Nel 2012, dopo aver perso una delle finali più epiche della storia a Melbourne contro Djokovic (quasi sei ore di battaglia), Nadal si è rifatto battendolo tre volte di fila: a Monte Carlo, Roma e Roland Garros. L’anno successivo ha iniziato a superarlo anche sul cemento — vincendo in Canada e allo US Open. Ma poi il trend si è invertito: nelle otto sfide successive su hard court, Nadal non ha vinto nemmeno un set.
A causa dei numerosi infortuni sofferti nel corso della carriera le superfici dure sono sempre state il campo di battaglia più arduo per lui. E contro Djokovic, diventavano un vero incubo fisico. “Per competere con Novak sul cemento, dovevo essere al massimo livello fisico”, ha detto. “Roger era capace di accorciare i punti con il servizio. Ma io e Novak avevamo un gioco più simile, e lui era indubbiamente superiore a me sul duro. Fino al 2013-2014 riuscivo ancora a competere come si doveva, poi è cambiato tutto”.
Gli infortuni hanno intaccato la fiducia, soprattutto nei movimenti: “Quando il tuo corpo ha troppi problemi, perdi fiducia nei movimenti. Cominci a evitare certi colpi, certe azioni, perché temi di farti male. Questo ha avuto un impatto mentale enorme contro Novak. Per affrontarlo, avevo bisogno di spingere tutto — il gioco, il fisico — al limite. E non ci riuscivo più”. Ero in grado di mettere alle corde Djokovic su altre superfici, in particolare sull’erba. Ma non si trattava solo di durata dei match: il punto era la qualità e l’intensità dei movimenti necessari per metterlo in difficoltà. Potevo giocare a lungo, ma non potevo più spingermi al limite nei movimenti come prima”.