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10/08/2010 15:49 CEST - Tennis Usa

Ci vorrebbe un Sampras...

L'uscita di Roddick dalla top ten ha segnato un momento storico, in negativo, per il tennis Usa. Tale situazione può cambiare a breve? E quali influenze ha sul tennis mondiale un'America debole? Gianluca Comuniello

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Avvertenza ai lettori: questo è un pezzo politico. Anzi, ideologico. Quindi, potrà trovare molti di voi in disaccordo. Naviganti avvertiti, si parte.
Ci manca il tennis americano. Nella settimana in cui Roddick esce dai top ten, per la prima volta il tennis a stelle e strisce non ha più un suo rappresentante nel gotha del tennis maschile negli ultimi trent'anni. Pensateci, perchè sono tanti trent'anni. Voi dove eravate, trent'anni fa? Io sul triciclo, a sperimentare angoli e traiettore che altro che Valentino Rossi. Bene, in questi trent'anni in cui io sono passato dal triciclo alla bici e poi all'auto e in cui voi avete fatto percorsi analoghi ma anche giustamente diversissimi (niente vieta infatti di passare dall'auto al triciclo, per esempio), c'era sempre un tennista americano nei primi dieci uomini più bravi a fare questa professione. Connors, McEnroe, Arias, Krickstein, Berger, Mayotte, Agassi, Sampras, Chang, Courier, Wheaton(ok, lui forse no, ma dava l'idea di poterci arrivare), Martin, Blake, Roddick... solo alcuni, citati a caso. Ci sono stati momenti in cui facevi fatica a trovare un NON americano, in questo top Club. Da lunedì, invece, a causa della cambiale mal pagata da A-Rod a Washington (gli usciva una finale, ha pensato bene di rimpiazzarla con un miserrimo ottavo), “Born in the Usa” non è più una canzone che ti garantisce l'accesso ai paradisi artificiali del tennis. Il momento è al contempo epocale, statisticamente nefasto e preoccupante in linea generale per le sorti del nostro sport.
Spiego epocale. Non farò quello che fa finta di non citarsi, mi autocito sfacciatamente: nel mio “Volée terra-aria” parlo anche del fatto che in un passaggio critico già da molti anni per il tennis Usa, molti osservatori, anche Usa, non trovavano di meglio che sparare su Roddick con variazioni sul tema “quanto è scarso Roddick, il rovescio non si può guardare”. Tutto ciò mentre il Nebraska kid in realtà teneva in piedi la baracca da solo, o quasi (fugaci apparizioni da non protagonista di Mr James Blake) in pratica dal 2005, anno dell'ultima finale Slam di Andre Agassi. Roddick era ed è il giocatore non talentuoso che, nato dopo l'era d'oro dei Sampras, Agassi, Chang, Courier (27 Slam fra il 1989 e il 2005, numero 1 del mondo occupato a più riprese) si era ritrovato addosso l'ingrato compito di caricarsi sulle spalle il peso di tale tradizione, in assenza di compagni di percorso. Nessuno però lo ringraziava per questo. Anzi: quando si sedeva al tavolo del Grande Romanzo Americano del Tennis, in molti alzavano il sopracciglio, nonostante lui il suo Slam lo abbia vinto e sia stato anche numero 1. Bene, in un 2010 che non è stato neanche così da buttare per Roddick (quarti agli Australian Open, finale e poi vittoria nei due Master 1000 americani di marzo), A-Rod ha avuto la sfortuna di incappare in un periodo in cui le vele si sono sgonfiate. Capita, quando non hai in dono dagli dei niente altro che un gran servizio e il resto ce lo devi mettere di entusiasmo e grinta. Capita, quando vivi con il dubbio che il tuo best “has not yet to come” e che anzi tu abbia perso l'occasione della vita in un pomeriggio londinese di luglio. Capita, quindi, che tu vada al Queen's e invece di vincerlo come eri abituato a fare ti incarti molto prima del fine settimana. Capita, quindi, che a Wimbledon tu sia fatto fuori in un brutto lunedì da un uomo di taipei che si allena rincorrendo polli (manco fosse Rocky Balboa). Capita anche che tu vada a giocare controvoglia ad Atlanta e a Washington e che questi due tornei non portino i punti che erano soliti portare. Capita ed è un tuo diritto, A-Rod. Solo che tutti ora si stupiscono che tu non possa più reggere la baracca. Tutti ne vedono le condizioni di sporcizia e degrado. Sono anni che ti fai in quattro per tenerla pulita da solo. Steve Tignor, su tennis.com, ha parlato della tua stanchezza, di come possa essere il preludio a mollare la presa. Ci auguriamo di no, Andy. Non si vede ancora il tuo ricambio. Non si vede niente, in realtà, tranne un po' di Querrey e un po' di Isner quando conta meno. Quindi abbiamo bisogno di te.
