Ho letto in questi giorni una valanga di j’accuse nei confronti di Jannik Sinner per via della sua decisione di non giocare le finali di Coppa Davis a Bologna. Che è diventato un caso nazionale lo dimostra il fatto che sui media più disparati, radio, televisioni, giornali, web, social, la vicenda Sinner con il suo no alla Coppa Davis, ha ovunque occupato grandi spazi.
Sono stati davvero tanti i giornalisti di fama che sono scesi in campo. E quanto meno erano esperti di tennis, cioè tutto fuorchè addetti ai lavori, e tanto più si sono espressi senza mezzi termini per sommergere di critiche davvero pesanti il più forte tennista della nostra storia per il suo “gran rifiuto”, dipingendolo come l’esempio più negativo dell’”antipatriota”, rimproverandogli all’infinito la sua residenza nel Paradiso fiscale di Montecarlo, la mancata accettazione dell’invito del presidente della Repubblica Mattarella al Quirinale dopo il secondo trionfo all’Open d’Australia (dopo il primo però c’era andato, ma non lo si ricorda), le assenze dell’ultima ora alle Olimpiadi di Tokyo e Parigi.
Ed è stato proprio per dare un’idea dell’aria assai nazionalpopolare ammantata di eccesso patriottico che spira nel Paese che abbiamo deciso di far uscire dai consueti spazi della nostra quotidiana rassegna stampa – per pubblicarli anche nella nostra home page – alcuni dei più corrosivi interventi, come quello di Emanuela Audisio su Repubblica e di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. Che pure, tengo a precisare, sono colleghi che conosco da tempo e che stimo, anche se in quest’occasione i loro interventi non li ho minimamente condivisi.
Ci sembrava giusto, non condividendole, mostrare però ai nostri lettori più ignari anche le opinioni di chi non la pensava come noi di Ubitennis che pure siamo – come tutti gli appassionati – chiaramente e inevitabilmente dispiaciuti del fatto che – salvo che Jannik cambi idea (ma non crediamo che accadrà) – a Bologna Sinner purtroppo non giocherà.
Ma un conto è essere dispiaciuti perché vedere Sinner misurarsi con un Alcaraz o uno Zverev è sempre un gran bel vedere – a prescindere dal fatto che le nostre chances di conquistare la terza Coppa Davis di fila sarebbero state certamente più ampie… così come è giusto solidarizzare con quegli appassionati che hanno affrontato spese notevolissime per biglietti, viaggi e alloggi per il loro idolo… – un altro conto è gettare la croce addosso a chi è creditore e non debitore nei confronti del tennis italiano, con le sue due coppe Davis vinte, i suoi 4 Slam, i posti mai raggiunti nelle classifiche mondiali da un altro tennista nostro connazionale.
Se il tennis occupa oggi la posizione che occupa, e tutti si sentono in dovere di parlarne, be’ dobbiamo certamente dire grazie a Sinner. Il quale non è perfetto, come nessuno lo è, tuttavia non sarebbe serio dimenticare che un professionista di uno sport individuale ha tutto il diritto di programmarsi come meglio pensa privilegiando il proprio credo e la propria carriera. Perché se Jannik non fosse sempre stato così, quasi ossessivamente legato alla cura dei più piccoli e solo apparentemente insignificanti dettagli, percorrendo la strada che voleva percorrere da quando aveva 13 anni e lasciato la Val Pusteria, non sarebbe mai diventato il n.1 del mondo, il campione straordinario che è oggi.
Accusarlo oggi, come fanno in tanti più o meno manifestamente, di non essere un vero italiano, in parte anche per vie delle sue radici altoatesine – da Cazzullo alla Audisio, da Gramellini a Vespa (cui non si può fare una colpa se ha ribattezzato Alcaraz… Alvarez; anche i bravi professionisti non possono improvvisarsi tuttologi e poi chi non ha mai fatto una gaffe?) – fino a che si arriva a chiamarlo con fare francamente irrispettoso, proprio a mo’ di richiamo, Gianni invece di Jannik, per poi scrivere crudamente “non gli importa nulla dell’Italia”, secondo me significa
a) non conoscerlo e
b) senza conoscerlo come invece lo conoscono quelli che lo frequentano meno casualmente, bollarlo conseguentemente con la patente di “falso”, di attore consumato, capace cioè di recitare quando lo abbiamo visto sollevare entusiasticamente le due coppe Davis, abbracciarsi ai compagni di squadra che infatti – chiedete a Lorenzo Sonego, a Matteo Berrettini, agli altri… – gli vogliono tutti bene perché lo credono vero, tutt’altro che falso. Falso sarebbe anche per tante dichiarazioni che ha reso… come ad esempio quando diceva di tenere molto all’obiettivo delle Olimpiadi di Parigi. C’era il caso doping, ricordate? Avrebbe potuto giocarle in quella situazione? Lo conoscono meglio loro, gli altri tennisti che hanno condiviso i trionfi in Coppa Davis o i noti colleghi che non ci hanno mai parlato una volta?
