Abbiamo scoperto la parola apolide quando veniva aggiunta di seguito al nome di Martina Navratilova, nella posizione solitamente dedicata alla Nazione di appartenenza; come è noto Martina chiese asilo politico nel 1975 a New York e diventò ufficialmente cittadina americana nel 1981. Scopriamo quindi che l’apolide è una persona che ha perso la cittadinanza e che non ne ha ancora assunta un’altra.
Poi, si sa, le parole mettono gamba e camminano, mutano e incontrano nuovi significati, utilizzi freschi di stagione.
Sulla “Gazzetta dello Sport” del 21 novembre si celebra l’inizio dell’Era di Sinner, che a Torino avrà forse perduto il match decisivo, ma ha senza dubbio conquistato il pubblico: i “tifosi italiani”. Di più, il Roscio ha detto di “sentirsi a casa”. Come se lui non fosse, italiano; come se lui non ci fosse già, a casa sua. Sono insomma lapsus freudiani di chi non si sente abbastanza azzurro, di chi “parla una lingua e forse pensa in un’altra”? Di chi è in fondo “così diverso e così distante dalla nostra anima latina, quando (non) esulta, quando (forse) si deprime, quando (appena) sorride”?
L’intervento sulla “Gazzetta” di Giancarlo Dotto merita il rispetto e l’ammirazione di chi si impegna in una causa persa, che è tale non per l’intento di stimolo alla riflessione, ma semmai proprio perché oggi è difficile camminare in direzione opposta al tifo incondizionato per Jannik, che ha conquistato il mondo (lo abbiamo visto tra l’altro per la considerazione di cui ha goduto a Wimbledon quando è stato incluso nel quadro realizzato in vista dell’edizione 2023 dei Championships) raggiungendo la quarta sedia del ranking, il primo di noi (italiani intendiamo) dopo Panatta. È arduo anche porsi domande, provare a far pensare, attività sempre meritoria.
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E infatti l’articolo non ne dice male, tutt’altro, e definire Jannik “Maccarone Boy” ossia uno di noi, è ultra-spassoso. Finalmente è italiano nell’intimo, non solo per mero fatto anagrafico, ma perché si sente tale, e certamente “la “nostra” Volpe Rossa giocherà per la “sua” Nazionale anche con un braccio ingessato”.
Pensare, chissà in quale lingua. È però difficile in certi casi capire cosa possa pensare e provare una persona a noi cara: a maggior ragione un tizio che appena o per nulla si conosce. Uno magari anche dall’aspetto straniero, che da qualche anno ha dovuto imparare a gestirsi davanti alla folla e alla stampa dalle cento orecchie, che sente tutto e tutto viviseziona, per rimandare sensazioni o possibili (forse pensa in un’altra lingua) discutibili realtà.
Discutibili sono invece alcuni argomenti, triti e ritriti, vecchi e che abbiamo bisogno di buttare via, quanto prima.
Apolide forse non è la parola più appropriata. Perché o si è italiani o non lo si è, in un paese che fa (a volte, più spesso se ne dimentica) vanto delle proprie molteplici anime, così almeno ci racconta la Storia e nessuno si senta escluso, ovviamente. Capita di nascere in terre di frontiera, da noi poco per via del mare, ma a qualcuno succede. Chi nasce lì parla in francese ad Aosta mentre a est c’è il tedesco, più o meno risciacquato. Ma sempre Italia è.
Sinner non ha lasciato nessun paese come ha dovuto fare Martina per inseguire i suoi sogni. È italiano da sempre e fino alla prova del contrario ama l’Italia; non ricordo di averlo mai sentito cantare l’inno di Mameli, ricordo invece un nostro politico di grido intonare (ma era giovane, poveretto) un simpatico coro anti-napoletano. Il politico in questione è un italiano vero, che si incazza e ride sguaiato, una anima latina con i controfiocchi.
Sinner sembra un crucco, alto e bianchiccio, diverso dall’italiano olivastro e bassetto. Ha un carattere schivo, forse non fulmina con lo sguardo o è privo dell’immediatezza e della simpatia naturale che a noi italiani viene riconosciuta nel festival dello stereotipo. Ma davvero abbiamo bisogno di rimestare in questo consunto fodero di immagini superate?
È magari curioso che un campione di tennis venga dall’Alto Adige, ma nel nostro paese il più famoso sciatore di sempre (chiedendo scusa a Thoeni) viene da Bologna. Miracoli: Jannik Sinner è italiano come Sonego o Arnaldi, che vinca o no la Davis.
Parla sempre pacatamente, non risponde alle polemiche assurde e sorride, più di quanto non sembri. È italiano anche se, a ben pensarci, in fondo non è così importante, dal momento che a volte qualche connazionale de noantri, tipo il politico di prima, ci fa, magari solo per un secondo, vergognare di esserlo. Viva gli italiani che ci fanno sentire fieri di noi.