Spiego statisticamente nefasto. L'ultima finale Us Open con un tennista americano protagonista è stata quella del 2006, in cui proprio Roddick, allora allenato da Connors, ha perso da Federer. Se quest'anno nessun tennista americano arriverà all'atto finale, sarà la prima volta dalla seconda metà degli anni Ottanta in cui il tennis a stelle e strisce non riuscirà a piazzare un suo rappresentante in finale per quattro edizioni consecutive. All'epoca passarono cinque anni dalla finale persa nel 1985 da McEnroe contro Lend a quella all american fra Sampras ed Agassi del 1990. Nel mezzo ci furono Lendl-Mecir, due volte Lend-Wilander e un Lendl-Becker. Alla fine di quel periodo di carestia, quindi, nacque la rivalità che ha segnato quasi quindici anni di tennis. Oggi non si vedono non dico due, ma nemmeno un protagonista del genere pronto a prendere le redini dalla stanca spalla roteante di Roddick.
Spiego ora preoccupante in linea generale, e qui ci addentriamo nell'ideologia. Il tennis mondiale ha bisogno di un tennista americano forte. Per questioni di marketing e di media, come già Enrico Riva ha sostenuto nei giorni scorsi: meno tennisti americani forti, meno copertura mediatica, meno soldi e quindi meno tornei nel paese che ne ospita di più nel corso dell'anno. Ma in realtà ci serve anche un tennista americano forte con delle caratteristiche ben precise. Possibilmente, infatti, avremmo bisogno di un tennista americano forte e che sappia giocare in attacco. Altrimenti, al di là delle dichiarazioni diplomatiche di Edberg (sempre stato un beckeriano io) un certo tipo di gioco potrebbe estinguersi. In questo momento la nazione forte nel nostro sport è la Spagna. E i tennisti e i tecnici spagnoli spingono verso un rallentamento delle superfici. Se non si trova un motivo ad un'altra nazione che abbia peso politico per spingere in direzione opposta, presto avremo un Atp che sgonfia palline un po' ovunque. Ed il motivo, alla fine, sono i giocatori. La Germania quando li aveva, i giocatori, velocizzava le superfici. La stessa cosa potrebbero fare gli Usa, se solo avessero i giocatori. Altrimenti, se si sono spaventati a Wimbledon, quando gli spagnoli hanno fatto la voce grossa, figurarsi altrove. Quindi siamo nell'assurda situazione in cui coloro che sono i principali responsabili di questa era di “corri e tira” basata sul power baseline (vale a dire gli americani), sono anche gli unici che potrebbero avere un minimo di forza per far cambiare direzione al gioco. Lo so, ci sono molti estimatori del gioco che ora va per la maggiore e rispetto la loro opinione e i loro gusti. Ma per gli altri, quelli che in questo gioco non si ritrovano, quelli che guardano preoccupati lo scorrere del tempo sul bioritmo di Federer, quelli che “ma Haas come sta? Allora rientra?”, quelli che si rendono tristemente conto che Gasquet è un postumo in vita, che vive molto “scajolamente” a sua insaputa (citazione di una fulminante battuta di Enzo Cherici), quelli che Dimitrov quando arriva (io dico che arriva, ci vuole solo un po' di pazienza)... per tutti questi, c'è una speranza?
La risposta è non lo so. Dovrebbe succedere un Sampras, appunto.

Gianluca Comuniello

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25 Luglio 1999

Patrick Rafter inizia la sua prima e unica settimana da numero 1 delle classifiche ATP, superando Andre Agassi. Il suo è stato il numero 1 più breve di tutta la storia del tennis maschile e femminile.

 

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker