ATP
Medvedev sulle parole di Swiatek e l’assumersi responsabilità: “Ho sempre sostenuto di essere per la pace in tutto il mondo, questa è l’unica risposta”
Dannil Medvedev fa luce sull’obiettivo più importante della carriera: “Ritirarmi senza rimpianti, avendo dato tutto quello che potevo”

Sta inseguendo il quarto titolo consecutivo di questo suo scoppiettante inizio di 2023, malgrado un opaco Australian Open, Daniil Medvedev. Agli allori di Rotterdam, Doha e Dubai vorrebbe aggiungere anche il primo 1000 della stagione: il BNP Paribas Open di Indian Wells. La sua corsa è proseguita a vele spedite, dopo l’intensa ed equilibrata lotta in ottavi nel blockbuster contro Sascha Zverev, grazie al successo per 6-3 7-5 in poco più di un’ora e quaranta di match sul finalista in carica di Montecarlo 2022 Alejandro Davidovich Fokina nella quale oltre a fugare i dubbi sulla condizione della sua caviglia destra; ha dovuto gestire anche un’annosa escoriazione al pollice della mano. In conferenza stampa, tanti i temi toccati: ovviamente l’ennesimo quesito sulla crisi russo-ucraina conseguenza dell’entrata a gamba tesa di Iga Swiatek sulla presunta mancanza di leadership del CEO della WTA Steve Simon in merito alla querelle Tsurenko, ma anche la gestione della pressione che accresce il proprio peso specifico con l’aumentare delle vittorie, fino a far riemergere la fase iniziale della carriera di Daniil dove il campione dello US Open 2021 mancava di professionalità perché convinto cha tale approccio lo avrebbe privato dell’aspetto ludico della disciplina e nella quale ha dovuto anche fare i conti per la prima volta con il microcosmo degli haters da tastiera comprendendo lentamente che l’unico vero giudizio o critica costruttiva di qualsivoglia genere da assorbire era quella esplicata da chi gli stava accanto – tema quello dei leoni da social sempre caldo, chiedere a Musetti.
D. Hai avuto la possibilità di guardare con attenzione la tua mano, il tuo pollice destro. E’ qualcosa di grave?
Daniil Medvedev: “No, è tutto sotto controllo. Anche se, nel momento in cui mi sono tagliato non è stato per niente piacevole, è stato decisamente molto doloroso. Tuttavia quando me l’hanno medicato, mi hanno ripulito e disinfettato per bene la ferita. Quindi è tutto risolto. Ora ho questo piccolo tape, e con questa fasciatura non dovrei avere alcun problema. La vera domanda da porsi è se anche fra tre giorni, quando tornerò in campo, dovrò rindossare la fasciatura. Ma questa non è una grossa problematica, visto che oggi dopo qualche iniziale difficoltà e adattamento sono riuscito a giocare tranquillamente anche con il nastro al dito. Ci sono molto giocatori che addirittura si fasciano normalmente le dita della mano perché così avvertono più aderenza sulla racchetta e riescono comunque a giocare bene. Per cui, sarò in grado di farlo anche io“.
D. Una o due settimane fa parlavi di quanto fossi preoccupato per il modo in cui avevi iniziato l’anno a Melbourne. Ovviamente, poi le cose per te sono decisamente cambiate avendo tu vinto tre tornei consecutivamente ed essendo ora qui già in semifinale. Sei tornato al Top, grazie ad una crescita mentale?
Daniil Medvedev: “Sì, è stata tutta una questione mentale, al 100%. Quello che sono riuscito a fare nelle ultime settimane ha semplicemente dell’incredibile. È molto difficile e complicato avere queste strisce di vittorie nel tennis. Perché hai sempre un avversario dall’altra parte che vuole batterti, ogni volta. Tutti vogliono essere in semifinale in un Masters 1000 o in finale e vincere il torneo. Quindi è veramente dura, perché chiunque può sconfiggerti in qualsiasi momento. Perciò, quando riesci a vincere così tante partite di fila provi una sensazione estremamente piacevole, per certi versi difficile da spiegare razionalmente. Tre titoli poi consecutivi, poi, è un qualcosa di ancora più speciale. Ma in questo momento, tuttavia, la mia mente è concentrata esclusivamente qui su Indian Wells. Non penso a quello che ho ottenuto nel recente passato. Ora il mio unico obbiettivo è cercare di fare mie queste ultime due partite rimaste e alzare il trofeo. Più vai avanti, poi, e più è difficile. Perché incontri avversari sempre più sicuri di loro stessi, dei loro mezzi poiché quando arrivi in semifinale o in finale significa che ti senti bene, che si stai trovando bene con i campi e le condizioni. Ma soprattutto, almeno a livello personale, ciò che accresce maggiormente dentro di me quando vinco tante partite in una settimana e arrivo in fondo ad un torneo è l’aver guadagnato più fiducia e consapevolezza rispetto a quando il torneo era nelle sue fasi primordiali. E penso valga lo stesso anche gli altri giocatori. Sono sicuro, ad esempio, che Frances [Tiafoe, suo prossimo avversario in semifinale] si senta benissimo in questo momento perché sta giocando alla grande. E sarà lo stesso anche per i ragazzi che vinceranno domani. Io mi sento benissimo, e spero di poter continuare così in questa stagione, perché è da molto tempo che non mi sentivo così“.
