Sara Errani: Quando un tennis umile non è meno bello di quello creativo

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Sara Errani: Quando un tennis umile non è meno bello di quello creativo

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INTERNAZIONALI D’ITALIA WTA ROMA – Finale donne ore 13.30, uomini non prima delle 16 I risultati parlano chiaro, non sono casuali. Sara è tecnicamente migliore di quel che pare a prima vista. Meglio lei o la Schiavone? La sua sagacia tattica per affrontare in modi diversi Li Na e Jankovic merita più ammirazione di quanto le venga riconosciuta. I miei voti: 7+ ieri, 9 oggi.

Molti lettori di questo sito, troppi invero, non sono stati teneri – in tante, troppe occasioni – con Sara Errani. Hanno messo in discussione e in cattiva luce il suo gioco un po’ monocorde, facendogliene una colpa eccessiva e ingiustificata, sminuendone gli eccellenti risultati, la straordinaria continuità, l’intelligenza di gioco, la grinta, come se fossero caratteristiche banali e secondarie. Trascurando, quando non ignorando addirittura, alcune sue qualità tecniche invece indiscutibili.
Il cross stretto di dritto, ad esempio, la straordinaria solidità del suo rovescio, i passanti quasi sempre implacabili, lungolinea come incrociati, il timing e la gran mano per giocare le smorzate e anche alcune difficilissime demi-volee. Ma anche un pallonetto o una moon-ball che cadano nei pressi di una riga richiedono una capacità di controllo non comune. E l’intelligenza nell’adottare angolazioni e accelerazioni al momento giusto è qualcosa che molti/e tennisti/e non hanno, al contrario di lei.
E la capacità di non perdersi d’animo se si attraversa un momento di “bassa”, se ci si trova sotto 4-1 nel secondo set, e si rimonta vi pare cosa da poco?
La solidità di nervi, la capacità di continuare a credere in se stessi anche quando il punteggio potrebbe deprimerti vale quanto un grande servizio. Proprio la debolezza del suo servizio l’hanno costretta a giocare tutti i punti in recupero, l’hanno abituato a soffrire punto dopo punto, a doverseli guadagnare tutti. E’ questa la sua grande forza, quella mentale. Il suo allenatore, Pablo Lozano, lo sa e gli ha detto giustamente quando lei era sotto 4-1: “Gioca punto dopo punto, dimenticati il punteggio”. E lei gli ha dato retta fino a rimontare e a vincere.

Non tutti possono giocare come Roger Federer, con la stessa eleganza, lo stesso stile, la stessa varietà. A volte i lettori di Ubitennis – mi perdonino la critica -sono un po’ troppo sofisticati (presuntuosi?), arricciano il naso e tendono a pontificare se uno è più portato a difendersi che ad attaccare, se il suo tennis è più operaio che artigiano, se il talento non luccica colpo dopo colpo come l’oro.
Anche a me piaceva più veder giocare Panatta che Barazzutti, più McEnroe che Borg, più Noah che Wilander (che però vinceva molto di più), però non mi sono mai permesso di “bollare” quelli che mi piacevano di meno come “inguardabili”.
Fra gli aficonados di Ubitennis è invece piuttosto diffusa una sorta di snobismo elitario. Che mi dà fastidio, perchè spesso ingeneroso ed ingiusto. Ognuno gioca con quel che ha, con le armi che madre natura gli ha dato, potenza piuttosto che agilità o viceversa, resistenza piuttosto che rapidità o viceversa, cuore, gambe, braccio, mano, testa (caratteristiche citate in ordine sparso).

