Tutto è (ri)cominciato dal tie-break del terzo set vinto contro Taylor Fritz al Dallas Open, torneo che dall’edizione appena conclusa è stato promosso alla categoria ATP 500. Ad andare a segno in quel game ai sette punti assicurandosi quindi il successo finale è stato Denis Shapovalov, lui che veniva da una striscia di 12 tie-break decisivi persi. Con l’ultimo vinto che risaliva addirittura al 2019, contro Matteo Berrettini alle Finali di Coppa Davis, non poteva non essere un segno, non poteva non diventare tutta in discesa per Shapo.
A ben pensarci, in realtà, sarebbe potuta andare anche diversamente, perché il mancino canadese ci ha abituati a una certa discontinuità nelle prestazioni, ma non questa volta e, dopo Fritz, ha messo in riga Machac, Paul e, in finale, Casper Ruud, tutti in due set, vincendone tra l’altro un paio al tie-break per migliorare il relativo bilancio, nel suo caso un po’ sotto il pari. Particolarmente incisivo al servizio, Denis ha dunque battuto tre top 10 per mettere le mani su quello che è il suo terzo trofeo, ancora indoor, dopo Stoccolma 2019 e Belgrado alla fine della passata stagione. Solo tre tornei vinti?
È la domanda che si farebbe chiunque lo avesse ammirato ai tempi dei suoi primi passi nel Tour per poi essersi disinteressato al tennis fino a oggi. Perché il classe 1999 canadese si era fatto conoscere al grande pubblico a Montreal nel 2017, quando da numero 143 del ranking arrivò in semifinale battendo Juan Martin del Potro al secondo turno e Rafael Nadal ai quarti – al tie-break del terzo. E pensare che era ripetutamente stato a un passo dalla sconfitta all’esordio contro Dutra Silva: in quella sfida davanti al proprio pubblico, infatti, quattro erano stati i match point salvati da Denis, il secondo con una complicata volée bassa di rovescio, simile a quella quasi altrettanto decisiva sfoderata sul 15-30 servendo per il titolo contro Ruud nella domenica texana. Un bel biglietto da visita, quello stampato a Montreal quasi otto anni fa, che lo aveva proiettato verso la top 50, raggiunta due mesi dopo. E, con il freschissimo trionfo da 500 punti, è arrivato proprio il rientro tra i primi cinquanta del mondo, luogo che non abitava da ottobre 2023. Si è accomodato al 32° posto, Denis, che aveva assaggiato la decima posizione mondiale nel settembre 2020, per poi rimanervi sognante per una mezza estate la stagione seguente. Erano i tempi dei quarti allo US Open e della semifinale di Wimbledon con Mikhail Youzhny al suo fianco come coach. La collaborazione chiusa e poi solo temporaneamente ripresa con Youzhny nel 2022 aveva anche avuto strascichi polemici, quando l’allenatore moscovita aveva accusato il pupillo di “non fare tutto il necessario per essere un top player” con conseguente replica piccata di Denis.
Il successivo crollo in classifica è arrivato soprattutto a causa dei problemi al ginocchio, ma ormai era piuttosto evidente che a impedirgli di rimanere stabilmente nelle posizioni più alte del ranking fossero la mancanza di solidità, la frenesia, la ricerca del colpo spettacolare, del bel gesto tecnico a prescindere: ma una risposta fulminante di rovescio non compensa le precedenti cinque sparate fuori quando si contano i punti. Proprio il rovescio, in salto, ovviamente a una mano perché così dev’essere se vuoi esprimere un gioco talentuoso e il tuo idolo è Roger Federer, è il suo marchio di fabbrica, sviluppato perché “quando ero piccolo, un sacco di gente mi tirava palle alte da quella parte, quindi ne ho colpiti un paio per aria e hanno funzionato”.
In uno sport dalle attuali caratteristiche in termini di superfici di gioco e palline che spingono verso l’uniformazione del gioco, tennisti come Shapovalov sono estremamente necessari per mantenere vivo l’interesse che vada oltre il semplice tifo per questo o quel fenomeno. Va da sé, tuttavia, che senza vittorie è difficile attrarre grosse attenzioni e in questo senso la speranza è che il successo a Dallas possa essere di buon auspicio e non semplicemente una sì fantastica ma estemporanea settimana. Magari, il nuovo ingresso in famiglia potrebbe davvero aver “stabilizzato” il nostro pur senza privarlo dei lampi di genio. Ci riferiamo a Yatzi, citato da Denis nel discorso in occasione della premiazione: “Non sapevo che bastasse prendersi un cagnolino. All’improvviso sono molto più calmo in campo”.