D. Quello che ti sta accadendo, però, allo stesso tempo può essere anche osservato e analizzato dall’altra parte della medaglia. Ovvero, continui a vincere e vincere ancora, questo elemento inevitabilmente fa crescere il livello di pressione a cui sei sottoposto. Come si fa per cercare di evitare di avvertire questa ulteriore fonte di stress?
Daniil Medvedev: “Innanzitutto, a me piace la pressione perché più arriva, maggiore sarà il prestigio del traguardo per cui stai lottando. Da un certo punto di vista, c’è infatti una componente quasi divertente relativa alla pressione, in particolare quando fai il passaggio dal mondo junior ai professionisti avvertì sì una pressione enorme che effettivamente è di tale portata ma allo stesso tempo sei estremamente stimolato da essa. Quando inizi a giocare contro i professionisti a partire dai Futures, senti un’enorme pressione. Da quel momento in poi, ogni volta che succede qualcosa nella tua vita senti come se ci fosse una forza irrefrenabile che ti comprime, ma poi in realtà con il tempo e l’esperienza capisci che la tua percezione era fuorviante. Ora chiaramente tornando al presente, dopo quello che ho fatto nelle ultime settimane è normale che sia di più. Sarebbe strano il contrario. Ma diciamo che in verità è una cosa che riguarda la vita in generale, più cerchi di ottenere qualcosa non solo nel tennis, più pressione avrai. A volte stesso dai tuoi familiari e così poi a catena, dai fan, dalla stampa, dai media e via discorrendo. Quindi so che nel tennis più pressione hai, più significa che stai facendo del tuo meglio, il che è fantastico. Ti porterai sempre questa pressione alle spalle. Non so se in questa prospettiva, il numero 1 ATP mi abbia un po’ sconvolto sia emotivamente che mentalmente perché molti ex giocatori hanno sostenuto che sia stata molto dura dopo aver raggiunto quel traguardo. Onestamente, in verità, non è stata dura per me ma semplicemente una bella sensazione. Ma alla fine però conta il risultato, e quando sono stato in cima non sono riuscito a fare bene, questa è la verità. Quindi ora sono davvero felice di essere ritornato a giocare un buon tennis e dunque anche della pressione che ne consegue (sorridendo)”.
D. Ho una domanda abbastanza difficile e complessa. Ieri sera Iga [Swiatek, ndr], dopo aver battuto Raducanu, ha dichiarato in conferenza che gran parte della questione relativa ai tennisti bielorussi e i russi è semplicemente inutile sostenendo che i giocatori debbano avere il diritto di scendere in campo, ma che allo stesso tempo hanno una responsabilità non di poco conto visto il loro accesso privilegiato ai media. Ha poi anche detto che non riesce a comprendere, in relazione al ritiro di Tsurenko, come i tennisti ucraini riescano ad andare avanti avanti e continuare a competere nel Tour con tutto quello che sta succedendo nel loro Paese. Infine ha dichiarato, che è convinta che non abbiano ovviamente nessuna colpa i giocatori per essere nati in questo o in quell’altro Paese ma che comunque nessuno può sfuggire dalle proprie responsabilità. La mia domanda dunque è la seguente: cosa pensi riguardo alle pressioni che i giocatori ucraini devono sopportare visto che il loro Paese viene bombardato? Ritieni che i top player abbiano la responsabilità di utilizzare le loro piattaforme pubbliche per veicolare un certo tipo di messaggi sociali?