Che non sia un peccato mortale decidere di non giocare un incontro di Coppa Davis, per uno che è stato determinante per vincerla due volte dopo quasi mezzo secolo di delusioni, mi pare dovrebbe essere concetto accettabile, se non interamente comprensibile, per tutti.
O si pretenderebbe che la giocasse per 10/15 anni di fila, per la maglia azzurra, per la Patria, quando nessuno dei grandi campioni l’ha mai fatto? E quando nessuno l’ha mai preteso? Negli USA, Paese che ha vinto 32 Davis, più di qualunque altra nazione, da decenni ogni anno il capitano chiede ai giocatori di prendersi l’impegno di giocarla per tutte le volte che sia necessario. Chi vuole ci sta, chi non vuole è liberissimo di non giocarla. Il capitano prende i 4 (fino a poco tempo fa) o i 5 (adesso) e su quelli conta.
Se avete letto i commenti dei 4 azzurri che hanno vinto la vecchia Coppa Davis, nel 1976, avrete notato che tutti – proprio tutti – non sembrano per nulla scandalizzati per la decisione di Sinner, anzi, ma tutti sottolineano che i tempi sono cambiati, che una volta la Davis “contava” nell’animo, nei sogni dei giocatori, più degli Slam e oggi – assai meno fascinosa a seguito della sua trasformazione collegata alla crisi di partecipazione in cui la Coppa era piombata dagli anni Novanta in poi – invece anche le ATP Finals e perfino i Masters 1000 con i punti ATP contano di più.
E’ triste che ciò sia accaduto agli occhi e nei sentimenti delle generazioni più anziane, inevitabilmente nostalgiche, ma è un fatto di cui non si può non tener conto. I non addetti ai lavori, come i giornalisti di fama e un po’ tuttologi sopra citati, sono rimasti legati a quel che la Coppa Davis significava prima. Probabilmente anche Sinner non ha idea di come la si sentisse prima. Motivo per cui per lui è più naturale dargli meno importanza. Sottovalutando le reazioni, magari romantiche, di tanti. E perciò forse prendendo una decisione inopportuna.
Ciò detto, siccome Jannik è un ragazzo estremamente intelligente e anche sensibile, io stesso che ho età e ricordi meravigliosi della Davis che fu ho pensato che (salvo che Jannik avesse anticipato in modo definitivo o altamente probabile il suo no già da mesi… come la cautela con cui Binaghi e Volandri si erano espressi in passato riguardo alla sua partecipazione potevano far presumere) sia lui che tutto il team Sinner avrebbero valutato come un sacrificio tutto sommato minore e sopportabile giocare una settimana in più, visto che
a) quest’anno lui aveva giocato meno per via dei tre mesi di sospensione, quindi era più riposato
b) l’Australian Open sarebbe cominciato nel 2026 con una settimana di ritardo e in fondo lui li ha vinti due volte pur avendo giocato e vinto due finali di Davis ben più complicate di come si presenta quella di quest’anno
c) che, appunto, i primi due scontri di Davis quest’anno lo avrebbero visto di fronte ad avversari austriaci e o francesi o belgi oggettivamente poco temibili e impegnativi (anche se lui è abituato a non sottovalutare mai nessuno)
d) che pur essendo stato lui a dare tantissimo alla causa e promozione del tennis italiano era dovuta un po’ di riconoscenza alla Federtennis impegnata, economicamente e organizzativamente, a conquistare la Coppa Davis in Italia per 3 anni e questo sarebbe stato il primo anno con l’Italia sicuramente protagonista… perché in teoria l’Italia potrebbe anche non qualificarsi per le prossime finali, così come è accaduto alla Spagna a Malaga due anni fa.
