(a cura di Enrico Picone)
Nel 1928, il diciottenne Django Reinhardt perdeva le dita mignolo e anulare della mano sinistra a causa di un incendio. Il trauma non gli impedì di consacrarsi come uno dei più influenti chitarristi della storia. Aneddoti come questo resistono nel tempo perché provocano in chi li ascolta l’irresistibile fantasia di appropriarsi anche solo per un giorno della determinazione di chi certi traumi li ha convertiti nei segni distintivi di una leggenda.
E di questi segni distintivi la storia dello sport ne è zeppa. Vedi Garrincha, calciatore brasiliano due volte campione del mondo, che aveva una gamba più corta dell’altra di sei centimetri. E senza dover necessariamente sfogliare i capitoli riservati ai campioni, ci si imbatte comunque in storie come quella Francesca Jones. tennista classe 2000, britannica, affetta dalla sindrome EEC (ectrodactyly–ectodermal dysplasia–cleft syndrome), una variante rara della displasia ectodermica che le ha provocato una malformazione congenita, procurandole nello specifico mani con quattro dita (tre più il pollice) e piedi con tre dita su uno e quattro sull’altro. E noostante questo grave problema fisico, Jones si è presa la soddisfazione di scrivere il proprio nome sul tabellone principale dell’Australian Open 2021.
Facendo un passo indietro invece, è la stessa protagonista a raccontare di quando i medici le dissero che non avrebbe potuto cimentarsi nel tennis. Non che i dottori le ebbero mai augurato di fallire nello sport, ma di certo Jones li smentì tutti alla grande, superando la cinese Lu Jiajing per 6-0, 6-1 nell’ultimo turno di qualificazione e scrivendo il proprio nome nel main draw del Major australiano.
“Quando si hanno meno dita, è più difficile mettere il peso sui piedi”
In quell’occasione dichiarò: “Quando si hanno meno dita, è più difficile mettere il peso sui piedi. Ero molto consapevole di quello in cui stavo entrando e mi piacciono le sfide. Molte persone direbbero che questa situazione è uno svantaggio, ma io invece lo considero un vantaggio”.
Da allora Jones ha continuato ad affrontare le giornate seguendo una routine quotidiana in cui nessun atleta può immedesimarsi. “Mi sottopongo a molte cure. Devo prendermi cura dei miei fianchi perché carico il peso sui piedi e sulle scarpe. È importante che mi prenda cura del resto del mio corpo”. Per certi atleti, la cura dei dettagli è più di un’ossessione. È la necessità di una condizione di salute da mantenere giorno per giorno, limando ogni aspetto della cura del proprio corpo che al momento della nascita ha presentato un’inattesa sorpresa che, solo dopo molti anni di tormenti, sogni e determinazione, è stata declassata a un semplice dispetto subito prima ancora di venire al mondo.
Il 13 luglio scorso, Jones ha messo in bacheca il suo primo titolo Wta. Lo ha conquistato al Grand Est Open 88, il 125 di Contrexéville, dove si è imposta sulla francese Elsa Jacquemot con il finale di 6-4, 7-6(2). La nove volte campionessa ITF, è impegnata nel Ladies Open di Palermo – alla sua prima edizione 125 dopo la cessione della licenza 250 al Transylvania Open di Cluj-Napoca – dove si è fatta strada superando Chloe Paquet (6-3, 6-1), Oksana Selekhmeteva (6-4, 6-3) e per ultima Panna Udvardy (6-2, 6-3). A contenderle l’accesso alla finale di domenica 27 sarà Tatiana Prozorova. E che non si parli allora più di impresa. Jones ha dimostrato che la sindrome non è mai stato un handicap, bensì un mero segno distintivo come una cicatrice a cui ci si fa presto l’abitudine guardandola giocare.