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Tra le tante note positive della giornata italiana di lunedì al Roland Garros c’è sicuramente anche quella di Fabio Fognini, uno che a Parigi per tanti anni si è ritrovato a essere l’unico o tra i pochi a dover portare avanti un intero movimento. Della sua generazione, tra gli azzurri, è rimasto solo lui (per quanto riguarda il singolare) e anche allargando lo sguardo all’intero ranking maschile i suoi coetanei si elencano brevemente. Alcuni di questi hanno già annunciato il ritiro (Gasquet e Murray, ad esempio), altri come Nadal sono sul punto di farlo. Paradossalmente, invece, Fabio è stato più vicino al ritiro qualche mese fa rispetto ad adesso. Lo ha spiegato in sala stampa dopo la vittoria al primo turno contro Van de Zandschulp: un successo particolarmente significativo visto che si è trattato del trentesimo della sua carriera al Roland Garros e a cui è seguito in maniera del tutto naturale un bilancio su quello che è stato e su quel che sarà.
“Sono fiero della mia carriera, nel bene e nel male. Ho fatto i miei errori e ho pagato le conseguenze, ma credo faccia parte della vita di ogni essere umano. Di sicuro non sono stato come Sinner: lui il ragazzo perfetto che tutti amano, io quello imperfetto che o amavi o odiavi. Adesso bisogna guardare in faccia la realtà e quel che è fatto è fatto. Sto continuando a giocare perché amo questo sport e mi piace la competizione”. Come si è notato negli ultimi mesi e anche nella partita di lunedì sera, Fabio ha ancora quel fuoco dentro necessario per andare avanti. Ma quella fiamma si era quasi spenta: “Ero molto vicino a salutarvi. Ho passato un periodo triste, duro. L’anno scorso dopo questo torneo sono stato fermo due mesi e ogni volta il recupero è più difficile. Ho giocato tornei per risalire il ranking e in quel momento mi sono chiesto perché lo stessi facendo: erano tornei che anche se avessi vinto non mi avrebbe cambiato nulla”.
A riaccendere quel fuoco, però, ha contribuito anche quella che Fabio definisce una “beffa”: la vittoria dell’Italia in Davis. Senza di lui (con polemiche annesse soprattutto per la mancata convocazione nel girone di Bologna) dopo che per più di un decennio era stato la colonna portante della squadra, tra grandi imprese e sconfitte cocenti che non gli hanno permesso di coronare un sogno. “Quello che è successo con la Davis mi ha portato a reagire. Una beffa che ha innescato una grande reazione da parte mia. Stavo perdendo la passione e lì c’è stata la svolta. Con due tornei sono tornato vicino alla top 100. Poi mi sono fatto male ancora e ho dovuto di nuovo rincorrere ma adesso sono 90. Sono piccole soddisfazioni che però ripagano l’amore che provo per questo sport e la voglia che ho sempre avuto di scendere in campo anche in condizioni non ottimali”.
Il punto di arrivo, solo momentaneo, di questo percorso è la vittoria su Van de Zandschulp: “Sono contento. Sono stato molto solido nei primi due set, mentre lui molto falloso. Sto giocando bene in questo periodo. Se il fisico regge, il tennis risponde e vincere o perdere è una conseguenza. Il mio obiettivo era quello di giocare il più possibile sulla terra ma non ci sono riuscito. Dopo Marrakech ero cotto e poi ho avuto altri intoppi che a 37 anni sono normali. Però sono ancora lì e riesco a dare fastidio a un po’ di gente. Mi diverto”. Non sarà facile ma ora Fognini proverà a mettere in difficoltà anche un top 15 come Tommy Paul: “Lo conosco bene. Ha vinto il Roland Garros da junior. Da quando l’ho incontrato (nel 2019 a Montecarlo, ndr) è migliorato tanto. È molto regolare e mi servirà la partita perfetta, ma cercherò di complicargliela il più possibile”.