Daniil Medvedev: “Sì, è certamente una domanda difficile a cui rispondere. Prima di tutto, mi dispiace sicuramente per tutti i giocatori ucraini e per quello che hanno passato e stanno passando. Di sicuro non posso esprimermi sulla situazione di Tsurenko, non sono in possesso di tutti i dettagli necessari per poterlo fare. Questa è una domanda che sicuramente andrebbe posta più a Lesia e forse a Sabalenka, perché non ho saputo nulla della vicenda sino al giorno successivo. Anche se ovviamente ero rimasto sorpreso dopo aver concluso il mio match, di ritrovare nel programma un doppio anziché un singolare. Poi il giorno dopo mi sono reso conto di quello che era accaduto. Parlando poi di noi top player, chiaramente abbiamo una responsabilità anche se alla fine dipende tutto da come si vivono personalmente certe situazioni. Io ho sempre detto la stessa cosa, sono per la pace in tutto il mondo, e questo è tutto ciò che posso dire“.
D. Hai detto che sei per la pace in tutto il mondo, il che è meraviglioso. Quindi ti piacerebbe vedere la fine della guerra in Ucraina?
Daniil Medvedev: “Ridirò quello che ho detto nella mia precedente risposta, io sono per la pace. Quindi ogni qualvolta mi verrà posta nuovamente questa domanda, continuerò a rispondere in questo modo perché penso che ci sia una sola risposta alla tua domanda“.
D. Volevo chiederti, sapendo perfettamente che in questo torneo il tuo unico obiettivo sia quello di continuare la striscia vincente alzando il trofeo, se hai anche una visione d’insieme più ampia ampliando la tua prospettiva ad un futuro a lungo termine? Abbiamo visto in questi anni Novak [Djokovic, ndr] Rafa [Nadal, ndr] avere carriere incredibili, con molti Slam in bacheca ed una continuità di rendimento ai primissimi livelli del circuito impressionante. Dunque se provi ad immaginarti il tuo futuro, ti vedi concentrato esclusivamente sul raggiungimento di un certo obiettivo o su un preciso percorso che vorresti che la tua carriera prendesse; oppure semplicemente non ti poni queste visioni a lungo raggio e affronti la tua carriera solo giorno per giorno, concentrandoti sulla prossima partita mentre continui a lavorare sodo?
Daniil Medvedev: “Sicuramente la mia mentalità, il mio approccio al tennis è giorno per giorno, perché è l’unico vero obiettivo che mi sono dato quattro anni fa per dare una decisa svolta alla mia carriera iniziando a prendere il tennis più seriamente rispetto a quanto avevo fatto sino ad allora. E ciò è successo anche per una serie di motivi diversi che sono accaduti nella mia vita proprio in quel momento. All’epoca ero già in Top 100 ma in realtà il tennis professionistico era diventato solamente un continuo e perenne viaggiare passivamente per il Tour. In un certo senso badavo soltanto a divertirmi, perché pensavo che il tennis affrontato e vissuto in un modo differente non sarebbe stato divertente. Poiché ritenevo erroneamente, che approcciandomi in modo professionale avrei trasformato il tennis in un normalissimo e noiosissimo lavoro come tanti altri. Perdevo subito in un torneo nei primi turni, ma non mi importava nulla così stavo sveglio fino a notte fonda anche il giorno prima delle partite, perché al tempo ero anche troppo sicuro di me. Ero convinto che potevo fare quello che volevo, ma che comunque una volta sceso in campo avrei sempre giocato bene. Ovviamente non era così. Poi a un certo punto qualcosa nella testa è scattato, e così ho smesso di comportarmi in quel modo e ho iniziato ad essere più professionale per ciò che riguardava la mia carriera e il tennis. È stato allora che mi sono fissato l’obiettivo più importante di tutti, ovvero quello di non avere rimpianti quando finirò la mia carriera. Chiaramente il match con Rafa lo scorso anno a Melbourne, di sicuro mi pento ancora di non essere riuscito a vincerlo e di non aver messo in bacheca il mio secondo Slam. Ero così vicino, ma alla fine ho combattuto sino all’ultima goccia di energia di cui disponevo. Quindi non posso avere reali rimpianti per quel match, questo è lo sport. L’importante è dare tutto, quello che voglio assolutamente evitare è arrivare ad esempio a 35 anni o quando deciderò di ritirarmi ed essere costretto a dire: ‘se mi fossi comportato diversamente, la mia carriera avrebbe assunto tutt’altra direzione. Mi pento di ciò’. Ecco questo è quello che non voglio accada. Quando finirò la mia carriera, non importa quanti Slam avrò vinto, o tornei vinti o qualsiasi record possa aver raggiunto. L’unica cosa che mi interesserà e che avrà importanza, è se avrò o meno dato il meglio delle mie possibilità. E finora sento che l’obbiettivo è stato raggiunto. Ora va mantenuto nel tempo, l’anno scorso non è stato il mio anno migliore ma ho messo sul campo quello che avevo fino alla fine. Ci ho sempre provato duramente, facendo del mio meglio, e i frutti del duro lavoro si stanno vedendo nel 2023“.
