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21/03/2012 23:17 CEST - SARANNO FAMOSI

La meglio gioventù - Capitolo 3

TENNIS - Ultima parte dedicata alle migliori promesse WTA: dal fenomeno australiano Barty ad una panoramica sulle giovani italiane, passando per una coppia di possibili eredi di Henin e Clijsters. Samuele Delpozzi

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Apriamo l’ultimo capitolo trasferendoci agli antipodi, per l’esattezza in Australia, per parlare di Ashleigh Barty. Originaria del Queensland – come Laver, Rafter e Sam Stosur – la piccola Ash è la più giovane tra le tenniste presentate nel corso delle 3 puntate: il prossimo 24 aprile compirà 16 anni, appena 8 giorni dopo Taylor Townsend.
La sua apparizione nel firmamento tennistico è stata un’autentica manna dal cielo per l’Australia, nazione dal passato gloriosissimo ma che da anni aveva visto inaridirsi le falde di grandi campioni: fatta eccezione per l’exploit della Stosur all’ultimo US Open, l’ultima “aussie” capace di trionfare in uno Slam era stata Evonne Goolagong, a Wimbledon 1980 dopo lo stop per maternità. E proprio con la signora Cawley la Barty ha parecchio in comune, a partire dal sangue aborigeno che scorre nelle vene di entrambe, ma anche quel tennis “facile”, completo a tutto campo e ricco d’inventiva che le contraddistingue.
Certo, nel caso di Ashleigh è necessario procedere con la massima cautela: i grandi traguardi sono ancora tutti da conquistare, attraverso una crescita graduale e senza il fardello di eccessive pressioni, che potrebbero rivelarsi nocive. Il suo talento però non è passato inosservato: David Taylor, attuale coach della Stosur, ne ha parlato addirittura come di una versione migliorata di Martina Hingis, mentre la Goolagong – entusiasta delle potenzialità della sua giovane erede – ha ammesso di essere tornata a seguire il tennis grazie ad Ash.
I risultati tra le junior sono stati fin qui eccellenti, come dimostra il secondo posto in classifica mondiale conquistato al termine della scorsa stagione, preceduta solamente dalla Khromacheva. E proprio contro la russa – di un anno più grande, e contro la quale potrebbe nascere una grande rivalità anche ai massimi livelli – la tennista di Ipswich si è laureata campionessa a Wimbledon, al termine di una finale trapunta di raffinate soluzioni a tutto campo. Un fatto non certo usuale per ragazzine di 15-16 anni.
Tecnicamente la Barty non ha reali punti deboli: il servizio è preciso e discretamente penetrante, nonostante una statura ancora in divenire (1.64), mentre i fondamentali scorrono via con fluidità e grande decontrazione. Leggermente migliore il diritto, ma di rovescio – bimane nell’esecuzione piatta – padroneggia già con sicurezza lo slice, preziosa variante sull’erba. Inoltre possiede una dote rara, tipica dei predestinati: la capacità di intuire in anticipo le mosse dell’avversaria, ambito in cui la Hingis era maestra indiscussa.
Attualmente allenata da Jim Joyce e dall’ex pro Jason Stoltenberg, la giovane Ash è ancora un peso troppo leggero per competere con le top-100, come dimostrano le nette sconfitte di inizio anno contro King, Mattek e Tatishvili. Scendendo leggermente di livello, il suo tennis è invece già molto efficace: ai primi di gennaio ha conquistato sul campo la wild card per l’Australian Open senior, battendo nei play-off interni delle solide mestieranti come Arina Rodionova ed Olivia Rogowska. E negli ITF di Sydney e Mildura, immediatamente successivi al primo Slam stagionale, si è ripetuta sulle connazionali con punteggi ancora più netti, andando a conquistare i suoi primi titoli da professionista.
Non resteranno gli ultimi, c’è da giurarci.


