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02/12/2010 13:07 CEST - ATP WORLD TOUR FINALS

Il dietro le quinte del Masters ATP

TENNIS -  Il dietro le quinte del Masters. Tutto ciò che non si è potuto vedere in tv dell'ultimo torneo dell'anno. L'esterno e l'interno della 02 Arena, il fascino teatrale degli spalti lasciati al buio, gli spagnoli che esultano e gli inglesi che dormono. La distribuzione di birre Corona in sala stampa e l'ottimo ristorante per i giornalisti. Inoltre, la banalità delle press conference e i "bandidos" al seguito di Djokovic. Nicola Gennai

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Le Atp World Tour Finals 2010 (o, più semplicemente, Masters 2010) sono da pochi giorni passate in archivio, divenendo così semplice materiale da almanacco. Tra qualche anno saranno probabilmente ricordate per la splendida performance di Roger Federer, sia in finale che nel corso dell’intero torneo, e l’epica sfida tra Nadal e Murray sarà menzionata come la più appassionante contesa di questa edizione. Gli altri fatti salienti potremo andare a cercarli nell’ottima sintesi effettuata da Gianluca Comuniello.

Ma il Masters, per chi ha avuto la fortuna di viverlo da dentro, di respirarne i sapori, gli odori (oddio, così sembra una pietanza…), l’atmosfera, è anche molto altro. E’ spettacolo, tifo, cuori che si scaldano, che applaudono, che piangono. E’ luogo di ritrovo per appassionati, intenditori (?) e giornalisti di (quasi) tutto il mondo, che hanno così l’opportunità di scambiarsi nelle lingue più disparate le loro impressioni su ciò che, per due volte al giorno (quattro contando i trascurati doppi), dei signori in calzoncini e maglietta hanno combinato con una racchetta, una pallina e una rete in mezzo a dividerli. E’ questo ed altro. Un assaggio di tutto ciò era contenuto nelle “pillole” più o meno quotidiane che il sottoscritto aveva già somministrato da Londra.
Adesso è tempo di bilanci finali e di raccontare un po’ di quello che non si è potuto vedere in tv dall’Italia.

La O2 Arena. Se non si comincia dalla descrizione della cornice, come si fa a capire cosa vi sta dentro? Iniziamo quindi l’excursus parlando dell’impianto che ospitava le finals. Innanzitutto la comodità per chi arriva con la Tube. La fermata di North Greenwich, posta sulla Jubilee Line, termina in pratica dentro la O2 Arena. Una volta scesi dal convoglio, si salgono un paio di rampe di scale e ci si ritrova davanti all’immenso e futuristico complesso. Di giorno, a dir la verità, non è che faccia questa grande impressione. Ricorda tristemente un enorme casco per la sedia elettrica, visti i curiosi “spunzoni”, simili a cavi della corrente, presenti al di sopra della copertura ovale di colore bianco. Di notte, invece, la musica cambia, visto che il sapiente gioco di luci rende il tutto molto più affascinante. Se volete scattare una foto e fare i fighi coi vostri amici, insomma, meglio aspettare il calare del sole. Una volta dentro, si è accolti da una permanente luce celeste che ci accompagna per tutto il piano terra dell’impianto, dove si trova di tutto di più. Ristorante messicano, ristorante giapponese, l’immancabile Starbucks, un concessionario della Nissan, stand dei prodotti ufficiali, eccetera. Anche solo fermandoci qua, la O2 val bene una messa.

Gli spalti. Per chi è venuto (o per chi ha intenzione di venire nel 2011) a vedere tennis però, la parte saliente sono le tribune che fanno da contorno al “ring” dove si sfidano i giocatori. La prima impressione che si ha è quella di un enorme teatro circolare, visto anche il fatto che le luci vengono abbassate una volta cominciato lo spettacolo, lasciando illuminato solo il campo. L’acustica (e difatti all’interno della 02 sono organizzati svariati concerti) è poi qualcosa di sublime. Niente a che vedere con un torneo all’aperto. Il rumore della pallina che esce dalle corde ha un che di poetico. E’ un rumore che riconcilia. Come se, invece di essere seduti a vedere tennis, si fosse di fronte alla migliore orchestra del mondo. Un rumore che culla. Poi, d’improvviso, un rumore che stordisce. Un repentino cambio di strumenti. Dal violoncello e l’oboe alla chitarra elettrica distorta. E’ arrivato il cambio di campo. Le luci si riaccendono (restando comunque soffuse) e parte una canzone di musica contemporanea. Tra i più gettonati di quest’anno, Joe Cocker. La scelta più azzeccata è invece relativa al match Federer-Soderling. Durante il riscaldamento viene infatti sparata a tutto volume “Let me entertain you” di Robbie Williams. Visto come lo svizzero ha “intrattenuto” tutti gli appassionati nel corso della settimana, al microfono poteva benissimo esserci lui.

