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Astenersi semifinali

Doveva essere l'American Party, ma le due semifinali hanno tradito le aspettative. Non è la prima volta che accade quest'anno. Anzi

Last updated: 09/09/2017 10:19
By Alessandro Stella Published 08/09/2017
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6 Min Read

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C’era tutt’altra aspettativa, ma le semifinali femminili dell’US Open 2017 non si sono rivelate all’altezza. L’American Party è stata una festa piuttosto scialba, di quelle in cui rimani ore interminabili a fissare il ghiaccio nel bicchiere o lo fai roteare pigramente in attesa che succeda qualcosa. Non il climax contagioso dell’Hollywood Party di Peter Sellers, piuttosto la grigia compostezza di una festa aziendale organizzata per rinfocolare i rapporti tra colleghi. A suonare si alternano due complessini: nel primo sembra proprio non regni l’armonia, perché per circa un’ora prima la chitarrista e poi la cantante viaggiano per proprio conto, senza curarsi dell’armonia del complesso. Si salva nella parte finale, emoziona un po’ con due cover di Aretha Franklin, poi si congeda. Il secondo è un duo strumentale che proprio non conquista. Il sax è trascinante ma il pianoforte no, pigro, disperde le sue note nella stanza.

Così ieri Stephens-Williams e Keys-Vandeweghe. La semifinale vinta da Stephens è il complesso che proprio non vuole saperne di comportarsi da complesso. Nel primo set Venus è disastrosa, commette 17 errori non forzati e non becca il campo praticamente mai. Nel secondo la stessa Venus decide che è arrivato il momento di giocare a tennis e praticamente non la fa vedere mai a Stephens, che va a sedersi per il break che anticipa il parziale decisivo senza aver fatto un game. La sensazione è che se Venus gioca da par suo non ci sia partita, ma è appunto una sensazione perché le due finora non ci hanno ancora fatto la grazia di giocare entrambe a tennis nello stesso momento. L’altalena continua anche nel terzo set, Venus paga il parziale giocato a tutta e torna imprecisa. Dopo uno scambio estenuante vinto da Stephens la semifinale finalmente comincia. Sloane bene, Venus solo benino. La parte finale regala qualche sparuta emozione e alla fine vince chi ha più gamba. Ovvero la più giovane.

Keys-Vandeweghe invece non è diventata una partita neanche nelle battute finali. È stato un monologo di Keys che ha confermato in pieno la narrazione delle due recenti vittorie di Stanford e Cincinnati. Vandeweghe ha scoperto definitivamente di non avere armi quando l’avversaria tira come e più forte di lei, si muove meglio di lei ed è in condizione fisica almeno pari alla sua. Praticamente per Coco è una gara a evitare il bagel. In tutto vince 12 punti sul servizio avversario (nel primo set solo 3) e arriva a 40 appena una sola volta. Per il resto assiste impotente all’azione di Keys, resa forse ancora più efficace dalla prospettiva di affrontare in finale un’esordiente come Stephens. Forte e in grande spolvero, ma pur sempre un’esordiente.

A ben pensarci le altre sei semifinali Slam di questa stagione non avevano offerto spettacoli tanto più edificanti. Era stata molto bella per un set la partita che ha riportato Venus in una finale Slam, a Melbourne, contro Vandeweghe. Poi la maggiore di casa Williams ha preso in mano le redini dell’incontro e la contesa s’è affievolita. È stata invece un’esecuzione quella di Serena ai danni di Lucic-Baroni, così come le vittorie a Wimbledon di Muguruza su Rybarikova e Venus su Konta. Non ci si lasci ingannare dalle vittorie in tre set di Ostapenko (vs Bacsinszky) e Halep (vs Pliskova) sul rosso di Parigi. Anche quelle partite costellate di errori, molto più dominate dai nervi che dallo spettacolo.

Né le due finali perse da Venus in Australia e in Gran Bretagna sono riuscite a fare meglio. A Melbourne si era trattato della solita noiosa contesa di famiglia, pathos neanche a cercarlo col lanternino, esito praticamente mai in discussione. Serena aveva fatto 23 in carrozza, infradito e occhiali da sole. A Londra era bastato un grande set di Muguruza per far crollare la statunitense, che si congedava dai prati del centrale subendo un poco decoroso 6-0.

Meglio la finale del Roland Garros se non altro per la voglia di vedere una nuova vincitrice Slam, che però era stata la meno attesa delle due. Proprio l’ennesima occasione fallita da Halep – che avrebbe in un sol colpo vinto il primo Major e raggiunto la vetta del ranking – ha fatto da contorno ai festeggiamenti un po’ goffi ma molto genuini della belvetta Ostapenko, nuova peste in terra francese (dopo l’epidemia di quasi 300 anni prima a Marsiglia).

Astenersi semifinali insomma, anche se con le finali non siamo messi troppo meglio. Il derby di sabato toglierà la “verginità Slam” a un’altra tennista e forse procurerà un po’ di nostalgia a noi italotennisti, che due anni fa eravamo a festeggiare già prima che la partita iniziasse perché sicuri di avere una vincitrice italiana. Sarà lo stesso per gli statunitensi, che potranno anche respirare una boccata d’aria fresca. C’è vita dopo le sorelle Williams, o almeno così sembra. Speriamo ci sia anche lo spettacolo.


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TAGGED:US Open 2017
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