Rafael Nadal ha chiuso la sua carriera con un bilancio di 29 vittorie e 31 sconfitte contro Novak Djokovic, e 24-16 contro Roger Federer. Una rivalità leggendaria che ha segnato un’epoca ormai al tramonto. Nel tennis del 2025, i protagonisti sono Jannik Sinner e Carlos Alcaraz. L’assenza di un terzo uomo dominante sottolinea quanto fosse unico il triumvirato Nadal-Federer-Djokovic. I due giovani campioni hanno vinto gli ultimi sette tornei del Grande Slam e domenica potrebbero affrontarsi nella terza finale consecutiva in un Major. Un evento che li porterebbe a un solo passo dal record di quattro finali consecutive tra Nadal e Djokovic tra il 2011 e il 2012. Prima, però, li attendono le semifinali: Sinner sfiderà Félix Auger-Aliassime, mentre Alcaraz affronterà Djokovic in una rivincita dal sapore epico.
Nadal segue da vicino entrambi i giovani campioni, in particolare Alcaraz, con cui è in contatto semi-regolare. Da spettatore, ha vissuto con grande emozione la finale del Roland Garros di giugno, durata oltre cinque ore e mezza. Un match che, da 14 volte vincitore a Parigi, ha vissuto con occhi esperti e cuore appassionato. “La partita è stata incredibile, soprattutto per l’intensità emotiva del finale,” ha commentato Nadal. Ma se devo analizzarla tecnicamente, i primi tre set non sono stati di altissima qualità. Era una finale nella norma. Il quarto e il quinto set invece sono stati eccezionali, con tennis ad altissimo livello e grande tensione.”
Nadal non si è sottratto a una breve analisi tecnica: “Dal mio punto di vista, Carlos all’inizio non ha giocato al suo livello. Ha sbagliato qualcosa tatticamente, anche se preferisco non entrare nei dettagli. Jannik, invece, è stato un po’ sfortunato sullo 0-40, ma quando ha avuto la possibilità di chiudere, non ha mostrato la giusta determinazione. Ha smesso di giocare con quella velocità e aggressività che lo stavano premiando. Nel complesso, la finale è stata indimenticabile. Una delle più emozionanti che io abbia mai visto. Sono stato fortunato a viverla da casa, come semplice fan. Non sento più il bisogno di essere in campo. Ho accettato al 100% la mia nuova vita dopo il ritiro. Non riesco ancora a guardare una partita senza analizzare. È nella mia natura, ma non è nostalgia. Non vorrei essere lì a giocare”.
Parlando di Sinner e Alcaraz, Nadal riconosce i punti di forza di entrambi. “Jannik è migliorato molto al servizio. Impone un ritmo con il dritto che è difficile da gestire, è rapido a colpire la palla e si muove bene nella transizione dalla difesa all’attacco.” Nadal vede all’orizzonte miglioramenti nella sensibilità e nel tocco, ovvero due delle qualità principali di Alcaraz.
“Carlos invece è più magico, più imprevedibile. Può raggiungere picchi di gioco che forse Jannik non ha ancora, ma commette anche più errori. È più spettacolare da vedere perché è meno prevedibile. Mi piace guardarlo giocare, è divertente perché può fare cose straordinarie ma anche sbagliare tanto. È umano. Dal mio punto di vista Carlos deve migliorare l’approccio tattico in certi match. A volte sembra che voglia cercare sempre il colpo risolutivo, anche quando non è necessario. Ma proprio per questo è affascinante seguirli: perché sono fortissimi, e hanno ancora margini di miglioramento”.
Il tema del miglioramento continuo è un marchio di fabbrica del Big Three. E proprio allo US Open, Nadal ha vissuto un’evoluzione personale significativa. Pur avendolo vinto quattro volte – il suo secondo Slam più titolato – inizialmente trovava quel torneo ostico, a causa del vento e delle condizioni di gioco prima della copertura dello stadio Arthur Ashe. “Ho dovuto lavorare molto sul servizio, che allora non era un mio punto di forza. Ma volevo adattarmi, proprio come ha fatto Alcaraz oggi, e ci sono riuscito. New York ha sempre avuto un’energia speciale, mi sentivo in sintonia con quel pubblico, soprattutto nelle sessioni serali”. Nadal ha modificato anche il suo tennis per adattarsi all’erba, e al di là dei 14 Roland Garros, ha comunque conquistato altri otto Slam, un numero pari a quelli vinti da leggende come Agassi, Connors e Lendl nell’arco di un intera carriera.
Le superfici contano, ma anche le condizioni ambientali e le sensazioni personali possono fare la differenza. Nadal ricorda come il campo centrale di Parigi gli si adattasse perfettamente, mentre l’altezza vertiginosa dello stadio Arthur Ashe lo metteva più in difficoltà. A Cincinnati, torneo preparatorio allo US Open, ha vinto solo una volta, soffrendo per l’umidità e le condizioni dei campi. “Ogni giocatore ha dei luoghi in cui si sente bene. New York, all’inizio, non era uno di quelli. Ma ho lavorato tanto per cambiare quella sensazione, e alla fine ci sono riuscito.”
Oggi, Rafael Nadal guarda al passato con gratitudine, senza rimpianti: “Ho portato la mia mentalità al limite per tanti anni, ho giocato – e spesso vinto – nonostante il dolore. L’unico rimpianto forse è il periodo tra il 2012 e il 2016, quando i problemi alle ginocchia mi hanno impedito di competere a Wimbledon come avrei voluto. Ma poi sono tornato forte anche lì.”
Infine, un sorriso si apre quando si parla della sua seconda grande passione: il Real Madrid. “Noi siamo il Real Madrid, perché no?” ha risposto a chi gli chiedeva se potessero vincere la Liga. E punzecchia Andy Murray, tifoso dell’Arsenal, ricordando la recente eliminazione in Champions: “È uno str**,” ha detto ridendo. Alla domanda se un giorno potrebbe diventare presidente del Real, risponde con un sorriso enigmatico: “Non credo… ma nella vita non si sa mai.”
Una conversazione che è partita dalle abitudini del sonno dei bambini per concludersi con uno sguardo sulla stagione calcistica alle porte: Rafael Nadal, uno dei più grandi di sempre, ha davvero voltato pagina. Ora, il campo lo guarda da lontano. E, per sua stessa ammissione, non gli dispiace affatto.