L’ho scritto tante volte, talmente tante volte che alcuni dei nostri lettori hanno finito per attribuirmi una maggiore simpatia per chi gioca come Nadal piuttosto che come Federer, come la Errani piuttosto che come la Schiavone, come Ferrer più che come Tsonga, come Seppi più che come Fognini.
Non è così. Mi sono affannato, invano, a precisarlo mille volte. Tutti i tipi di gioco mi affascinano quando si dimostrano vincenti.
Ciascuno a suo modo ha insito un qualcosa che gli consente di essere tale. Sta a noi critici individuarlo, anziché soffermarsi su giudizi estetici spesso superficiali.
Non ho il tempo di replicare ai tanti che scrivono, o hanno scritto, cose negative su chi non ha un tennis altamente spettacolare.
Tanti hanno scritto commenti poco lusinghieri su Seppi e la Errani, ma pur dovendo lasciare piena libertà di opinione a chi non la pensa come me, non ho mai condiviso quei giudizi.
Se oggi può apparire troppo facile scriverlo dopo che Sara Errani è diventata la prima italiana del tennis open a conquistare la finale degli Internazionali d’Italia targati BNL a Roma, allora lo affermo anche per Seppi che pure non ha qualità tali da potergli consentire l’ingresso fra i top-ten.

E’ giusto criticare qualcuno se non dà il massimo, non è giusto criticarlo se lo dà. Seppi ed Errani lo hanno sempre dato.
Per Sara Errani – una semifinale e una finale al Roland Garros, una semifinale all’US open, un quarto all’Australian Open, una semifinale e una finale al Foro Italico- parlano più di qualunque opinione i risultati. Tappano la bocca a tutti i detrattori.
I quali, evidentemente, peccano di superficialità se non le riconoscono quelle qualità che le hanno consentito di raggiungere eccellenti risultati con una continuità che non ha avuto nessuna altra tennista italiana.

Francesca Schiavone ha vinto uno Slam a 30 anni e può anche essere che Sara Errani non riesca a vincerlo mai, sebbene io naturalmente glielo auguri con tutto il cuore. Ma ci riesca oppure no, raggiungere finali e semifinali a ripetizione nei grandi eventi è a mio avviso più significativo che non realizzare un paio di grandi exploit una tantum.
Se uno non si lascia abbacinare dal tennis certo più spumeggiante della miglior Francesca, si deve credere oggi che Saretta, 27 anni appena, valga almeno quanto la “Schiavo”. Chissà che non riesca a lasciarsela alle spalle.
E’ vero che Sara ha battuto soltanto una volta una top-3 (la Li Na qui venerdì) e soltanto un’altra top-5 in passato (la Radwanska n.4), su 35 sfide lanciate alle top-5. Ed è vero che invece la Schiavone (tranne Venus Williams mi pare) ha battuto praticamente tutte le top-player almeno una volta. Ergo: la Schiavone avrebbe dimostrato di avere un potenziale superiore.
Ma, attenzione: se quel potenziale emerge ad intermittenza ai massimi livelli, allora il discorso va rivisto e riconsiderato. Francesca in 14 anni di attività ha 2 finali del Roland Garros nel suo palmares (vinta nel 2010, persa nel 2011), nessuna semifinale e 5 quarti di finale.

Dal canto suo in appena due anni, su cinque in tutto, Sara ha centrato una finale, due semifinali e un quarto di finale negli Slam e due semifinali a Roma. Roma, per la pressione che esercita sui tennisti italiani, vale quanto uno Slam. Lo dicono i risultati dei tennisti italiani al Foro Italico. Dal ’76, l’anno di Panatta, nessun italiano ha raggiunto qui una finale. Sara sì.
Dai tempi di Lucia Valerio nessuna tennista italiana aveva raggiunto due volte le semifinali. Schiavone, Pennetta, Vinci, Farina, Reggi – per favore non facciamo confusione con Taranto 1985 al d là dell’etichetta, 50.000 dollari di montepremi, tre semifinaliste italiane su quattro più una modesta americana Vicky Nelson Dunbar- non ne hanno centrata neppure una.
Nell’albo d’oro degli Internazionali oltre a Lucia Valerio, che vinse questo torneo nel 1931, c’è anche Annelies Ullstein Bossi campionessa nel 1950: era una ragazza tedesca nata a Dresda diventata italiana grazie al matrimonio con Renato Bossi (un giocatore italiano scomparso nel 1947 in un incidente aereo: per anni la gara juniores a squadre per circoli si è chiamata Coppa Bossi, l’ho giocata anch’io). La Ullstein Bossi sposò poi il telecronista Rai Giorgio Bellani di cui seguivo appassionatamente le telecronache da Wimbledon. Ricordo bene, una sua tipica frase “bartaliana”: ogni volta che un giocatore subiva il controbreak subito dopo essersene procurato uno: “E tutto da rifare!” Ero un bambino di 10 anni e sognavo di diventare telecronista come lui.