D. Tornando alla questione del n. 1, quanto ti è piaciuto essere in quella posizione? Quali erano i pro, quali erano i contro? Qualcuno come John McEnroe ha sempre lottato per il numero 1 ritenendola la cosa più importante di tutte, Lendl adorava avere quello status. Anche Pete Sampras era d’accordo. Quanto ti è piaciuto essere lì in cima e quanto è stato difficile?
Daniil Medvedev: “Onestamente, è stato molto difficile ma mi pare normale dato che si sta parlando di essere il n. 1 al mondo. Quando dico “normale”, non voglio dire che sia scontato un traguardo del genere. E’ esattamente il contrario, è assolutamente fantastico. Perché quando sei lì, anche nel momento in cui non giochi al meglio e perdi alcune partite; non smarrisci mai totalmente la fiducia in te stesso perché rimani comunque il n. 1. Poi è stato un qualcosa di veramente speciale, anche perché ha rappresentato il coronamento di un lungo cammino durato un intero anno e non uno sporadico momento di dominio. Ero diventato il numero 1 perché avevo accumulato i 2.000 punti dello US Open, i 1.000 della vittoria a Toronto, i 600 di Bercy, gli 800 da Torino. Una superiorità espressa in 52 settimane, e non banalmente vincendo tre tornei di fila. Credo infatti che questo sistema di calcolo sia molto meritocratico, e non il risultato di un exploit random. Ero davvero felice di essere riuscito ad arrivare in cima e a mantenere quello status per così tanto tempo. Non ero contento del livello del mio tennis e delle prestazioni nelle partite che avevo perso, ma questo non aveva nulla a che fare con l’essere lì al numero 1. Era semplicemente perdere delle partite di tennis contro altri giocatori, ma nulla intaccava quella sensazione che derivava anche dal fatto che gli altri giocatori sono stimolati ancora di più nel provare a batterti proprio perché occupi quella posizione. Ovviamente la pressione che avverti non è facile da sostenere, perché sai che tutti si aspettano molto da te. Penso che mi abbia insegnato tanto anche perché di sicuro quando avevo 20 anni ed ero appena arrivato in questo mondo, amavo i social media, mi piaceva leggere tutti i commenti su di me, come le persone mi vedevano. Ok, fa bene capire cosa gli altri pensino di te, ma può anche rivelarsi dannoso e nocivo quando sei giovane. E da questo punto di vista, essere il numero 1 sicuramente ti porta ad avere un sacco di haters, ed è normale. Novak per esempio ne ha molti. Anche Rafa e Roger in qualche modo li hanno. Ti chiedi, com’è possibile? Non dovrebbero averne visto quello che hanno ottenuto e fatto (sorridendo). Quindi, ciò mi ha insegnato a preoccuparmi ancora di meno di quello che pensano gli altri e concentrarmi di più su me stesso, sulle persone che mi sono vicine, perché solo così puoi rimanere fedele a te stesso e non avere rimpianti. Solo perché qualcuno ti ha detto che avresti dovuto mettere questo rovescio in campo, se sai che hai fatto del tuo meglio sei in pace con te stesso. Forse il tuo allenatore, è l’unico che ti possa ti dire che qualcosa andava fatta meglio per il tuo bene“.
D. Hai menzionato la pressione che hai avvertito passando dal circuito junior a quello senior. Per cui ti voglio chieders, quando hai affrontato per la prima volta un torneo pro cosa hai provato?
Daniil Medvedev: “Intendi il primo torneo ATP?“
D. Sì, quando hai fatto il tuo ingresso nel Tour ATP per la prima volta, sei rimasto sorpreso o le tue aspettative sono state rispettate?
