E’ solo l’ultimo di una lunga lista. Il numero di esponenti del mondo tennistico che dicono la loro sulla questione doping che ha investito Jannik Sinner continua a salire vertiginosamente. “Non ho ricevuto il suo stesso trattamento, e non sono stato per niente bene“. Musica e parole di un amareggiato Guillermo Coria che, sulle pagine di Clay Tennis, riporta la sua esperienza personale denunciando un’iniquità di giudizio rispetto al caso dell’altoatesino. L’attuale capitano della nazionale argentina di Coppa Davis venne trovato positivo al nandronlone nel 2001 e squalificato in prima istanza per due anni, pena poi ridotta a sette mesi dopo aver dimostrato che la sostanza a cui era stato trovato positivo era entrata nel suo organismo a causa di un integratore contaminato.
“La positività mi ha ucciso” aveva avuto occasione di dire anni dopo Guillermo. “Ero nel mio momento migliore e sono rientrato con l’odio”. Coria fece causa all’azienda produttrice dell’integratore, raggiungendo in seguito un accordo extragiudiziale. “Ho dovuto spendere i miei risparmi per portare un team di psicologi dalla Spagna per trattarmi e mostrare la mia personalità e per una macchina della verità negli Stati Uniti. Ho fatto fare uno studio genetico sui miei capelli che ha dimostrato cosa avevo assunto, che non era per trarre alcun vantaggio, ma sono arrivato a Miami per il giudizio ed era già tutto deciso”.
“È stato un periodo difficile per me e l’ho chiuso, perché non me la sono passata bene per niente” spiega ora a Clay Coria, che a fine novembre, con la nazionale argentina, incontrerà proprio l’Italia di Sinner. “Chiedo solo che il trattamento sia uguale per tutti”.
A questo proposito, specifichiamo innanzitutto che si parla di un’altra era sotto l’aspetto dell’antidoping: a controllare e sanzionare i giocatori era l’ATP, l’associazione dei giocatori stessi (e dei tornei). Sinner è invece stato giudicato da un Tribunale Indipendente e, prossimamente, dal Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna su appello della WADA (che peraltro non contesta nulla della ricostruzione di “primo grado”, ma tant’è).
A parte questo dettaglio, l’allora CEO dell’ATP Mark Miles, una volta riconosciuta la contaminazione, aveva commentato che Coria doveva “pagare un prezzo significativo, consistente nella sospensione e nella confisca di punti e montepremi. Avvertiamo continuamente i tennisti che l’assunzione di integratori è a loro rischio”. Sinner, invece, non ha assunto né gli è stato somministrato alcunché. Dunque, l’unico punto in comune tra i due pare essere l’assenza di dolo, ma c’è sempre chi preferisce ragionare con l’accetta, in questo caso fingendo (tra l’altro) che colpa, negligenza e relativi gradi non esistano.
(ha collaborato Michelangelo Sottili)