Chiudo l’inciso: mi è piaciuta molto più la Sara che ha battuto la Jankovic che quella che ha superato una Li Na molto più fallosa del solito (52 errori!).
Oggi ho letto sulla stampa italiana commenti eccessivamente entusiastici sulla partita di ieri. Io, anche se non avessi saputo dei problemi allo stomaco della Li Na , a Sara avrei dato 7 più ieri e 9 oggi. Ma Sara – forse perché ieri, sulle ali dell’entusiasmo, aveva definito la sua partita come la migliore dopo quella vinta a Parigi sulla Stosur – mi ha risposto invece così: Sono giocatrici completamente diverse. Con Li Na è difficile fare colpi vincenti perché è una giocatrice che spinge tanto. L’obiettivo era stare attaccata punto su punto e farla sbagliare perché non penso che tutti i suoi errori siano stati gratuiti. Invece la Jankovic è una giocatrice che sbaglia molto di meno e ti fa giocare un po’ di più. Quindi per fare punti, essendo più difficile farla sbagliare, dovevo essere io a chiuderli. Penso di aver giocato bene in entrambe le partite pur essendo partite diverse. Forse ieri ho servito un po’ meglio rispetto a oggi, però oggi la partita richiedeva di essere più preparate da fondo campo”.

L’ho ascoltata con attenzione, ma resto della mia opinione.
Oggi Sara ha giocato un match straordinario. Perchè la Jankovic, al di là di qualche errore in fase di risposta contro il debole servizio di Sara (la prima mediamente sui 130 orari, la seconda poco sopra i 100), ha giocato bene, sui suoi limiti. Mentre ieri la Li Na, che rispetto alla serba è più forte come dicono 2 Slam vinti e una finale persa, chiaramente non aveva giocato come poteva.
Sara ha interpretato la partita con la Jankovic come una gara di scacchi. Non ha sbagliato una mossa, dietro ogni traiettoria c’era un preciso disegno tattico. Spostava l’avversaria con una disciplina tattica formidabile, con una intelligenza unica. I contropiedi che hanno lasciato più volte ferma una tennista esperta come la ventinovenne serba di Belgrado sono stati piccoli capolavori.
Certe palle appoggiate quasi dolcemente laddove Jelena non c’era correndo in avanti, certe giocate a fil di rete che hanno fatto sbagliare alla Jankovic volee solo apparentemente facili, mi hanno affascinato. Mi accorgevo, dai commenti, che alcuni presenti poco distanti dalla mia postazione, non si rendevano conto della maestria necessaria per mettere in atto alcune di quelle soluzioni. Le scambiavano per cose semplici. Non lo erano per nulla.
Per questo, e concludo pur non essendo assolutamente ottimista alla vigilia della finale contro lo schiacciasassi Serena Williams – si scaraventerà sopra quei servizi a 125 km orari e corti di Sara cui raccomando di fare anche tanti doppi falli, ma di servire sempre la “seconda” almeno a 135 se non vuole essere travolta – che quando leggerò ancora commenti negativi sul gioco di Sara, beh, ci resterò male. Non li cancellerò, non sarebbe giusto. Ma mi daranno fastidio (quanto ai fans di Sara, vi assicuro).

 

 

 

 

 

 

 

 

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