internazionali, compresa ovviamente la più importante di esse: i Giochi Olimpici. I Ministri dello Sport delle quattro nazioni sopra citate, in una nota congiunta si sono espressi contrariamente alle aperture del CIO perché consentono: “allo sport di essere utilizzato per legittimare le decisioni politiche distogliendo così l’attenzione dall’aggressione contro l’Ucraina“.
La pressione politica dell’Ucraina sulla questione è tuttavia attiva da diverse settimane, con svariati esponenti di spicco politici e atleti pronti a seguire la parola di Zelensky: “Non esiste neutralità quando è in corso una guerra come questa. E sappiamo quante volte le tirannie cercano di usare lo sport per i loro interessi ideologici“.
Questo invece l’intervento in merito alla vicenda della portavoce della Casa Bianca: “La sospensione degli organi di governo nazionale dello sport di Russia e Bielorussia dalle Federazioni sportive internazionali, la rimozione di individui strettamente allineati con gli stati di Russia e Bielorussia, inclusi funzionari governativi, ma anche coloro che godono di posizioni di influenza in federazioni sportive internazionali, come consigli di amministrazione e comitati organizzativi; sono interventi imprescindibili per rispondere compiutamente alle barbarie commesse dalla Russia. Inoltre in questi mesi si è reso anche necessario incoraggiare le organizzazioni sportive nazionali ed internazionali a sospendere le trasmissioni di competizioni sportive in Russia e Bielorussia. Quindi, se atleti russi e bielorussi dovessero partecipare alle Olimpiadi deve essere assolutamente chiaro che non rappresenteranno la Russia o la Bielorussia. Anche l’uso di bandiere, emblemi o inni deve essere vietato“.
Anche campioni dello sport continuano a far sentire la loro voce contraria alla partecipazione di russi e bielorussi a Parigi 2024, l’ultima in ordine di tempo è stata Elina Svitolina.
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Robin Haase: “Il livello complessivo si è alzato, ma i top 15 sono meno forti”
L’olandese Robin Haase, ex n. 33 ATP, fa paragoni tra il presente e i suoi primi anni nel Tour, parlando anche di stili e superfici. E suggerisce qualche nuova regola perché “il tennis dev’essere più veloce”

Classe 1987, Robin Haase ha raggiunto il 33° posto nel ranking nel 2012. Numero 3 del mondo da junior, due operazioni al ginocchio durante i primi anni di professionismo non hanno certo aiutato l’ascesa di questo olandese che rientra tra coloro che danno l’impressione di giocare meglio a tennis di quanto non dica la classifica. A una settimana dal trentaseiesimo compleanno, Robin ha parlato con Clay del futuro non solo suo bensì soprattutto del tennis, della necessità di renderlo più veloce, del livello attuale paragonato a quello di dieci anni fa, delle superfici e di altro ancora.
Forse doppio e coaching, ma con moderazione
Con il ranking sceso al n. 269, ora frequenta principalmente il circuito Challenger. Lo scorso gennaio ad Adelaide 2 è però arrivata una vittoria ATP rocambolesca non solo e non tanto per il 7-6 al terzo con match point annullato, quanto per come era arrivato a disputare quell’incontro. L’intenzione, a ogni modo, è di giocare in singolare il più possibile, per poi decidere se dedicarsi solo al doppio. Dopo diciotto anni, “non mi vedo ancora per molto tempo nel circuito” spiega. “Però dipende. Se hai un compagno e siete almeno in top 20 potendo giocare solo 18 tornei a stagione, ok. Ma devi trovare un compare che sia d’accordo”. Per ora ha ripreso il sodalizio con il connazionale Matwe Middelkoop, 14a coppia della Race. È anche un coach certificato e occasionalmente aiuta i giovani olandesi che “sono contenti quando dico loro qualcosa su cui lavorare”. Occasionalmente è la parte facile. “Ma il secondo giorno, il terzo, il giorno 245, cosa dici? Quella parte del coaching è sottostimata dai tennisti”. E, a proposito di parti, quella dei viaggi ogni settimana è da escludere. “Magari un part-time, come la Coppa Davis”.