Daniil Medvedev: “Prima di tutto, è stato fantastico, perché è completamente diverso da quando sei uno junior: il livello di organizzazione, gli hotel, il cibo , i campi a volte (sorridendo). E’ tutto meglio, a partire dal livello dei tuoi avversari già dai Futures. Poi riesci ad entrare nel tabellone principale per la prima volta e cose del genere, ed è meraviglioso. Quindi poi vuoi rimanere lì. Vuoi giocare bene per restarci per tanto tempo a quel livello continuando a scalare la classifica e migliorando sempre di più i tornei a cui partecipi. Venendo all’ATP, per esempio, ricordo che il mio primo torneo è stato a Nizza, quindi praticamente giocavo in casa. Poi c’è stato ‘s-Hertogenbosch, tutta l’organizzazione fu assolutamente fantastica. Arrivai ad avere compiutamente la percezione di aver raggiunto il livello più alto del tennis. Volevo solamente provare a giocare il maggior numero possibile di questi tornei. Poi ho giocato il mio primo Grande Slam è anche lì’ è stata una sensazione diversa dal resto e bellissima perché quando ci giochi da juniores afferri già la magia che sta accadendo attorno a te ma non è comunque la stessa cosa. Semplicemente, se vuoi avere quella sensazione devi lavorare sodo per averla ogni giorno. Finora non ho mai dovuto vivere la sensazione di perdere questo status, perché alcuni giocatori invece non riescono a mantenere il livello necessario per diverse stagioni di fila e devono tornare indietro per poi cercare di arrampicarsi di nuovo in alto. Non dev’essere una una bella sensazione“.
ATP
ATP Miami, Alcaraz: “Vincerò un altro Slam”
Il tennista spagnolo dopo il successo contro Bagnis parla dell’importanza della vita fuori dal campo: “Devo prendermi cura di me stesso un po’ di più, sinora non l’ho fatto così bene come avrei voluto”

Si rivela poco più che una formalità l’esordio del numero 1 al mondo Carlos Alcaraz al Miami Open presented by Itaù 2023. Il tennista spagnolo ha lasciato solo due game al malcapitato Facundo Bagnis in una sfida durata poco più di un’ora di gioco. Nella conferenza stampa post partita il tennista spagnolo ha ribadito la voglia di conquistare un altro torneo del Grande Slam, focalizzandosi sull’importanza di ciò che accade fuori dal campo.
D. Hai detto che l’anno scorso questo è stato un torneo molto importante per te. Quando hai vinto qui, forse hai pensato di poter vincere un Grande Slam. Ad un anno di distanza, quanto ti senti cambiato rispetto a quella persona che ha giocato il suo match di primo turno qui l’anno scorso?
ALCARAZ: “è diverso tornare qui come campione in carica. Penso che quando ho detto lo scorso anno non è sbagliato, ero pronto a vincere un Grande Slam. Adesso dirò la stessa cosa: vincerò un altro torneo del Grande Slam. Ovviamente è fantastico giocare qui. Giocare un primo turno qui non è diverso rispetto allo scorso anno. L’unica differenza è che quest’anno ho giocato sul Campo Centrale, non è stato così lo scorso anno.”
D. Pensi di essere cambiato come persona?
ALCARAZ: “Sono cresciuto molto dall’anno scorso. È stato un anno fantastico per me come giocatore ma anche come persona. Ho imparato molte cose, non solo in campo ma anche fuori.
D. Ti stai approcciando a questo torneo come campione in carica o lo stai affrontando come se fosse un nuovo torneo?
ALCARAZ: “Come un nuovo evento. Cerco di non pensare al fatto di essere campione in carica. Sto cercando di non pensare che ho vinto qui nella passata edizione. Dico sempre la stessa cosa quando gioco la prima partita in un torneo: per me è sempre qualcosa di nuovo. Vivo la cosa giorno dopo giorno, turno dopo turno, cerco di giocare al meglio ogni giorno e provo anche a divertirti in ogni partita. Questo è l’unico obiettivo e l’unico pensiero nella mia mente in ogni partita.”
D. Lo US Open, è stato uno sforzo fisico enorme per te. Si è trattato di vincere match al meglio dei cinque. Hai giocato fino a tarda notte. Guardando indietro, pensi che ciò abbia contribuito ai problemi fisici che ti hanno fatto saltare l’Australian Open?
ALCARAZ: “Direi di no. Non ha avuto impatti sul mio problema fisico. Era passato molto tempo dallo US Open e il mio primo infortunio è stato a Parigi. Mi sono ripreso molto velocemente e molto bene. Direi che si tratta solo sfortuna. Probabilmente non mi sono preoccupato abbastanza di tutti gli aspetti fuori dal campo. Ma lo US Open non ha influito su questo.”
