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15/03/2011 16:05 CEST - Approfondimenti

Hewitt o Kolya: chi di nuovo al top?

TENNIS- Due giocatori coetanei con storie diverse, accomunati però da una crisi di risultati preoccupante. Lleyton Hewitt e Nikolay Davydenko sono usciti dal tennis di vertice con modalità differenti e la carta di identità non più verdissima gioca indubbiamente a loro sfavore: ce la faranno a riemergere? Ad Indian Wells sono apparsi spenti , le nubi sul loro futuro tennistico si addensano. Claudio Maglieri

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Uno, ad inizio 2011, dichiarava bellicoso “posso ancora vincere un torneo dello Slam”. L’altro, solitamente più taciturno e riservato, stava recuperando da un 2010 tormentato dai guai fisici e al torneo di Doha si arrampicava fino alla finale giocando a tratti in modo superlativo. La classifica non rispecchiava il loro reale valore e pareva imminente un loro ritorno nelle prime posizioni del ranking, ma a distanza di qualche mese la situazione è addirittura peggiorata. Cosa succede a Lleyton Hewitt e Nikolay Davydenko, due dei tennisti più rappresentativi del decennio? Entrambi sono sprofondati in classifica ma soprattutto stanno facendo un’enorme fatica a recuperare il terreno perduto. Ad Indian Wells sono stati battuti ancor prima dell’inizio della seconda settimana e, onestamente, non pare esserci davanti a loro un futuro radioso. Entrambi classe 1981, con due carriere però differenti, Hewitt e Davydenko sembrano usciti dal tennis di vertice e, con il passare del tempo, è sempre più difficile ipotizzare un loro ritorno ad alti livelli. Per capire i perché di questi crolli è tuttavia necessario analizzarli singolarmente.

Di Lleyton Hewitt sappiamo praticamente tutto, inutile ricapitolare i punti salienti della sua gloriosa carriera. Vincitore di due prove dello Slam ed ex numero 1 al mondo, Lleyton non è certamente uno dei tennisti più simpatici e con molta probabilità nessuno si starà strappando i capelli a causa del suo declino. Fa però tristezza vedere un combattente come lui annaspare praticamente ovunque: ad Indian Wells, giusto per rimanere in tema, si è fatto sbriciolare al primo turno da Yen Hsun Lu, certamente un buon giocatore che però ai tempi d’oro Hewitt si sarebbe divorato. L’australiano ha perso 6-2 6-3 in nemmeno un’ora e mezza, non dando mai l’impressione di poter ribaltare la partita: inspiegabile per un guerriero come lui. I due si erano già affrontati in questo 2011 a Memphis e <Rusty> si era aggiudicato l’incontro in due set, molti di voi ricorderanno poi il controverso match dello scorso anno a Cincinnati, quando il giudice di sedia interpretò a modo suo la regola del Medical Time Out e di fatto consegnò il successo a Hewitt. Il punto non è però questo: perdere da Lu ci può anche stare, il tennis non è una scienza esatta. Lleyton, da ormai troppo tempo, si diverte a sparare proclami roboanti senza però dare conferme sul campo. Prima degli Open d’Australia disse di credere ancora in un successo Slam ma nessuno gli diede corda: come si fa a dare retta ad un giocatore che, ormai dal 2005, non sa più competere ad alti livelli? Paradossalmente, Hewitt raggiunse proprio ad Indian Wells l’ultimo grande acuto in carriera: in semifinale vinse eroicamente contro Roddick in tre set, ma in finale Federer ne fece un sol boccone. Da quel momento, il nulla: se escludiamo qualche sporadica fiammata (Queen’s 2006, Cincinnati 2007, Wimbledon 2009 e Halle 2010) Lleyton non si è più fatto vedere al tavolo degli attori protagonisti. La top 10 è ormai un lontano ricordo, nei tornei che contano raccoglie nella maggior parte dei casi figure barbine: lotta ancora, intendiamoci, ma mentre una volta sapeva vincere ora matura spesso un ko (basti pensare al match di Melbourne contro Nalbandian). I motivi di questo suo crollo sono molteplici: Hewitt, grande contrattaccante, non ha mai giocato un tennis esplosivo, la sua forza risiede nella mostruosa rapidità dei piedi, la coordinazione, la resistenza fisica, la forza mentale, la capacità di resistere alle cannonate avversarie. Andando però a scavare in profondità, la tecnica è quella che è: con il passare degli anni sono esplosi tennisti più giovani, con più soluzioni, mentre lui non ha saputo evolversi. Il fisico, inoltre, ha iniziato a mostrare cedimenti: gli enormi sforzi sul campo hanno logorato l’aussie ed ora Lleyton è costretto troppo frequentemente a fermarsi per infortuni vari. Problemi muscolari come se piovesse, grande sofferenza alle anche (operate di recente). Negli anni d’oro Hewitt entrava in campo assatanato, non mollava l’osso nemmeno se gli sparavano dalle tribune, correva come un dannato e sbagliava poco: dimenticatevi quel giocatore, oggi Hewitt ci prova ma ormai non fa più paura come allora. Certo, lo smalto del campione c’è ancora e sporadicamente si vede nuovamente qualche sprazzo dello Hewitt che fu, ma è troppo poco: non solo non è più in grado di vincere uno Slam (lieto di essere smentito), ma fa anche fatica ad imporsi nei tornei 250. Peccato: lo scorso anno, ad Halle, Lleyton vinse il titolo battendo Federer in finale e diede l’impressione di avere ancora qualche cartuccia da sparare. A distanza di mesi, invece, quel successo (il 28esimo in carriera) assume sempre più i contorni del canto del cigno: Hewitt ha compiuto da poco trent’anni, è sposato con una bella donna ed è padre di tre figli, forse non ci mette più l’anima come i primi anni: per farla breve, è davvero impensabile rivederlo ai vertici.

