Djokovic abdica. Medvedev sul trono (Giammò). Djokovic k.o. Medvedev è il 27° n. 1 della storia (Crivelli). Djokovic passa il testimone (Azzolini)

Rassegna stampa

Djokovic abdica. Medvedev sul trono (Giammò). Djokovic k.o. Medvedev è il 27° n. 1 della storia (Crivelli). Djokovic passa il testimone (Azzolini)

La rassegna stampa di venerdì 25 febbraio 2022

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Djokovic abdica. Medvedev sul trono (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Se sorteggi e fortuna saranno dalla sua parte, quando tra qualche anno deciderà di appendere la racchetta al chiodo, Jiri Vesely, attuale numero 123 del mondo, potrà dire di essere stato uno dei pochi giocatori a non aver mai perso contro Novak Djokovic. Se invece futuro e tabelloni dovessero riproporre ancora il confronto tra i due fino a far pendere dalla parte del serbo il bilancio finale degli scontri diretti, Vesely manterrà comunque intatta la sua favola da raccontare rievocando quel giorno in cui, dopo 86 settimane consecutive (e 361 in totale), contribuì alla detronizzazione del serbo dalla vetta del ranking ATP. La sconfitta patita da Nole ai quarti di finale dell’open di Dubai è stata solo l’ultimo atto di un copione la cui stesura era iniziata un mese fa a Melbourne – con l’esclusione del serbo dagli Australian Open – consapevoli che il finale fosse più una questione di tempo che di risultati. A Daniil Medvedev sarebbe infatti bastato vincere l’open di Acapulco per diventare comunque il ventisettesimo numero 1 nella storia del tennis moderno, nonché primo giocatore dal 2004 ad intestarsi quella posizione al di fuori dei big four (Djokovic, Federer, Nadal, Murray): la vittoria di mercoledì agli ottavi contro Andujar è invece stata sufficiente al russo per operare il sorpasso tanto atteso. Curioso che la sconfitta di Djokovic sia arrivata proprio nel giorno in cui l’Equipe ha pubblicato una sua fluviale intervista in cui, parlando della sua posizione sulla campagna vaccinale, il serbo ha dichiarato di non sapere se «questa decisione rimarrà la stessa per il resto della mia vita» e che «le cose cambiano ogni giorno». C’è da augurarsi per lui che cambino in fretta, perché se una cosa ha dimostrato la sua battuta d’arresto di Dubai, è che competere occasionalmente non è garanzia di successo, neanche se si è il numero 1 del mondo e si è costretti a giocare in tornei dall’appeal minore. «Congratulazioni a Medvedev – ha detto dopo il ko – per quanto mi riguarda spero di tornare presto in campo». Fuori anche Jannick Sinner, battuto nei quarti da Hubert Hurkacz, vincitore in due set come già accaduto l’anno scorso nella finale del Master 1000 di Miami. Scomodo avversario, il numero 11 del mondo, per un Sinner apparso poco robusto sulla seconda di servizio e tanto generoso nel concedere ben otto palle break quanto incapace di costruirsene alcuna. E troppo breve è ancora la partnership con il suo nuovo coach Simone Vagnozzi per valutare appieno la bontà di eventuali nuovi innesti da lui apportati nel suo gioco, anche se in embrione qualcosa si è riuscito ugualmente a cogliere, come la sua minor riluttanza a scendere a rete per provare a chiudere anzitempo lo scambio.