Tiro dentro vs tiro forte: da dove si comincia?
Un’altra osservazione interessante è la differenza tra la sua generazione e quella attuale. “Noi abbiamo prima imparato a tenere in campo la palla, poi a colpire sempre più forte. Oggi i tennisti crescono tirando più forte possibile, poi iniziano a imparare a non commettere troppi errori. Anche le superfici sono cambiate negli ultimi vent’anni. Ora non importa se duro, terra o erba perché è ancora un po’ diverso il modo di muoversi, ma i rimbalzi sono sinili, quindi non ci sono più specialisti. Non molti che fanno servizio e volée o veri attaccanti né terraioli. Giochi più o meno allo stesso modo dappertutto. C’era più varietà, ma i più giovani stanno aggiungendo cose. Diventano più pericolosi e il loro gioco si sta evolvendo”.
Siamo qui per il tennis o per divertirci?
Sorprende un po’ vederlo allineato a quelle affermazioni estemporanee di Jessica Pegula e Frances Tiafoe, secondo i quali sarebbe incomprensibile dover starsene zitti durante quei pochi secondi di ogni scambio e non poter continuamente lasciare il proprio posto e tornarci facendo alzare tutta la fila – neanche fossero al cinema. Per Robin, in modo simile, è inconcepibile dover aspettare dieci minuti prima di poter accedere allo stadio. “Entra e siediti” è la sua soluzione. “Magari con qualche eccezione, tipo le prime file. Se comprassi un biglietto e dovessi aspettare dieci minuti, direi, ‘ma che è sta roba?”’. Una considerazione che rientra nel più ampio discorso secondo cui “nel tennis, l’unico divertimento è lo sport. Non c’è granché oltre quello. Niente musica, niente altro per la gente”. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte, di musica, ce n’è anche troppa e di pessima qualità, ma è un’opinione (la qualità, la quantità è un dato oggettivo). Il tutto partendo dalla tecnologia delle chiamate elettroniche, con il sistema originale che incontra i favori del nostro: “Hawk-eye era molto divertente. I tennisti potevano chiedere il challenge e alla gente piaceva. Ora non c’è più interazione con il pubblico”. Qui sarebbe stata perfetta una citazione del tipo, “il progresso andava forse bene una volta, ma è durato troppo” (legge di Ogden Nash), ma Haase è una personcina seria. In definitiva, l’idea è che “le regole devono cambiare”. Quali regole?
L’inafferrabile concetto del let in battuta
“Non ha alcun senso il let sul servizio. L’unica argomentazione a favore è la tradizione, mentre quelle contrarie sono molto migliori” e fa l’esempio della pallavolo prima di analizzare le obiezioni. “Se tiro una bella battuta che sarebbe ace ma tocca appena il nastro, devo rigiocarla – perché? Se il nastro accomoda la palla per il ribattitore, è perché ho servito male. Poi, il marchingegno costa un sacco di soldi e neppure funziona bene”. Sul costo non siamo troppo sicuri, ma poi Haase cade nella solita retorica: “E, più importante di tutti, la gente non lo capisce”. Ok, Robin, togliamolo, ma che non sia per darla vinta agli stupidi o presunti tali.
Non importa dove, purché ci si vada in fretta
Se non pensa che il tennis sia esattamente noioso, ma dovrebbe andare più veloce e, in quest’ottica, il punteggio della spettacolare vetrina under 21 attualmente in cerca di una nuova casa con cinque set ai 4 game è meglio dei noiosi tre ai 6. Il motivo è presto detto. “Adesso ai giocatori non importa tanto dei primi game. Hai vinto il primo set, 1-1 nel secondo, l’altro è 40-15, a volte pensi, ‘vabbè, quel punto non mi interessa’. Invece, dovendo arrivare a quattro, è meglio che ti giochi quel punto perché non hai tante occasioni per brekkare. Non dico di cambiare adesso, ma possiamo sperimentarlo di più”.
