Cosa ti aspetti dalla collaborazione con Alcaraz nei prossimi anni?
“È divertente perché la storia ricomincia da capo. Nadal ha iniziato a 11 anni con il suo primo contratto locale con Babolat. È la stessa storia con Alcaraz. Nessuno sapeva chi sarebbe stato Rafa Nadal e la stessa cosa è successa con Alcaraz… Carlos Alcaraz ha firmato un contratto con Babolat a 10 anni (2013) e nel 2017 (a 14) ha vinto la Babolat Cup, già con racchetta e corde Babolat. Stessa età, stesso talento, ma non è solo la loro prestazione in campo a essere importante, ma il loro carattere e il loro comportamento. Questi ragazzi sono diversi; mostrano ciò che amano fare e ispirano gli altri. Questa è la cosa più importante.”
Come è iniziata la tua relazione con Carlos Alcaraz?
“Come Rafa Nadal, è arrivato da noi tramite i cosiddetti “contratti locali”. Il manager Babolat della regione stipula un contratto con i ragazzini più promettenti. Quando parliamo di contratti, questi ragazzi pagano il prezzo di una racchetta per un set di due. E non guardiamo ai soldi in quanto, fanno pubblicità a livello locale e, se sono bravi, possono ambire a giocare a livello regionale o nazionale, per poi entrare nella squadra internazionale. È stato il caso di Alcaraz a 12 anni, quando ha vinto la Babolat Cup in Spagna.
“Così abbiamo detto: ‘Va bene, è un giovane promettente, la sua immagine potrebbe essere più internazionale. Fa parte della nostra storia e della nostra competenza, come i moschettieri.. Hai un contratto con i migliori giocatori, e poi, sai, non è solo la qualità del prodotto, è la qualità delle persone che preparano le racchette, gli ingegneri che le personalizzano per loro…'”
“È un rapporto forte che fa una grande differenza. La reputazione del marchio dipende anche dalla serietà dei ragazzi. Vengono, li aiutiamo, possiamo dare loro consigli, perché hanno 9 o 10 anni, sono giovani. Li consigliamo, grazie al loro allenatore e al loro intorno più prossimo. Diciamo loro: ‘Ok, forse dovresti cambiare le corde, dovresti aumentare il peso sulla racchetta’, perché i giocatori giocano con qualcosa che gli piace, o a volte non gli piace, ma non sanno di cosa hanno bisogno, quindi dobbiamo aiutarli.’”
Che tipo di rapporto c’è con i giocatori del brand?
“Quando sentono qualcosa o hanno bisogno di qualcosa, siamo sempre pronti. Diciamo: ‘Proviamo questo o quello’, e loro rispondono: ‘Mi piace, non mi piace…’. Ci sono molti, ovviamente, che spingono tutto al limite. Cerchiamo di vedere cosa possiamo offrire”, chiarisce. “Non è come la Formula 1, dove puoi provare le cose, perché i piloti sono molto preoccupati. I tennisti, quando hanno qualcosa di buono, non vogliono cambiare nulla. Ti dicono: ‘Voglio cambiarlo solo un po’, voglio migliorare il mio servizio, voglio…’. Di solito, è un triangolo tra il giocatore, l’allenatore e i nostri tecnici”, ammette.
“Dobbiamo avere fiducia, perché quando si cambia qualcosa, ci sono sempre aspetti positivi e negativi. Se vogliamo migliorare, perderemo qualcosa. Più forza significa meno controllo. Cos’è un buon equilibrio? E il peso, perché se si aumenta di peso, si ha più potenza, ma si può giocare così per cinque ore? Forse no“, aggiunge. “Capiamo il gioco, capiamo i giocatori dal punto di vista dell’attrezzo e, con l’aiuto dell’allenatore, dobbiamo decidere cosa deve essere modificato. Quando si cambia il prodotto per un giocatore, si cambia anche il suo fisico. È un qualcosa che non gli piace, quindi di solito lo facciamo a fine stagione“, riconosce.
È molto complicato sviluppare il prodotto? Le cose cambiano ogni volta che esce un nuovo modello di racchetta?
“Sì, di solito vogliamo che abbiano il modello di racchetta più recente, quindi quello che diamo loro è molto simile a quello che lanceremo nei negozi, ma c’è sempre una piccola differenza, di qualche grammo. L’abbiamo fatto con Carlitos l’anno scorso; volevamo cambiare, ma allo stesso tempo, non molto. Comunque i giocatori si fidano di noi”.
“Probabilmente ricorderete l’anno in cui abbiamo realizzato per Rafa le Black String. Era infortunato e venne a Lione. Preparammo un sacco di cose perché pensavamo che sarebbero state vantaggiose. I tecnici hanno lavorato molto bene insieme, e ricordo che ero con Rafa, che mi guardò e disse: ‘Non capisco niente, ma sono sicuro che sarà buono’. E tutti dicevano: “Voi siete dei professionisti, quindi va bene, proviamoci“.
“È stata la più grande prova di fiducia a noi data. Rafa è fantastico, non solo per la sua prestazione, ma anche per il suo comportamento, per la sua accettazione, che è unica. Per migliorare, a un certo punto bisogna peggiorare. E lui lo accetta, perché la maggior parte delle persone vuole migliorare, ma se si accorge di perdere qualcosa, torna al punto di partenza. E così non si progredisce. Rafa invece dice: “Va bene, cambierò qualcosa, anche se il mio gioco sarà meno efficace”. Accettarlo è molto difficile per tutti, e lo è ancora di più per una squadra di professionisti“.
Cosa pensa dei nuovi modi di comunicare?
“Penso che ciò che è bello nello sport siano le emozioni, e lo vedo anche nei giocatori. Rafa e Alcaraz sono completamente diversi, considerando questo aspetto. Rafa si è abituato a essere un personaggio pubblico, ma non credo che gli piaccia. È felice sulla sua isola, e deve farci i conti. Alcaraz pubblica post sulla sua vita ogni mattina, e la sua vita privata è conosciuta, e lui ne è felice ed è in linea con la sua generazione.
“Parla di sé, e credo che piaccia alla gente perché vuole vedere le storie e le emozioni dei campioni. Quindi penso sia bello sapere cosa c’è dietro quello che la gente vede sullo schermo. È come il pit stop in Formula 1”.
“Una partita di tre ore è troppo lunga. Quindi c’è qualcosa da fare in questo sport, trovare un modo per emozionare, anche i giocatori stessi, e non solo il pubblico. Gli appassionati classici pensano sempre ai tempi di McEnroe, ma la gente si divertiva perché i giocatori mostravano emozioni. Fa parte del gioco, e penso sia bello vederlo in un modo diverso e non solo i campioni che giocano e vincono. Se non c’è emozione, la gente non è interessata“.
Non è facile cambiare le cose nel mondo del tennis…
“Penso che sia una buona idea cercare di modernizzare il tennis. Ricordo che quando lanciammo la Babolat Play Connected Racket nel 2012, e in quel momento capii che dovevamo cambiare le regole del tennis stesso. C’erano circa 31 regole da cambiare al fine di autorizzare la connessione digitale… 30 regole per uno sport centenario non sono tante, quindi non è cambiato molto“.
“Il tennis è uno sport molto conservatore. Sappiamo cosa significa la tradizione dell’innovazione. Wimbledon è molto moderno e credo che trovino il giusto equilibrio tra innovazione e mantenimento della tradizione. Quando si guarda il palcoscenico di Wimbledon, è molto difficile dire se sia vecchio o nuovo. Perché usano le stesse figure. Quindi mantengono parte della storia, ma introducono elementi molto moderni.“
Traduzione di Andrea Canella e Giorgia Michela Pizzo