D. Questa settimana abbiamo parlato di te con Andy Murray. Ha detto che gli piace il modo in cui giochi senza pensieri. Nella sua carriera, ha detto che poteva giocare così solo quando aveva 18 o 19 anni. Quando è cresciuto, è diventato più difficile perché aveva molti più pensieri nella sua testa. Pensi che questo possa accadere?
ALCARAZ: “Probabilmente sì. Devo approfittare di questo momento, visto che sono abbastanza giovane. Sono d’accordo con quello che ha detto. Sono giovane e non mi preoccupo di nient’altro se non di giocare e divertirmi in campo. Questa è l’unica cosa. Probabilmente quando sei più grande, pensi di più.”
D. Ad Eurosport, hai dichiarato che hai dovuto cambiare alcune cose per proteggerti dagli infortuni. Puoi dirci cosa hai dovuto cambiare? Devi essere a letto ogni sera alle 9:00, non puoi bere qualcosa con i tuoi amici o cose del genere?
ALCARAZ: “Ho detto che devo prendermi cura di me stesso un po’ di più fuori dal campo, preoccupandomi di andare a letto presto, riposare meglio, mangiare bene, prendermi cura di me stesso fuori dal campo. Questa è la cosa più importante per me. Direi che sinora non l’ho fatto così bene come avrei voluto. Ma dopo l’infortunio di gennaio ho iniziato a gestire meglio le situazioni fuori dal campo.”
ATP
Italiani in campo sabato 25 marzo: Berrettini, Musetti, Sonego e Trevisan a Miami, a che ora e dove vederli
Berrettini e Musetti cercano di interrompere il periodo negativo contro McDonald e Lehecka. Per Sonego sfida contro Evans. Occasione Trevisan contro Liu

Sarà un sabato di grande tennis per i tifosi italiani. Saranno, infatti, ben quattro i nostri portacolori che scenderanno in campo nel Miami Open presented by Itaù. Il secondo turno del tabellone maschile del torneo della Florida vedrà in campo altri tre italiani, dopo il successo di Sinner su Djere e l’eliminazione di Fognini al primo turno.
Tutti e tre giocheranno sul Court 1. In apertura di programma alle 16 italiane (le 11 locali) ci sarà la sfida tra Lorenzo Musetti e il numero 44 del mondo, il ceco Jiri Lehecka. Per Musetti la sfida con il ceco è l’occasione per interrompere la striscia negativa iniziata con il ritiro nella sfida di United Cup con Tiafoe. Da quel momento 6 sconfitte, quattro delle quali consecutivi, con in mezzo il successo contro Cachin a Buenos Aires.
Lehecka ha già saggiato le condizioni di Miami superando al primo turno l’argentino Coria e nella sfida con Musetti si presenta da favorito, secondo i bookmakers. Il successo del ceco viene pagato 1,42 da Snai mentre quello di Musetti vale 2,8 volte la posta. Tra il tennista carrarino, testa di serie numero 19 del tabellone di Miami, e il nativo di Mlada Boleslav vi è un unico precedente giocato nel 2022, in quel di Rotterdam. Ad aggiudicarsi la sfida fu Lehecka per 7-5 al terzo set.
Subito dopo la sfida di Musetti, toccherà ad un altro tennista italiano in cerca di fiducia, Matteo Berrettini. Il tennista romano, numero 23 del mondo, affronterà lo statunitense Mackenzie McDonald, numero 55 del ranking ATP.
La sfida con il tennista della California potrebbe essere l’occasione giusta per ripartire per Berrettini dati i precedenti. Sono due le sfide tra il tennista romano e McDonald. Il primo datato 2019 vinto in due set da Berrettini ad Auckland in Nuova Zelanda, il secondo giocato lo scorso anno a Napoli e vinto dall’italiano per 6-3 al terzo. Per i bookmakers l’italiano parte con i favori del pronostico. Eurobet quota la vittoria dell’italiano 1,53 mentre il successo dello statunitense paga 2,47 volte la posta.
Il terzo match sul Court 1, cioè alle 20:00 circa, vedrà in campo Lorenzo Sonego, reduce dal successo in due set su Dominic Thiem. Il torinese, numero 59 del mondo, affronterà la testa di serie numero 23 Daniel Evans. Il britannico è reduce da cinque sconfitte consecutive, la più pesante subita in Davis dal colombiano Media, numero 243 del ranking.
Un’ottima occasione per Sonego per approdare al terzo turno del torneo statunitense, almeno secondo i bookmakers. Bet365, infatti, vede favorito il tennista italiano con una quota pari a 1,57 contro il 2,38 pagato in caso di successo di Evans. Tra i due tennisti vi è un unico precedente risalente a Vienna 2020, torneo caro a Lorenzo Sonego visto il successo nei quarti conquistato contro Djokovic. La sfida tra Sonego ed Evans fu la semifinale del torneo austriaco e vide un Sonego on fire chiudere in due set.
