Andrey Rublev è parte della generazione maledetta del tennis contemporaneo. Quelli arrivati nell’interregno tra i Big Four e il dualismo Sinner-Alcaraz, troppo presto per combattere con le leggende e troppo tardi per competere con gli enfant prodige. Una generazione relegata, suo malgrado, a un ruolo da comprimaria, sulle cui spalle i fuoriclasse costruiscono la propria eredità. La generazione di Rublev ma anche di Medvedev, unico a sfatare il tabù Slam, di Zverev, di Ruud, di Tsitsipas.
‘Rublo’ è stato numero cinque del mondo, ha vinto due Masters 1000, diciassette tornei, un oro olimpico nel doppio misto, ha battuto Nadal e Alcaraz sulla terra rossa, Sinner sul cemento e Djokovic in finale nella sua Belgrado. Tuttavia l’impressione è che il russo si sia fermato sempre sul più bello. Anche allo US Open 2025 infatti Rublev è uscito di scena prima delle semifinali.
Questa volta ad eliminarlo è stato il canadese Auger-Aliassime, che ritorna così ai quarti di un torneo dello Slam dopo oltre tre anni. Opaco, nervoso ed impreciso è apparso il russo, decisamente lontano dalla sua versione migliore. Dopo una prima parte di torneo decisamente abbordabile in cui ha affrontato nell’ordine Prizmic, Boyer e Wong, tutti fuori dalla top 100, si è sciolto come neve al primo avversario di livello, perdendo l’occasione di sfruttare un sorteggio agevole che nella strada verso la semifinale avrebbe messo di fronte a lui solo l’australiano de Minaur, già battuto quest’anno a Doha.
Sfuma dunque di nuovo l’occasione per Rublev di essere fra i quattro migliori giocatori di uno Slam per la prima volta. Allo scorso Wimbledon era addirittura riuscito a strappare il primo set a Carlos Alcaraz, prima di capitolare nei seguenti tre. Mentre a Parigi e Melbourne aveva dovuto lasciare strada libera nell’ordine a Jannik Sinner e Joao Fonseca. Una statistica che per il russo ha il sapore di una maledizione, con ben dieci quarti di finale giocati fra i quattro major e un impietoso score di 0-10. Quarti di finale che per il giocatore nativo di Mosca mancano ormai da un anno e mezzo. L’ultimo giocato risale infatti all’Australian Open 2024 quando perse contro Sinner, mentre negli ultimi sette Slam giocati la sua scalata si è fermata sempre tra il primo turno e gli ottavi.
Rublev in lotta con gli altri e con sé stesso
Quello di oggi potrebbe essere stato l’ultimo treno per Rublev? L’ultima occasione per incidere in un torneo dello Slam approfittando del sorteggio fortunoso? Dopo la vittoria a Madrid nel 2024 Rublev ha avuto un unico exploit al 500 di Doha vinto a febbraio. Nel 2025 ha raggiunto solamente un’altra finale, persa ad Amburgo, e ha raccolto appena una vittoria contro un giocatore in top 10. Numeri che lo hanno fatto scivolare fuori dai primi dieci del ranking ATP.
Sono stati mesi difficili per Andrey, che ha più volte messo l’accento sulla propria difficile condizione psicologica e più in generale su quella degli atleti, ricoperti di fama ma anche subissati da pressioni spesso insostenibili. “Ogni volta che entravo in campo e le cose non andavano come volevo, era come morire dentro. Fai di tutto per salvarti, per sopravvivere”. Ha dichiarato il russo in un documentario girato per l’ATP: “Magari stai vincendo dei titoli, ma dentro stai solo cercando di resistere. Amo ancora il tennis, voglio ancora ottenere il massimo possibile, ma ora lo voglio fare in modo sano. Non più lottando, non più sopravvivendo”.
Animo fragile e inquieto, più volte è esploso in campo in sfoghi che hanno fatto il giro del mondo. Urla disperate, lacrime, racchette in frantumi, a volte addirittura sferrate contro le sue ginocchia. Solo qualche giorno fa ha ricevuto a New York una multa per il linguaggio improprio usato durante il match di secondo turno contro Tristan Boyer.
Ad affiancarlo in panchina da Montecarlo c’è un altro che di racchette spaccate ne sa qualcosa, il connazionale Marat Safin: “In questo percorso mi ha aiutato molto parlare con Safin. Mi ha fatto capire molte cose e poi ho iniziato a lavorare con uno psicologo. Ho imparato molto su me stesso e anche se non mi sento di buon umore o nel posto felice in cui vorrei essere, non provo più quella folle ansia e stress di non capire cosa fare della mia vita”.
Forse prima di lottare contro gli altri sul campo Rublev sta tentando di archiviare un’altra lotta, quella contro sè stesso. E chissà che da qui non ne possa trarre una nuova, seconda, giovinezza.