Dall’Oceania torniamo in Europa, per l’esattezza in una delle nazioni-traino degli anni 2000: il Belgio. Questa piccola fetta di terra affacciata sul Mare del Nord, poco più grande del nostro Piemonte, ha infatti prodotto due delle più grandi fuoriclasse dell’ultimo decennio, Justine Henin e Kim Clijsters, capaci di portare a casa la bellezza di 11 titoli dello Slam in singolare ed una marea di altri trofei.
Adesso che la loro epopea volge al termine – Justine già ritirata, Kim la seguirà a fine anno – a Bruxelles sono alla ricerca di nuovi talenti per scacciare lo spettro della recessione tennistica. Brava ma inadeguata a certi livelli la Wickmayer, i belgi ci riprovano con una coppia di giovani fiamminghe, An-Sophie Mestach ed Alison Van Uytvanck.
Quasi gemelle all’anagrafe – nate rispettivamente il 7 ed il 26 marzo 1994 – fino ad ora le due diciottenni hanno camminato su strade parallele ma distanti. La Mestach, originaria di Gent, è sempre stata seguita e coccolata dalla sua federazione, che già l’ha convocata più volte in Fed Cup nella persona di Sabine Appelmans, la capitana. Il percorso di maturazione è proseguito senza intoppi fino a gennaio 2011, quando ha conquistato la corona dell’Australian Open junior (in singolo e doppio) e relativo numero 1 mondiale. Nello stesso giorno il suo idolo Kim Clijsters vinceva la finale delle grandi su Na Li, con An-Sophie in tribuna a festeggiarla: quasi un ideale passaggio di consegne, come nel copione d’un film.
Ma poiché la vita non è il cinematografo, ed il lieto fine non è selezionabile a piacimento, capita spesso che non tutto vada secondo i piani: dapprima l’impatto con il tennis professionistico, non del tutto indolore, quindi a maggio un brutto ko al polso durante i Campionati Belgi Giovanili, l’Astrid Bowl di Charleroi.
Rientrata in Australia dopo uno stop di oltre 6 mesi, la Mestach è stata eliminata al primo turno di qualificazioni a Melbourne dalla tedesca Sarah Gronert, più nota per le antiche e pruriginose vicende genital-tennistiche che per i risultati sul campo. E qualche giorno più tardi, tornata a cimentarsi nel circuito junior, il polso ha fatto nuovamente crac, costringendola al forfait contro l’americana Hardebeck.
Inattiva da allora, An-Sophie ha recentemente festeggiato la maggiore età ancora ferma ai box, con la classifica che langue tristemente oltre la 600° posizione. Per il prosieguo di 2012 le auguriamo un po’ di salute, e che possa dimostrare quanto vale anche tra le grandi.

Se la parabola della Mestach – infortuni a parte – è stata accademica, la Van Uytvanck ha invece seguito un iter più personale ed irregolare: più Henin che Clijsters, insomma.
Simpaticamente autogestita, la Pippi Calzelunghe di Vilvoorde – chioma ramata, lentiggini e carnagione lattea come la sua equivalente fiabesca – non ha mai dato molto peso alle gare giovanili, prendendo parte ad appena 3 tornei dello Slam in tutta la carriera e privilegiando fin da subito l’esperienza negli ITF. Questo mix ha portato ad un inizio di 2011 a dir poco esplosivo: 30 vittorie nei primi 30 incontri disputati, con i titoli junior a Prerov, Siauliai ed Esch-sur-Alzette e le prime vittorie da “pro” a Vale do Lobo e Digione, sempre partendo dalle qualificazioni.
Simili risultati non potevano passare inosservati neppure in federazione – che fino ad allora l’aveva, se non proprio snobbata, quantomeno trattata da outsider – e la Appelmans ha deciso di premiarla con la convocazione in Fed Cup contro le ceche. Solo dopo il forfait della Clijsters, però, mentre la Mestach era già dentro di default…
Alison non ha comunque dato impressione di curarsi di eventuali disparità di trattamento, ed ha proseguito alla sua maniera: vincendo. Dopo la finale di Tessenderlo ceduta ad Anna-Lena Groenefeld ed il terzo 10mila dollari annesso ad Edimburgo, ha debuttato anche a livello WTA, nella tappa casalinga di Bruxelles. Sui campi della capitale, di colore simile alla capigliatura, la rossa ha brillantemente superato 3 turni di qualificazione, venendo poi sorteggiata contro Patty Schnyder: ex top-10, giocatrice espertissima, fine della favola? Neanche per sogno! Sconfitta clamorosamente anche l’elvetica, è servita tutta la ferrea determinazione della corregionale Wickmayer per fermarne la corsa (7-6 6-4), non prima di aver addirittura servito per il primo set, sul 5-4.
Lo scorso autunno è arrivato il poker di ITF in quel di Sunderland, mentre a gennaio 2012 ha calato la cinquina a Glasgow, subito bissata da un’altra finale a Kaarst: ormai a ridosso delle prime 250, è arrivato il momento di abbandonare i 10mila dollari – nei quali fa il bello ed il cattivo tempo – per cimentarsi costantemente a livelli più alti, i 25 e 50mila, magari alternati ad altre qualificazioni nelle tappe WTA.
Tecnicamente la Van Uytvanck è molto ben impostata: il suo gioco fa perno sul servizio, fluido e naturale, doppiato da fondamentali estremamente piatti, adatti ai campi veloci. Rispetto alla Mestach – molto dinamica, e con colpi leggermente più arrotati, specie il diritto – ha un’apparenza sorniona, forse accentuata dall’andatura dinoccolata… d’altronde lei stessa, sul profilo ITF, ha indicato come unico interesse il relax!
Meno rilassate saranno invece le avversarie in campo, se continuerà a progredire con questa rapidità.