Se gli uomini italiani monopolizzeranno il programma del Court 1, l’unica tennista italiana rimasta in tabellone giocherà il terzo match sul Butch Buchholz.
Martina Trevisan, testa di serie numero 25 del tabellone femminile, alle 19:30 circa giocherà contro la statunitense Claire Liu, nella porzione di tabellone lasciata sguarnita dal forfait di Iga Swiatek. Trevisan è reduce dalla buona prestazione contro la giapponese Hibino, mentre Liu ha beneficiato del ritiro di Siniakova al primo turno, e ha regolato la Lucky loser Grabher al secondo turno.
Vi è un precedente tra la tennista toscana e la ventiduenne californiana. Martina Trevisan, infatti, si aggiudicò la finale del torneo di Rabat giocata contro Liu per aggiudicarsi il primo titolo WTA della carriera della ventinovenne azzurra. Nonostante i precedenti a favore di Trevisan, i bookmakers vedono favorita la tennista statunitense. Secondo Sisal il sucesso di Liu è pagato 1,66 volte la posta, mentre la quota in caso di vittoria di Trevisan è pari a 2,25.
ITALIANI IN CAMPO VENERDI’ 24 MARZO:
ATP Miami, Lorenzo Musetti – Jiri Lehecka: dalle ore 16 italiane sul Court 1. Diretta Sky Sport Tennis e in streaming su Sky Go, Now TV e Tennis TV.
ATP Miami, Matteo Berrettini – Mackenzie McDonald: sul Court 1 ore 18:00 circa. Diretta Sky Sport Tennis e in streaming su Sky Go, Now TV e Tennis TV.
ATP Miami, Lorenzo Sonego – Daniel Evans: sul Court 1, ore 20:00 circa. Diretta Sky Sport Tennis e in streaming su Sky Go, Now TV e Tennis TV.
WTA Miami, Martina Trevisan – Claire Liu: sul Butch Buchholz, ore 19:30 circa. Diretta SuperTennis e in streaming su SuperTennix
ATP
Dal doppio Rublev-Molchanov alla tensione nel circuito femminile: come il tennis ha vissuto e sta vivendo la guerra
I rapporti tra tenniste ucraine da un lato e russe e bielorusse dall’altro sono del tutto compromessi in alcuni casi. Il risentimento sembra farla da padrone ma qualcuno che sfugge a questa dinamica pare esserci

“Siamo persone normali, non politici. Pratichiamo uno sport e lo sport unisce sempre”. O almeno dovrebbe. Le parole riportate sono di Andrey Rublev e risalgono a 13 mesi fa. Le pronunciò dopo aver vinto il torneo di doppio dell’ATP 250 di Marsiglia insieme all’ucraino Denys Molchanov, oggi numero 124 nella classifica di specialità. Pochi giorni dopo ebbe inizio quella che in Russia chiamano ancora “operazione militare speciale” in Ucraina: era nell’aria e la tensione a livelli altissimi già quando Andrey e Denis decisero di giocare insieme. Non fu un caso, insomma: l’intenzione di mandare un messaggio, di affermare con forza che i due popoli sarebbero rimasti uniti a prescindere dalle decisioni dei governanti, era sotto gli occhi di tutti. Nel giro di questi 13 mesi, però, di messaggi simili ne sono arrivati molto pochi, e anzi in particolare il tennis (e nella fattispecie quello femminile) è stato e continua ad essere luogo di episodi spiacevoli che contraddicono una delle missioni dello sport.
Nelson Mandela disse infatti che “lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose al mondo”. Lo sapeva bene perché fu anche grazie al rugby che riuscì a riconciliare definitivamente il popolo sudafricano, a lungo diviso dal regime di segregazione razziale dell’Apartheid. Quanto sta succedendo, invece, nel tennis femminile non fa altro che aumentare la distanza tra le due parti, separate da un crepaccio generato dall’odio. Criticare le scelte e le dichiarazioni (spesso molto dure) di alcune giocatrici ucraine sarebbe comunque profondamente sbagliato per l’impossibilità di mettersi nei loro panni. Ciò che è legittimo, invece, è chiedersi se e come si riuscirà a ricucire un tessuto ormai lacerato quando la guerra sarà finita. In ballo, infatti, non ci sono “solo” le sorti del mondo, ma anche quelle – come disse in un suo articolo su “Il Foglio” il collega Manuel Peruzzo lo scorso anno – dell’ “idea di mondo che abbiamo costruito”.