Per Haase, rimane intoccabile il punteggio degli Slam anche perché i numeri in termini di presenze dicono che godono di ottima salute, ma lo stesso non vale per gli ATP 250 ed è lì che si potrebbe cambiare il punteggio: “Diamo al pubblico più divertimento”.
Poche palle, diamogliene di più
Non è però che gli siano venute queste idee ora che ha più anni nel Tour alle spalle che non davanti. “Le ho da 15 anni” assicura. “A casa ho uno schema con tutti questi suggerimenti, di quando ero nel Consiglio dei Giocatori. Nei Challenger, si gioca con quattro palline. Perché mai? Se ne possono usare sei come nell’ATP, non costano più così tanto. Se giochi con quattro, si deteriorano prima e, quando le cambi, è ancora più difficile controllarle. Eppure i Challenger sono parte del Tour ATP – perché non c’è la stessa situazione?
Una volta i top erano più forti, ma…
Lo scorso anno, Toni Nadal ha avuto occasione di affermare che il Rafa 2022 avrebbe perso dal Nadal passato, per esempio quello del 2013, 2011, 2008. Lo stesso valeva per Djokovic. E il fantastico Federer 2017? Inferiore a quello di dieci anni prima. Insomma, il livello si è abbassato. Robin c’era ed perfettamente d’accordo. A metà. “Dipende dal punto di vista. Dieci anni fa, la top 20 o la top 15 erano incredibili. Poche sorprese negli ottavi degli Slam. Roddick, Hewitt, Wawrinka, Davydenko, Nishikori… Toni ha ragione, quelle top ora sono più deboli. Tuttavia, la top 100, 250 o anche 400 sono molto più forti. Il livello complessivo è più alto. Una volta era più facile vincere i Challenger. Adesso è più dura e chi li gioca può far bene nel Tour ATP”.
Collegato a questo, il fatto che solo due Slam siano stati vinti da tennisti ora nei loro vent’anni fa dubitare della forza mentale di quella generazione. Haase vuole precisare la questione: “Se entri nei primi 100, sei fortissimo mentalmente. Chi sostiene che il numero 10 non è forte di testa non ha idea di quello che dice. Vincere uno Slam è diverso, è vero. Thiem e Medvedev ci sono risuciti, anche se Djokovic e Nadal provano di essere ancora migliori degli altri, pur non dominando com’erano abituati a fare – normale per via dell’età”.
Protezione o controllo?
La chiacchierata si conclude con il cambiamento della relazione fra tennisti e media. “Più soldi sono in ballo, più alta è la pressione. I manager e i coach vogliono proteggere i giocatori. Per i manager, tenerli lontani da certe situazioni significa controllarle e di conseguenza i tennisti non sempre sanno cosa stia succedendo. Nei Paesi Bassi, qualche giornalista si occupava solo di tennis, ora anche di calcio e pallavolo e quindi non viaggia più tanto. Ci vediamo una volta all’anno, stesse domande, non c’è più relazione ed è un problema per entrambe le parti. E ci sono i social che permettono ai tennisti di comunicare con i fan”.
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Andreescu, è lesione a due legamenti della caviglia. “Ma poteva andare peggio”
La campionessa dello US Open 2019 riferisce: “Affronterò questo periodo giorno dopo giorno e tornerò presto in campo”

“Ho subito una lesione a due legamenti della caviglia sinistra”. Così Bianca Andreescu, dopo essersi sottoposta agli esami clinici del caso, fa luce sugli esiti del brutto infortunio rimediato al WTA di Miami. La canadese si è dovuta ritirare durante il match contro Ekaterina Alexandrova uscendo dal campo su sedia a rotelle e facendo preoccupare tutto il mondo del tennis. Un vero peccato anche perché nelle partite precedenti la campionessa US Open 2019 era apparsa in ottima forma, superando Emma Raducanu, Maria Sakkari e Sofia Kenin. “Difficile dire ora quanto tempo ci vorrà per recuperare, ma posso dire che sarebbe potuta andare peggio – dice Andreescu, che aveva affermato di aver sentito il dolore più terribile mai avvertito -. Affronterò questo periodo giorno dopo giorno, sono fiduciosa che grazie al lavoro e alla riabilitazione potrò tornare presto in campo. Il percorso è già iniziato, vi terrò aggiornati”.