In chiusura, uno sguardo alla situazione in casa nostra. Nessuna bambina prodigio di 15 o 16 anni all’orizzonte, i migliori prospetti azzurri sono un gruppo di ventenni… forse a conferma che gli italiani maturano sempre un po’ più tardi.
Camila Giorgi è la meglio piazzata, forte di un ranking attorno al 150 e di un’esperienza già discreta nel tennis professionistico. La ragazza di Macerata – origini argentine da parte di padre ed attuale residenza negli States, dopo essere transitata anche dalla Francia – ha infatti virtualmente bypassato l’attività junior, interrotta definitivamente a 16 anni con poco più di 20 incontri alle spalle, per provare subito il grande salto.
Nonostante l’azzardo di papà Sergio, i risultati non hanno tardato ad arrivare: in possesso di classifica WTA fin dal 2006, Camila ha ottenuto le prime importanti conferme tre anni più tardi, quando si è imposta negli ITF di Katowice e Toronto. Tra gli scalpi di stagione anche le coetanee Hercog e Pervak, ottimamente piazzate nelle odierne classifiche.
Trascorso un 2010 di assestamento, con pochi match disputati, la Giorgi è tornata a sprintare negli ultimi 12 mesi: lo scorso maggio ha posto il suo quarto sigillo in quel di Carson, robusto 50mila dollari californiano, e quindi debuttato nel main draw di uno Slam a Wimbledon, avendo previamente superato tre turni di qualificazione. Peccato solo per il successivo sorteggio contro l’erbivora specializzata Pironkova, una che dorme per gran parte della stagione salvo poi fare sfracelli sui prati londinesi.
Il 2012 le ha invece regalato il primo match vittorioso a livello WTA, quando a Memphis – di nuovo entrata dalla porticina secondaria – ha sgambettato la numero 1 del seeding, Nadiona Petrova. Contro la russa ha sfoggiato il meglio del suo tennis, costruito attorno a fondamentali compatti e sfreccianti, sempre ad alto rischio, ed un servizio bifronte: potente ed efficace la prima palla, ugualmente potente (e fin troppo spericolata) la seconda, fonte di non pochi doppi errori. Intanto, la vittoria di questa settimana a Clearwater sull’ex top-15 Aravane Rezai – seppur ancora in crisi profonda dopo la rottura con il padre – potrebbe essere il propellente per il tanto sospirato ingresso tra le 100.

Di nemmeno due mesi più giovane è l’altra grande speranza italica, anche lei dal profumo internazionale: Nastassja Burnett, romana de Roma, porta il cognome della madre polacca, preferito a quello paterno, che l’avrebbe registrata come signorina Silvani.
Echi fantozziani a parte, in campo questa ventenne dimostra ben pochi impacci: dotata di un ottimo fisico, scaglia con vigoria diritti e rovesci bimani, oltre ad un servizio già discreto. Le difficoltà si annidano semmai negli spostamenti, ancora non all’altezza, ma “Nasty” ha tutte le doti della tennista moderna, buona per ogni terreno: speriamo abbia più fortuna di Karin Knapp, prototipo della bombardiera tricolore, purtroppo azzoppata da un cuore ballerino.
Dai trascorsi giovanili, illuminati da un paio di semifinali al Trofeo Bonfiglio, la ragazza del TC Parioli ha lasciato nel 2011 la prima importante traccia tra le professioniste: una stagione esaltante, un free climbing di oltre 500 posizioni in classifica fino all’attuale 211, frutto di 4 titoli ITF (Amiens, Monteroni, Madrid ed il 50mila di Olomouc, partita dalle qualificazioni). Il difficile viene ora, confermarsi e possibilmente progredire: il primo scorcio di 2012, bazzicato a livelli più alti, le ha regalato una sola vittoria in 5 match disputati.

Gemella tennistica della Burnett è un’altra classe 1992, Martina Caregaro. Allieva di Silvia Farina e Francesco Elia, la valdostana ha caratteristiche tecniche differenti dalle connazionali presentate poc’anzi: meno esplosiva e più raffinata, dotata di un repertorio già piuttosto completo, deve però irrobustire il fisico – slanciato ma molto esile – per competere con la velocità di palla richiesta dal tennis contemporaneo.
Protagonista di un salto in lungo di oltre 400 posti nel 2010 – atterrata al numero 384 grazie alle prime vittorie da professionista, a Ciampino e Pomezia – la Caregaro ha vissuto una fase di stasi nella scorsa stagione, impegnata con gli esami di maturità ed impossibilitata a trovare la giusta continuità. È arrivato comunque il terzo sigillo ITF a Dubrovnik, cui hanno fatto seguito altri buoni piazzamenti nei 10mila dollari del 2012 – finale a La Marsa, persa dall’altra azzurrina Grymalska, ed un paio di quarti ad Antalya.
Tuttavia, per fare il successivo salto di qualità, sarà necessario cimentarsi in tabelloni più impegnativi, i 25k e magari anche qualche 50, come ha brillantemente dimostrato la Burnett lo scorso anno.


Siamo arrivati alla conclusione di questo trittico dedicato alle giovani promesse, e nel congedarci segnaliamo qualche altro nome da tenere d’occhio, non sviluppato per questioni di tempo e spazio: la portoricana Monica Puig, diciottenne già intorno al numero 200, la tunisina Ons Jabeur, l’ucraina Elina Svitolina, la croata Ajla Tomljanovic, le statunitensi Grace Min e Jessica Pegula e la personale favorita di chi scrive, la montenegrina Danka Kovinic.

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