Le mancate strette di mano al termine di match tra bielorusse o russe da un lato e ucraine dall’altro stanno diventando la norma. L’ultimo caso ha visto protagoniste Marta Kostyuk (che allo US Open si oppose alla partecipazione di russi e bielorussi a un evento di beneficenza per l’Ucraina) e Anastasia Potapova (ammonita formalmente dalla WTA per aver indossato la maglietta dello Spartak Mosca durante l’ingresso in campo per un match a Indian Wells) che si sono ignorate al termine del loro incontro di secondo turno – vinto dalla russa – a Miami. Gli episodi di questo tenore sono ormai all’ordine del giorno, mentre è sempre più raro assistere a iniziative simboliche all’insegna della riappacificazione.
Quando lo scorso anno Wimbledon comunicò ufficialmente il suo noto ban, il collega Angelo Carotenuto propose sulla sua newsletter quotidiana “Lo Slalom” una soluzione alternativa. Parlò di un “sogno che a Wimbledon non hanno fatto” con protagonista il chairman dell’All England Club, Ian Hewitt, a colloquio con tutti i tennisti e le tenniste di nazionalità russa, bielorussa e ucraina, di cui riportiamo un estratto:
[Hewitt] ha deciso di spendere minuti, ore, casomai giornate per convincerli. Non a giocare uno contro l’altro. Convincerli a giocare insieme. Gli dice che ha chiuso la porta a chiave e che dalla sala non uscirà nessuno finché non avranno trovato un accordo. A Wimbledon giocheranno i tornei di doppio solo in coppie formate da un russo e un ucraino, una russa e un’ucraina. Ovviamente l’accordo vale anche per il torneo misto. Ne parlerà tutto il mondo. […] Avete una grande occasione, gli dice. Anzi. Abbiamo una grande occasione. Restituire allo sport il suo ruolo di costruttore di ponti e di dialoghi. Io comincio, tu rispondi. Il tennis lo fa meglio di tutti. Tocca a noi, gli dice. Se nessuno comincia, nessuno prosegue.
Il sogno non si è avverato l’anno scorso e, dopo 13 mesi di guerra, è sempre più impossibile che si possa realizzare qualcosa di simile. I rapporti sono incrinati, in alcuni casi del tutto compromessi. E se fin dall’inizio dell’invasione si è pensato che eventuali gesti eclatanti da parte di giocatori russi avrebbero potuto mettere a rischio la loro sicurezza e quella delle famiglie, oggi il discorso può essere applicato più o meno negli stessi termini anche per l’altra parte. La propaganda di guerra ha preso ovviamente piede anche in Ucraina e la retorica diffusa (che spesso si traduce anche in leggi ad hoc) è che chiunque non prenda posizione contro la Russia sia un traditore.
Eppure qualcuno che nel suo piccolo prova a rimanere lontano dall’odio generalizzato (di cui anche Sabalenka ha dichiarato di essere vittima), coltivando rapporti umani e professionali più forti di qualsiasi conflitto tra Stati, c’è. È andato a cercarli, scavando nei circuiti minori, Cristian Sonzogni per il sito di Supertennis. Il caso più ambiguo riguarda Valeriya Strakhova (n. 130 in doppio), di nazionalità ucraina ma nata in Crimea, la regione annessa dalla Russia tramite un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale nel 2014. Quest’anno Valeriya ha vinto tre tornei ITF con due diverse compagne, entrambe russe.
“Se in questo caso la provenienza della giocatrice […] può aver giocato un ruolo, in altri casi – afferma Sonzogni – è stata evidente la volontà di mandare un messaggio. Se non di pace […] almeno di lasciare fuori lo sport dalla tragedia della guerra e dai giochi di potere”. È quello che emerge infatti dalle parole del 25enne ucraino Oleg Prihodko (n. 121 ATP in doppio) che a maggio dell’anno scorso ha disputato il Challenger di Vicenza con l’amico russo Yan Bondarevskiy, ignorando il parere negativo della sua Federazione: “Credo che una persona debba essere giudicata per le proprie azioni, non per la propria nazionalità. Ho tanti amici russi e bielorussi che mi sostengono e che sono contro la guerra”.
Per prepararci a ricostruire i ponti di fratellanza distrutti dalla guerra, non si può prescindere da un ragionamento simile.