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Sinner e le semifinali Masters 1000: ci sono due primati per Jannik
Jannik è l’italiano con più semifinali in questa categoria con Fognini (3), ed è il primo azzurro a qualificarsi al penultimo atto in due Masters 1000 consecutivi

Con la vittoria sul finlandese Emil Ruusuvuori al Miami Open, Jannik Sinner ha raggiunto la dodicesima semifinale di un italiano ad un Masters 1000 dal 1990, la terza a livello personale. Arrivare nelle fasi finali di un torneo 1000 è già di per se un’impresa, figuriamoci ripetersi per due tornei di questa categoria consecutivi come Sinner ha fatto a Indian Wells e Miami 2023: è il primo giocatore italiano a compiere un simile back-to-back. E con questo traguardo, Sinner ha raggiunto Fabio Fognini in vetta alla classifica degli italiani con più semifinali raggiunte: entrambi sono a quota tre e non è difficile prevedere che Jannik sia destinato a scalzare il ligure ottenendo il primato assoluto. L’elenco delle semifinali Masters 1000 con azzurri in campo è già da aggiornare a due settimane di distanza dalla precedente e probabilmente non sarà l’ultima volta.
Nel 1995 Andrea Gaudenzi era ancora un giocatore, ottimo interprete sui campi in rosso dove vinse tre titoli ATP. In quella fortunata stagione il faentino si spinse fino alle semifinali del torneo di Montecarlo dove perse in due set dall’amico Thomas Muster. Dopo il match seguirono screzi, ma vennero presto dimenticati. Nell’anno di grazia 2007 il livornese Filippo Volandri compì una delle imprese più memorabili della storia del tennis italiano. L’attuale capitano della squadra italiana di Coppa Davis incendiò il Foro Italico in quel maggio di sedici anni fa battendo il n.1 Roger Federer. Il sogno si interruppe in semifinale, contro Fernando Gonzalez.
L’anno seguente, ad Amburgo, Andreas Seppi raggiunse le semifinali (all’epoca era ancora un 1000) perdendo da Roger Federer dopo aver messo in fila Richard Gasquet, Juan Monaco e Nicolas Kiefer, tennista di casa. Abbiamo poi la tripletta di Fabio Fognini: a Montecarlo raggiunse le semifinali nel 2013 (perdendo male da Djokovic 6-2 6-1) e 2019 (dove sconfisse Nadal 6-4 6-2) quando trionfò, in finale contro Dusan Lajovic, nell’unico 1000 conquistato in carriera. L’ultima semi arrivò a Miami nel 2017, sempre contro Nadal, ma a trionfare fu il maiorchino in due set (6-1 7-5).
Berrettini centrò la semifinali a Shanghai 2019 (perdendo da Zverev 6-3 6-4). Mentre nel 2021 Matteo si spinse fino alla finale di Madrid, dove ancora una volta venne sconfitto dal tedesco Zverev in rimonta 6-7 6-4 6-3. Sempre in quell’anno ci fu la favola Sonego a Roma. Il piemontese visse la settimana più entusiasmante della sua carriera culminata nella semifinale poi persa contro Djokovic. Infine abbiamo le tre semifinali di Sinner: a Miami nel 2021 dove si spinse fino alla finale, persa, contro il polacco Hurkacz. Il resto è storia recente: la semifinale di Indian Wells persa contro Alcaraz a cui fa seguito quella ottenuta ieri al Miami Open. Ad attenderlo ancora il murciano o Fritz.
La classifica degli italiani con più semifinali nei Masters 1000:
Sinner, Fognini 3
Berrettini 2
Volandri, Gaudenzi, Seppi, Sonego 1