Tribuna stampa. Parte integrante degli spalti è la tribuna stampa, posta molto vicino a dove sono posizionate le telecamere che trasmettono le immagini in tv. Curiosi alcuni siparietti di giornalisti stranieri. Partiamo dagli spagnoli, presenti in massa vista la presenza di due loro rappresentanti (uno dei quali si chiama Rafa Nadal). Si vede che sono latini. Che hanno il sangue che bolle nelle vene. La differenza con gli anglosassoni (analizzati tra poco) è palese. Quando il match si accende si accendono pure loro. Tifano. Esultano. Si disperano. Vanno di “Vamos” che è un piacere. Vivono il match insomma. A non vivere (a tratti pare davvero che siano sotto salamoia) sono invece gli anglo/scozzesi, anche quando gioca Murray. Al sottoscritto è capitato di fianco l’illustre Barry Flatman del Sunday Times proprio durante il match di Andy contro Nadal. Un match di fronte al quale chiunque si sarebbe un minimo scomposto. Chiunque. Lui no. Una statua di sale. Tutta la partita a scrivere appunti (minuscoli e illeggibili) sul proprio taccuino. Sempre con la stessa impressione imbronciata. Mai una sillaba, mai un respiro, mai un segno di vita. Anzi sì. Uno c’è stato (e mi ha spaventato). Su una palla break per Murray nel secondo set, il Flatman d’improvviso ha azzardato un “C’mon now!”. Puntualmente il suo compatriota ha perso il punto. Ed è inesorabilmente sceso il silenzio.

La sala stampa. Anche qua i più rumorosi erano gli spagnoli. I più silenziosi gli asiatici. Tanti piccoli Flatman, anche se discretamente più magri.
Da segnalare:
1) Uno svizzero seduto vicino a noi italioti che ha messo le radici sulla propria seggiola, dalla quale si alzava solo a fine giornata. Il resto del tempo lo passava a guardare video su youtube o a parlare su Skype. Seguiva la cronaca da vicino insomma.
2) Giorgio di Palermo. Incredibile gigione. Appena poteva passava tra i banchi degli italiani a sfottere a destra e a manca, col suo inconfondibile accento romano. Frequenti le digressioni calcistiche. Domenica sera però, dopo il 3-1 subito dalla Magica a Palermo, non è stato avvistato.
3) La birra Corona, da quest’anno sponsor Atp. A metà giornata una graziosa signorina di blu vestita passava col suo secchio colmo di cervezas e lime a distribuire birre a chiunque gradisse. A volerlo, c’era da ubriacarsi pesantemente. L’eccezione Ubaldo, il quale all’invito della ragazza a bersi una Corona ha risposto così (testuale): “I’m sorry. I don’t like beer, but I like you”.

Il ristorante della stampa. Per chi si reca a Londra, una delle principali preoccupazioni è sicuramente il cibo, visto che gli inglesi non sono proprio degli assi dal punto di vista culinario. Questo problema non sussisteva però per i media presenti al Masters, visto che il ristorante loro dedicato metteva a disposizione (gratuitamente) un’ottima scelta di pietanze. Ad abbuffarsi sono stati avvistati anche Greg Rusedski e Tim Henman, entrambi in ottima forma. L’unico che pare sia rimasto scontento della scelta dei piatti è stato Ubaldo: mancava infatti la bresaola.

Le conferenze stampa. Spesso banali, ripetitive, uguali a se stesse. Ogni tanto però qualche chicca scattava. Con Roddick ad esempio. Il solito burlone, forse gasato anche dalla presenza della moglie. Un vero mattatore. Dare a un giornalista corpulento e con un maglioncino giallo della “palla da tennis” non è da tutti.
Da segnalare:
1) Le domande di una giapponese. Molto probabilmente imparate a memoria per evitare figure barbine con l’inglese. Ma enunciate in questo modo a una velocità tale da fare invidia ai messaggi radiofonici nei quali si ricordano le condizioni di una promozione. Tanto da costringere anche l’impassibile Nicola Arzani dell’Atp a trattenere le risa a stento.
2) I “bandidos” (def. di Giorgio Spalluto) che accompagnavano Djokovic. Puntualmente, appena Nole faceva il suo ingresso nella saletta delle conferenze, entravano anche un paio di loschi figuri vestiti di nero e muniti di coppola, auricolare e sguardo da duro. Chi fossero non è dato saperlo. Probabilmente dei bodyguard personali del serbo. In ogni caso là dentro ci stavano come il cavolo a merenda.
3) Rafa Nadal sta cominciando a concludere sempre meno volte le sue frasi inglesi con un “no?”. In compenso, in ogni risposta infila almeno un paio di “difficult”, “improve” “try my best” “I’m happy”. Federer fa sempre il proprio compitino. Murray borbotta a capo chino. Sbadigli, sbadigli, sbadigli. Nota di colore, Berdych, che, omone virile in campo, sfoggia una vocina bianca mica da ridere.
 

Nicola Gennai

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker