Ha fatto grande scalpore la notizia dell’introduzione del VAR (Video assistant referee) nel tennis: siamo abituati a vedere questo strumento utilizzato nel calcio come moviola in campo, ma anche in sport come la pallavolo o basket per valutare e interpretare dinamiche difficili da leggere a velocità naturale. L’obiettivo che si è posto la Video Review Technology è quello di ridurre gli errori dei giudici di sedia su chiamate interpretabili o dubbie come il caso di un doppio rimbalzo, l’invasione nel campo avversario, un fallo di piede o un punto disturbato (hindrance). L’esordio assoluto di questa nuova tecnologia nel tennis sta avvenendo in questo US Open ma – eufemismo – non è stato dei migliori l’utilizzo che ne è stato fatto durante il match di primo turno tra Andy Murray e Corentin Moutet.
Murray sul 5-3 15-30 del terzo set appoggia una volée, Moutet arriva in corsa in avanzamento e dalle immagini proposte in televisione non è chiaro se la palla abbia toccato o meno due volte terra. Il giudice di sedia Louise Engzell ha chiamato un doppio rimbalzo sul tentativo del francese di recuperare una volée smorzata di Murray – tutto questo a due punti dal termine del match – ma Moutet, nient’affatto a favore di questa decisione, ha chiesto all’arbitro svedese l’ausilio della tecnologia. Engzell dunque si è avvalsa dell’ausilio del VAR per valutare l’effettività o meno di un doppio rimbalzo, ma è stata impossibilitata a farlo per mancanza di immagini a disposizione. La giudice di sedia ha provato ad avere un maggiore supporto, ma dopo una telefonata, si è dovuta arrendere, confermando la sua decisione iniziale del campo: “La tecnologia non sta funzionando, le uniche immagini disponibili sono un replay televisivo. Resta la chiamata del campo”. Un esordio tutt’altro che brillante per uno strumento particolarmente utile in casi così dubbi.
