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Sembra passata una vita, in realtà solo due anni e mezzo fa il tema principale quando si parlava di Sinner era il cosiddetto “supercoach”. Un concetto portato in tendenza, guarda caso, dai Fab Four, capaci di rinnovarsi grazie all’ingresso nei loro team di ex giocatori di altissimo livello come Edberg, Ljubicic, Lendl, Moya e Ivanisevic. Come fosse una formula magica, si pensava allora che dovesse essere quella la soluzione per accelerare i tempi di maturazione di Sinner (che tutto erano tranne che lenti). Tra i tanti nomi fatti, il più stuzzicante fu probabilmente quello di McEnroe che oggi, con Sinner virtualmente al numero 1 del mondo e con la coppia Vagnozzi-Cahill a guidarlo, chiarisce come andarono le cose: “Il coach del ragazzo era Riccardo Piatti, che conosco da una vita, ma non c’è mai stata una proposta ufficiale. A me l’idea piaceva, sarei stato disponibile a viaggiare 10-12 settimane l’anno, non full time. Non se n’è fatto nulla e va bene così”.
‘The Genius’, intervistato da Gaia Piccardi per il Corriere della Sera, ha poi speso parole di grande apprezzamento proprio per Cahill: “Sta facendo un lavoro fantastico, merita la Hall of Fame come coach. Dopo Agassi, Hewitt e Halep, Jannik è il quarto tennista che porta in vetta. I numeri parlano da soli: Sinner ha scelto il meglio”. L’americano sa cosa significhi diventare numero uno del mondo e dall’alto della sua esperienza ha dato un piccolo consiglio al giocatore italiano: “E’ una posizione non facile da reggere. Gli occhi sempre addosso, la pressione, tutti che ti tirano per la giacchetta. Sinner è un tipo silenzioso e riservato, a cui piace viaggiare sotto i radar: andrà a sbattere contro l’entusiasmo italiano. Io gli auguro di divertirsi nel ruolo di leader, di concedersi qualche spazio di manovra sennò il numero uno rischia di schiacciarlo”.
Per McEnroe sarà infatti interessante capire come si evolverà il rapporto tra Jannik e il tifo – decisamente passionale – degli italiani: “L’Italia è un Paese che conosco bene: ci ho giocato, ho fatto concerti, il mio storico manager, Sergio Palmieri, è romano. Gli italiani sono emotivi come me, mentre Jannik è serio e compassato. Diventare numero 1 da voi è un ruolo potenzialmente dirompente. Con quale generosità Sinner avrà voglia di donarsi a un Paese affamato? Lui ripete che è concentrato solo sui miglioramenti. Sono curioso di scoprirlo”.
Per John, comunque, il futuro ancora più luminoso di Sinner non è in discussione. Così come è fuor di dubbio che il tennis abbia trovato gli eredi dei Big Three: “Sinner contro Alcaraz è la rivalità di cui avevamo bisogno, il nuovo Federer-Nadal. Jannik ha rotto il ghiaccio con lo Slam in Australia, Carlos è il mio preferito da vedere: l’elettricità che porta in campo mi dà gioia. Contrasto di caratteri e di stili: pronostico difficilissimo. Jannik è destinato a essere un plurivincitore Slam, Carlos lo è già. Il suo inseguimento al trono di Sinner sarà entusiasmante. Io ricordo gli anni da n.2 come i più belli della mia carriera. Da re, poi, diventa tutto più complicato”. Nel corso di questo torneo, Alcaraz e Sinner sono riusciti anche a far cambiare idea a McEnroe su chi sia il favorito per vincere il Roland Garros: “All’inizio avrei detto Zverev. Oggi penso che il rebus passi dalla semifinale tra i ragazzi terribili, Jannik e Carlos, 43 anni in due. Ce li hanno mandati gli dei del tennis”.
John ha poi riservato qualche parola anche per Djokovic e Nadal: “L’infortunio al menisco di Novak supera ogni limite: cosa deve ancora succedere perché gli organizzatori degli Slam si diano delle regole? Mi dispiace per Djokovic, spero di rivederlo a Wimbledon. I giocatori dovrebbero farsi sentire di più”. Su Rafa invece: “Nessuno può dire a un fuoriclasse quando deve smettere, è la scelta più delicata e personale del mondo. A me sembra che si diverta ancora: se continuasse anche l’anno prossimo non vedo a rischio né l’immagine né l’eredità di Rafa. Non scherziamo”.