Quando nel febbraio del 1990 le semifinali del torneo di Milano offrono Lendl-Sampras, con il greco che ancora non ha compiuto 19 anni e pare ancora immaturo per sfidare il ceco d’America, e John McEnroe-Mayotte, gli organizzatori si fregano le mani, credendo di avere ormai per le mani come finale il confronto più affascinante del decennio, per contrasto di stili e di caratteri. Certo in pochi si aspettano l’impresa dell’americano, non più competitivo ai massimi livelli come invece ancora è capace di essere Ivan, numero uno del mondo e reduce dal suo secondo successo consecutivo all’Australian Open ai danni di un malconcio Stefan Edberg.
In realtà un americano che fa l’impresa c’è, ma non è John, bensì Tim: Supermac si distrae e Mayotte lo batte per la seconda volta in carriera, 6-4 6-4. Il pubblico passa in pochi minuti dall’euforia per la finale più bella alla malinconia per la finale già finita: Lendl-Mayotte, infatti, e sin lì andata in cartellone per quindici volte e Ivan ha vinto sempre; la quindicesima replica vedrà il campione moravo firmare un indiscutibile 6-3 6-2 e una settimana dopo congedare Gentleman Tim con un severo 6-3 6-0 nella finale di Toronto. Ecco, forse il pubblico di Torino alle ATP Finals del 2022 provò le stesse sensazioni di quello milanese di 35 anni fa quando salutò Casper Ruud come finalista contro Novak Djokovic: in realtà come ricordiamo l’asso serbo era inavvicinabile per chiunque, ma Nole soffrì di più in semifinale contro Taylor Fritz, complice anche una superficie decisamente scorrevole.
Ruud perse 7-5 6-3, si fece onore ma alla vigilia in pochi pensarono a un vincitore diverso da Nole. Casper Ruud è infatti uno dei migliori rappresentanti di quella categoria di tennisti non particolarmente dotati di estro e per questo perfettamente consci di dover essere sempre inappuntabili dal punto di vista atletico e mentale per poter andare vicini, e a tratti superare, i propri limiti e combattere così con i migliori. Perdendo, di solito, ma, a volte, sovvertendo i pronostici e sempre facendosi onore.
Nella mattinata italiana di venerdì Casper incrocerà la strada di Matteo Berrettini in una partita per noi dal fascino particolare, dal momento che il nome del norvegese è già stato accostato a quello dell’atleta romano: i due si sono incontrati otto volte e il norvegese è in vantaggio 5-3. La prima volta fu a Parigi nel magico 2019 che rivelò Matteone al grande pubblico con l’ingresso in top ten a fine stagione; Casper fece valere la migliore adattabilità alla terra rossa e passo il secondo turno. Nell’anno della pandemia Berrettini si prese la rivincita a New York ma la Roma settembrina sorrise di nuovo al tennista scandinavo.
Berrettini arriva in finale nel 2021 a Madrid come ottava testa di serie e finalmente ha ragione sul rosso del ragazzo del nord; nel 2022 a Gstaad la superficie è la stessa ma tante altre cose, nel frattempo, sono cambiate: per la prima volta Ruud sopravanza in classifica il tennista azzurro, che rientra dopo la positività da COVID che gli ha fatto saltare, con una intempestività iellata e dolorosa, il torneo di Wimbledon di cui era stato finalista l’anno prima. Matteo gioca con rabbia e determinazione e, complice anche l’altura che velocizza gli scambi, vince il primo set e arriva al tie-break del secondo per poi subire il ritorno implacabile del rivale, che lo batte nel terzo set.
Passano meno di due mesi e di nuovo i due si fronteggiano, a New York nei quarti di finale: Matteo ha faticato nei turni precedenti ma c’è fiducia, una fiducia che però si squaglia di fronte al muro norvegese. Casper vince per 6-1 6-4 7-6(4), una partita che segna una cesura significativa nella storia agonistica dell’azzurro: Matteo gioca poco nel finale di stagione, infortunandosi nella finale di Napoli di fronte a Lorenzo Musetti a ottobre. Il 2023 lo vede attivo fino allo US Open, dove si ritira per infortunio al secondo turno; all’inizio dell’anno trova comunque modo di battere Ruud in United Cup in Australia.
Il loro ultimo incontro è parimenti significativo perché trova luogo ancora nella città dell’azzurro, al rientro nella competizione dopo quattro anni: prevale ancora Ruud, mentre Berrettini si ferma per l’ennesimo problema fisico dopo un buonissimo primo set. I due escono dal campo abbracciati, forse avvertendo un legame particolare; sicuramente li avvicina la cavalleria e il piacere del fair play, in questo il prossimo avversario di Berrettini incarna il prototipo del tennista nordico, non troppo espansivo, di poche parole ma sempre corrette e gentili, modello che ha visto in passato come voce lievemente discordante il solo Anders Jarryd, ottimo singolarista ed eccelso doppista cui ogni tanto saltava la mosca al naso.
Ruud non travalica mai gli steccati della dolcezza e della compostezza, nelle dichiarazioni d’amore alla sua fidanzata come nel tennis: è chiaro che, così facendo, se va a cena con i due pazzi Benoit Paire e Alexander Bublik come l’anno scorso a Natale finisce con rimanere nel mezzo delle trovate dei due. Ma lui sorride sereno e implacabile, conscio di dover tenere duro con i suoi schemi per tagliare il traguardo alla pari con i due fuoriclasse del cazzeggio, magari aiutandosi nel pensiero, mentre sorride, con la frase “specchio-riflesso”, il motto esorcizzante per eccellenza con il quale da bambini rimbalzavamo gli insulti o le derisioni di qualche compagno di giochi prepotente.
Certo, a volte si può perdere la calma: una volta Tim Mayotte, era il 1986, si spinse fino ai quarti di finale a Wimbledon e nel set decisivo la vittoria gli dovette sembrar vicina. Le cose non presero purtroppo per lui la piega migliore e nel finale, di fronte a un possibile errore arbitrale, si incazzò di brutto, dimenticandosi per la frustrazione la sua nomea di gentiluomo e finendo per dare una buona imitazione dei suoi connazionali Connors e McEnroe.
Forse non abbiamo detto con chi perse quella volta Tim a Londra, rimediamo subito: Ivan Lendl, a chi avevate pensato? Persino Casper una volta si inalberò: fu a Roma nel 2019, quando vinse su Kyrgios per squalifica del giocatore australiano, che lanciò una sedia in campo. Successivamente Casper disse che Nick “si era comportato come un idiota”; negli anni successivi Nick a più riprese se ne ricordò, arrivando a definire il suo avversario boring (noioso) e anonimo. Ruud non se l’è presa e ha continuato per la sua strada, lenta ma efficace, uscendo dall’anonimato in cui Kyrgios l’aveva relegato fino a battere Djokovic a Montecarlo 2024 e a vincere un Master 1000, a Madrid 2025. Così chi era famoso ora lo è di meno e l’anonimo di qualche anno fa oggi è ancora sulla breccia, sorridente come sempre: specchio-riflesso, Nick.
Venerdì mattina quindi tutti a tifare Matteo Berrettini, ma se The Hammer perderà, lo farà con un grande personaggio: noioso, sorridente, umile, prevedibile, tenace, tennista figlio di tennista (Cristian, il suo coach) fiero di lui: per dirla con Murakami Haruki (dato che siamo in Giappone), Norwegian Wood, forever!