Per questo motivo, nel video che ho fatto sul canale Ubitennis di YouTube e che è stato trascritto qui su Ubitennis (perché i due pubblici sono diversi) ho parlato di piccolo sacrificio… anche rifacendomi a quando dare la propria disponibilità a giocare la Coppa Davis significava impegnare non una soltanto ma più settimane (da 4 a 6 o 7 considerando trasferte e preparazioni dovute al cambio di continente, clima, superficie) e per incontri tipo Slam di tre set su cinque, giorno dopo giorno. Anche tre di fila se uno doveva giocare singolo e doppio. Non due su tre con giorni intervallati di riposo.
Qualcuno mi ha criticato per quanto ho detto a proposito del “piccolo sacrificio” e del fatto che a non volerlo fare Sinner, per una volta, non dava un buon esempio: “Ma come si permette Scanagatta di valutare come piccolo il sacrificio che invece il clan Sinner considera grande, magari perché al di là delle partite durante gli incontri di Davis ci sono impegni e incombenze di altro tipo e non sempre gradite? Che ne sa Scanagatta?”.
Be’, vero che loro del clan Sinner (e soprattutto Jannik) lo sanno meglio di me. Può essere che, per un tipo metodicamente programmato come Jannik, quello che io continuo a considerare un piccolo sacrificio sulla base di quelli che a suo tempo si potevano considerare grandi sacrifici – quando la Davis era la Davis – a lui, a Vittur, invece questa famigerata settimana bolognese sembri essere “imprescindibile” per il riposo, per la preparazione o… per non so bene cosa.
Ecco… “per non so bene cosa”… solo qui è dove mi sento di dare un po’ ragione a Cazzullo, ma non “perché Sinner ha quasi sempre dimostrato che dell’Italia non gli importa molto più di nulla” e neppure per i motivi… fiscalmonegaschi cui gli ho già risposto una volta e qui ribadisco che Sinner andò a Montecarlo perché lì risiedeva il suo primo coach Riccardo Piatti. Lui era giovanissimo e ancora squattrinato, per prendere poi la residenza nel 2020 quando con i primi soldi guadagnati sul campo potè comprarsi l’appartamento che è condizione necessaria per conquistarla e per frequentare agevolmente sui campi del Country Club tanti dei migliori tennisti del mondo lì residenti come lui (anche tanti altri tennisti italiani di cui non si parla) e con i quali allenarsi. Sinner non usufruisce di alcun servizio nazionale. E guadagna quasi tutti i suoi soldi all’estero, nei vari tornei. Salvo che se gioca a Roma due settimane, a Torino una e… a Bologna ora nessuna!
Mi risulta che in beneficenza Sinner restituisca ben più di quanto riceva da queste saltuarissime presenze, ma non sarà Sinner, che pure ha presentato recentemente la sua fondazione, a menarne vanto. “Jannik all’Italia sta apportando da solo, e gratis, enormi benefici al sistema sportivo nazionale che nemmeno ingenti investimenti pubblici riuscirebbero a conseguire” ci ha scritto un lettore.
Sinner è italiano quando gioca in Davis, certo, ma anche quando gioca gli Slam, i tornei ATP, perfino le esibizioni in Arabia. Non va dimenticato. In che cosa do ragione a Cazzullo e anche a lettori/lettrici che ci hanno scritto?
Sul fatto che probabilmente nel team Sinner la esigenza di una buona e professionale comunicazione non è avvertita. È evidente da come è gestita che si crede che non sia importante. E lo si può constatare quasi in ogni situazione complessa che si sia verificata. Ce ne sono state tante e non sto a elencarle tutte. È quasi sempre stata una comunicazione poco chiara, poco trasparente, contraddittoria per non dire ambigua, intempestiva. Ma tutto il team Sinner, non solo Jannik, è ancora giovane. Capiranno e cresceranno. Come capiranno (anche se non sono più ragazzini) gli illustri colleghi che senza conoscere Sinner né troppo anche il tennis e le sue più recenti dinamiche, ne danno un’immagine imprecisa, inesatta.