Djokovic k.o. Medvedev è il 27° n. 1 della storia (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Era il 1′ febbraio 2004 e Federer prendeva il posto di Andy Roddick in cima alla classifica Atp. Un bambino che è nato quel giorno, perciò, è diventato maggiorenne senza vedere nessun altro che Roger, Nadal, Djokovic e Murray al numero uno del tennis mondiale. Fino a ieri. Quando l’era dei Fab Four si è definitivamente chiusa con l’approdo al vertice della classifica (da lunedì) del russo Daniil Medvedev, che diventa il 27′ giocatore a riuscire nell’impresa dal 23 agosto 1973, giorno dell’introduzione del ranking computerizzato, e il terzo del suo paese dopo Kafelnikov e Safin. L’orso moscovita, che avrebbe raggiunto il traguardo a prescindere se si fosse aggiudicato il torneo di Acapulco, può festeggiare in anticipo grazie alla sconfitta di Djokovic a Dubai. Sorprendente per il blasone dell’avversario, il ceco Vesely n. 123 del mondo con un passato (2015) da 35 (e peraltro aveva già battuto Nole a Montecarlo nel 2016) , non per il modo in cui è maturata, visto che l’ineffabile Jiri con il suo gioco essenziale servizio-dritto (o volée) ha compilato il match perfetto costringendo un Djokovic comunque in ottima condizione atletica a difendersi strenuamente fin quasi allo sfinimento, pagato con tre errori fatali nel tiebreak del secondo set. Novak, approdato al n.1 per la prima volta il 4 luglio 2011 e poi capace di riprendersi lo scettro altre 4 volte, era al comando dal 3 febbraio 2020 e le sue 361 settimane al vertice rappresentano un record. Subito dopo il match, il re detronizzato si è complimentato con il nuovo sovrano. «Congratulazioni. Medvedev lo merita più di chiunque altro, è un grande giocatore, ha scalato la classifica e merita di trovarsi in questa posizione». Ovviamente il duello è appena iniziato, ma sulla sfida pendono le incertezze sui prossimi appuntamenti del serbo, che continua a non essere vaccinato e dunque deve saltare i due Masters 1000 americani di marzo. «Il mio obiettivo è di continuare a giocare a tennis. Questo è l’obiettivo finale. Finché ne avrò davvero voglia, finché il mio corpo me lo permetterà, finché anche le circostanze della mia vita mi permetteranno di gareggiare, continuerò a farlo. L’età non è ancora un fattore. Spero di poter tornare in campo presto».

Djokovic passa il testimone (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Tra le molte doti che è giusto riconoscere a Novak Djokovic, da ieri ex numero uno del tennis, c’è quella di essere uno dei migliori interpreti del dramma sportivo. Un vero “attore de paura”. Un protagonista a tutto tondo della sciagura innalzata ad accadimento rovinoso. Nonostante la sua inclinazione per i brevi intrattenimenti fondati sulle imitazioni dei colleghi, il nostro brilla di luce riflessa quando le cose si mettono per storto. Ne avevamo avuto un esempio dopo l’inattesa sconfitta contro Sam Querrey che lo strappò via da un’edizione dei Championships già pronta a consegnarsi nelle sue mani. Era il 2016, l’anno della prima vittoria al Roland Garros, eppure tutto andò a rotoli e occorsero 24 mesi per tonare alla vittoria. Il tennista si era come sgonfiato, l’uomo divenne preda di dubbi tirannici, il marito finì a un passo dall’addio alla compagna amata. Sul finire di quell’anno Murray coronò la sua rincorsa al numero uno. L’agguantò vincendo il Masters di Parigi Bercy, e nelle successive Finals, in un match che poteva invertirei poli e ripristinare lo status quo ante, Nole beccò una stesa che a casa Murray ancora festeggiano come un anniversario. La conferma delle sue inclinazioni al dramma, giunge da queste due ultime stagioni, nelle quali il vecchio Djoker è riuscito a sacrificare il premio più ambito, dopo tre vittorie di seguito nello Slam. Ha vinto tutto e ha perso tutto, nel breve volgere di poche settimane. Gli andò di traverso la semifinale contro Zverev ai Giochi Olimpici. Dominò il primo set, poi crollò, finendo per consegnare anche il bronzo della semifinalina. Agli US Open fu Medvedev a ridurlo in briciole nella finale che valeva il Grande Slam. A Torino, nelle Finals, fu ancora Zverev a negargli la finale e il sesto titolo da maestro. Instancabile, Djokovic ha percorso a rotta di collo la china sciagurata del braccio di ferro con il governo australiano, riuscendo nell’impresa di farsi eleggere come grande sconfitto degli Australian Open senza nemmeno giocarli. Nole ha fissato il ritorno a Dubai, uno dei pochi tornei disposti a chiudere un occhio sul suo status di non vaccinato. L’obiettivo era salvare il numero 1 e per riuscirvi Djokovic avrebbe dovuto raggiungere le semifinali, sperando che Daniil Medvedev, ad Acapulco, uscisse prima di lui. Non è successo. […]

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