La situazione di Nikolay Davydenko sembra invece meno drammatica. Il giocatore russo ha perso anche lui prematuramente ad Indian Wells (dopo aver sconfitto il nostro Fognini al primo round) ma le modalità di questo declino hanno connotati enormemente diversi. Davydenko ha avuto un’ascesa meno precoce di Hewitt, è esploso nel 2005 e da allora ha sempre occupato un posto fisso nella top 10. Giocatore poco considerato da tifosi, sponsor e giornalisti, Davydenko si è comunque levato delle grandi soddisfazioni ed ha vinto diversi tornei, tra cui le ATP World Tour Finals nel 2009. Il russo, nei giorni migliori, gioca un tennis velocissimo, capace di mettere in difficoltà anche i big: domandatelo a Rafael Nadal. Avesse avuto una tenuta mentale più consistente, Davydenko avrebbe certamente vinto di più, ma con i se ed i ma non si va da nessuna parte. I motivi del crollo del russo in classifica sono abbastanza evidenti: il polso di Davydenko, già sofferente in passato, ha fatto crac nel 2010 e da li è iniziato il calvario. Mesi di assenza lontano dai campi, fiducia in diminuzione, sconfitte inattese che certamente hanno minato le certezze di <Kolya>. Un circolo vizioso che lo ha travolto: a Doha Davydenko si è rimesso a giocare come sa ed ha raggiunto la finale (dopo aver dato un nuovo dispiacere a Nadal) ma dopo quel torneo, solo tanto buio. Il russo è inciampato troppo spesso, palesando una condizione psicofisica piuttosto scadente. Dopo anni di vertice, non è per nulla facile presentarsi ai tornei senza avere più il privilegio della testa di serie: a livello mentale è complicato ripartire dal basso alla soglia dei trent’anni. Davydenko non ha figli, è sposato con una donna che lo segue ovunque, il suo tennis è ancora in grado di giocare brutti scherzi a chiunque, la voglia di allenarsi non pare diminuita, per cui non è improbabile una sua risalita: al master 1000 californiano ha perso al secondo turno contro Stanislas Wawrinka, ma lo ha fatto dopo due ore e quaranta di lotta, sprecando l’opportunità di vincere la partita in due set. A differenza di Hewitt (che appare ormai avviato al termine della carriera), Davydenko può ancora dare qualcosa al tennis: i prossimi tornei ci daranno qualche risposta in più.

 

Claudio Maglieri

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