Andrea Vavassori non vede il bicchiere né mezzo pieno, né mezzo vuoto. Percepisce entrambe le metà. Gioisce dei successi ed è critico riguardo le delusioni. Intervistato da SuperTennis, il trentenne torinese ha rilasciato alcune dichiarazioni interessanti. Si parte proprio da un bilancio della stagione, che ha visto alzare quattro titoli (il 250 di Adelaide e i 500 di Rotterdam, Amburgo e Washington) a lui e al compagno di doppio Simone Bolelli, sconfitti poi in altre due finali (all’Australian Open e al 500 di Halle). In mezzo, qua e là, un po’ di amarezza in qualche appuntamento. Quindi, che voto darebbe per ora al suo 2025 il n.12 al mondo in doppio? “Beh, diciamo sette e mezzo? Stiamo confermando la scorsa stagione, che era stata molto positiva. Ma abbiamo ancora molti tornei da giocare e il voto può salire. Aspetta che chiedo a Simone: “Ehi, che voto dai al 2025? Otto?”. Ok, andiamo verso l’otto allora. Lui è più generoso…”.
D’altronde, la Race li vede attualmente al quinto posto e non c’è quindi motivo per essere eccessivamente severi sulle proprie prestazioni negative. Oramai il duo italiano è più che consolidato e, almeno per chi segue il tennis, la coppia ‘Bole/Wave’ è ben più che conosciuta. “Beh, una cosa che ci fa piacere di questi due anni e mezzo che giochiamo insieme è il sostegno ricevuto: i tanti commenti, i messaggi positivi. L’altro giorno un tuo collega, che è anche un caro amico, mi diceva come sia incredibile la percezione di normalità nel vederci vincere questi tornei. Ecco, tutto questo è bello da vedere e speriamo che ci sia una generazione di giovani che, vedendo questi risultati, abbia voglia di giocare il doppio”.
Ma ci vogliono tanti sacrifici per arrivare al top e, per quanto riguarda la specialità a coppie, serve affinare delle abilità differenti rispetto a quelle cui un singolarista sta attento primariamente. “Parliamo di una disciplina diversa, dove bisogna avere peculiarità specifiche, fare degli allenamenti specifici. È una disciplina che richiede reazioni rapide a rete e poi fare tanto servizio/risposta: sono le doti principali. Poi ci sono altre variabili: si costruisce un rapporto di coppia, di team, dove devi valorizzare il tuo compagno, dargli fiducia, trascinarlo nei momenti complicati. Insomma, è un rapporto che va oltre il campo, con la condivisione delle sconfitte”.
Le sconfitte, ovviamente, non si condividono invece se sei da solo in campo. Vavassori continua a provarci anche nel singolare, nonostante portare avanti due programmazioni non sia affatto semplice. “Sicuramente il singolo è più chiuso. Ho provato a dare una zampata a Rotterdam e poi in Bahrain, e se guardiamo la classifica sono ancora vivo. Ma con il cambio delle regole, con i Masters 1000 su due settimane, ci sono molti Challenger in meno, e quindi meno partite a disposizione. Ho provato a Washington, ma non lo facevo da tempo. Quindi, sarà più difficile, anche se mi divertirò a giocarlo perché mi aiuta nel doppio”.
E in quest’ultima specialità il tandem azzurro punta veramente in alto, verso la storia del tennis tricolore. “Il doppio è importantissimo. Il nostro obiettivo è diventare i doppisti italiani più forti di sempre. Stiamo spingendo in quella direzione, stiamo entrando in questo discorso anche se nel passato ci sono stati doppisti importanti da cui prendiamo esempio. Lo sappiamo, e ci proviamo, come anche il voler far avvicinare i giovani alla disciplina. È una sfida bella e divertente. Poi io ho anche il doppio misto con Sara Errani. Insomma, vorrei vincere tutto quello che è possibile”.
Prima di arrivare alle vittorie, però, spesso si passa anche per le sconfitte, e Bolelli/Vavassori ne hanno incassate di pesanti in stagione. Ma l’importante è mettere tutto in prospettiva per poi tornare più forti e consapevoli di prima. “Uno dei momenti più duri lo abbiamo vissuto proprio quest’anno, quando abbiamo infilato una serie di primi turni: Montecarlo, Madrid e Roma. Poi, se le analizzi, sono state partite perse per un nulla. Però dubbi tra noi mai. Conosciamo il nostro valore e le critiche non ci pesano. Sappiamo che il lavoro da fare è lungo, come il percorso che abbiamo deciso di intraprendere. In campo ci adoperiamo e cerchiamo di farlo nella maniera migliore. E infatti il lavoro poi ha pagato. Stiamo dimostrando di essere tra le prime coppie del mondo. Bisogna credere nel processo”.
Lo status non scende in campo per i giocatori, sono questi ultimi a doversi sudare ogni punto. Nella loro testa è quindi importante essere coscienti delle proprie abilità, che, se messe in atto, possono traghettarli verso i loro obiettivi. “Penso che niente sia impossibile per noi, anche se tutto è difficile perché parliamo di tornei difficili, che sognavamo. Oggi entriamo in campo sapendo di giocarci le partite con consapevolezza, match dopo match. Anche da favoriti, ed è una bella sensazione. Il calendario offre appuntamenti importanti, con uno Slam come gli US Open, quattro Masters 1000 e le Nitto ATP Finals di Torino. Sono gli obiettivi che abbiamo nel mirino. Ma non dobbiamo avere fretta e ansia di fare risultati. Certo, per me Torino è qualcosa di super, essendo la mia città. Ma l’obiettivo è riconfermarci tra i primi otto e far parte della squadra di Coppa Davis”.